E poi, quando mi fu grazia largita 120 125 l'aere toscano. Avverti che quando il Poeta può ricordar il dolce aere natio, non lascia sfuggir l'occasione tanto in lui poteva il desiderio e la carità della cara patria ! 118-120. Nota. Largita, per questa voce dimostra quanto fu quella celeste grazia. Nell'alta ruota che vi gira; perchè girano col circolante lor cielo. Mi fu sortita; mi fu dato in sorte di passar per entro voi. E chiama regione l'attual luogo dalla stella occupato. 121-123. Nota. Pon mente all'espressione divotamente sospira, che mostra coll'ardore del desiderio la devozione del cuore. Virtute; forza d'ingegno, valore. il passo forte; sai che forte significa malagevole e difficile. Ma qual è questo arduo passo ove di tutta la possanza celeste pare che abbisogni ? Certo non altro che quello che nel seguente Canto da lui si descrive, cioè il maraviglioso trionfo di Cristo ove sentirà il lettore che tutto dispiega il Poeta il valor suo; ma ciò a suo luogo. Che asè la tira; il qual passo forte, o trionfo che dirà, tira a sè tutta l'anima sua; espressione per la quale dimostra l'impeto della fantasia rivolta a così alte cose. 124-126. Nota il primo, con tu dei aver, ecc. All'ultima salute, ch'è anche la prima, la somma di ogni bene, Dio. Tu dei aver, ecc.; per essersi nella meditazione delle vedute cose sin qui la mente di lui acuminata e chiarita. Bello è l'argute che legge il signor canonico Dionigi in vece d'acute! E però, prima che tu più t'inlei, 130Si che'l tuo cuor, quantunque può, giocondo S'appresenti alla turba trionfante, Che lieta vien per questo efera tondo. Col viso ritornai per tutte quante Le sette spere, e vidi questo globo 135 Tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante; E quel consiglio per migliore approbo Che l'ha per meno, e chi ad altro pensa Chiamar si puote veramente probo. 127-129. T'inlei; dal pronome lei, forma inleiarsi; internarsi in lei; ma la prima par che accenni più connaturalità del continente col contenuto. Quanto mondo; quanta parte del mondo. Nota l'espressione del terzo verso. 130-132. Nota. Quella vista per sè dee spirargli devota gratitudine, e l'aspetto della terra nostra, pel confronto del luogo dov'è, accenderlo di maggior desiderio di quello. Per questo etera tondo; per questo cielo, del quale ci ricorda la forma, perchè non la perda di vista il lettore a suo maggior diletto, e affissi la mente al sommo della volta. 133-135. Not. vidi questo globo tal, ecc. Col viso, cogli occhi; e può farlo per averli ora chiari e acuti a tanto. Questo globo, che noi abitiamo. Tal ch' io sorrisi, ecc. Punctum est in quo bellatis, in quo disponitis. Seneca. Quindi il Tasso : E l'altro in giuso i lumi 136-138. Approbo, voce poet. appruovo. L'ha per meno. La frase aver una cosa per meno, suppl. prezzo che si ha, significa farne meno stima, o meno Probo, savio conto. Vidi la figlia di Latona incensa Senza quell'ombra, che mi fu cagione Perchè già la credetti rara e densa. L'aspetto del tuo nato Iperïone, Quivi sostenni, e vidi com' si muove Circa e vicino a lui Maia e Dione. Quindi m'apparve il temperar di Giove 140 145 Tra 'l padre e 'l figlio, e quindi mi fu chiaro E tutti e sette mi si dimostraro Quanto son grandi, e quanto son veloci, 150 139-141. La figlia di Latona; la luna. Incensa, accesa illuminata dalla parte di sopra. Senza quell'ombra che, ecc. Rivedi la questione nel secondo della presente Cantica. 142-144. Il nato o figlio d' Iperione è il Sole. Lo vide, e ne sostenne senza abbaglio il lume, per essersi la vista sua in tanti altri maggiori lumi corroborata. E vidi come Maia (il pianeta di Mercurio figlio di Maia) e Dione (la stella di Venere, figlia di Dione) si muovono circa e intorno a lui; ad Iperione, al Sole. 145-147. Nota il primo. Quindi; da quel luogo. Il temperar di Giove, ecc. La stella di Giove è temperata, per essere tra fuoco di Marte, suo figlio, e il freddo di Saturno, suo padre. Il variar, ecc., i vari mutamenti di luogo che fanno, l'uno rispetto agli altri; e insieme le cagioni del loro variare. 148-150. Vide tutto, e la grandezza di ciascheduno, e la maggiore o minor rattezza del loro movimento. In distante riparo, in riparo o sito, l'uno dall'altro distante; cioè quanto è il sito dell'uno da quel dell'altro distante, e perchè così sono. Lombardi spiega riparo per alloggiamento; io credo che significhi termine, e che derivi il Poeta questa voce da ripa, ovvero dal provenz. ripuaires, o dal lat. riparii, essendo le ripe o rive del fiume i suoi termini. Dante, vol. III. 23 L'aiuola che ci fa tanto feroci, 151-154. Nota. L'aiuola, la picciola aia, di cuì siamo si alteri; benchè dica Platone che in questo fondo siamo noi i bacherozzoli. Boezio, onde trasse il Poeta questo luogo, dice nella settima prosa del secondo: omnem terræ ambitum, sicuti astrologicis demonstrationibus accepisti, ad coeli spatium puncti constat obtinere rationem, id est, ut si ad coelestis globi magnitudinem conferatur, nihil spatii prorsus habere judicetur. Hujus igitur tam exiguae in mundo regionis quarta fere portio est, sicut, Ptolomaeo probante didicisti, quæ a nobis cognitis animantibus incolitur. Huic quarte, si quantum maria, paludesque premunt, quantumque siti vasta regio distenditur cogitatione subtraxeris, vix angustissima inhabitandi hominibus area relinquitur. Volgendom' io; se nol dicesse, si potrebbe perder di vista, e credere che sta fermo. Tutta m'apparve, ecc., m'apparve in tutto. E nota che la vide quale essa è, e non già come Ruggiero, nell'Ariosto, quando Di sotto rimaner vede ogni cima, Ed abbassarsi in guisa, che non scorge Agli occhi belli; di Beatrice, i quali sono la più divina parte di lei, quella dove la sua mente si fa beata. ARGOMENTO. Visione maravigliosa del trionfo di Cristo, dal corteggio di Maria e d'infinite schiere d'angeli e di beati abbellito. Ricchezze poetiche; intelletti, immaginazioni campeggianti in tutto il Canto, quasi altrettante stelle nel firmamento. COME l'augello, intra l'amate fronde Posato al nido de' suoi dolci nati La notte che le cose ci nasconde, Che, per veder gli aspetti desïati, E per trovar lo cibo onde gli pasca, In che i gravi labór gli sono aggrati, 5 1-12. Nota. Questo Canto, dal principio al fine, è, a dirla in uno, quale da lui solo si poteva fare che, per singular grazia, fu innalzato a vedere quelle cose che descrive; e certo il nostro Dante fu in paradiso, dove vide e ritrasse, nè lo poteva poi che discese a provar caldo e gielo. La similitudine che apre l'ingresso a tante maraviglie, ha, quantunque tolta dalle cose più comuni, cert'aria di novità, per la quale ti sorprende e ti raddoppia il diletto, ammirando come ogni suo più lieve atto, ogni suo più coperto se greto disvelò natura al depositario dei suoi misteri, ch'essa ebbe più caro. E nota prodigio! Nello sprimere gli affetti degli animali fuor di ragione, ei sa collegarli in modo e temperarli coi nostri, che ti senti commossa l'anima dalle passioni e sentimenti medesimi. Ora veniamo alla lettera. Beatrice attende il trionfo accennato nel Canto addietro, eretta e intenta a quella parte; onde sa che la trionfante schiera deve discendere. Come l'augello, ecc. Ordineremo questo luogo scrivendo in carattere diverso le proposizioni subalterne, perchè |