5 In una parte più, e meno altrove. Nè sa, nè può qual di lassù discende; In una parte più, ecc. Seguita, loc. cit. : Dicit ergo (Poeta) quod gloria primi motoris, qui Deus est, in omnibus partibus universi resplendet, sed ita, ut in aliqua magis, in aliqua minus. Quod autem subiicit de magis et minus habet de veritate in manifesto, quoniam videmus aliquid in excellentiori gradu esse aliquid vero in inferiori, ut patet de cœlo et elementis, quorum quidem illud incorruptibile, illa vero corruptibilia sunt. Altrove, (in altro ove) in altro luogo, o in altra parte. Se 4-6. Alf. not. nel ciel che più... fu' io. guita Dante, loc. cit. Dicit (Poeta) quod fuit in coelo illo, quod de gloria Dei, sive de luce recipit affluentius... illud cælum est cœlum supremum, continens corpora universa, et a nullo contentum... et dicitur empyreum, quod est idem quod cœlum igne seu ardore flagrans. Che ridire nè sa, nè può, eco. Ancora loc. cit. Vidit ergo, ut dicit, aliqua, quæ -referre nescit et nequit rediens; diligenter quippe notandum est quod dicit, nescit et nequit; nescit, quid oblitus; nequit, quia, si recordatur et contentum tenet, sermo tamen deficit; multa namque per intellectum videmus, quibus signa vocalia desunt, quod satis Plato insinuat in suis libris per assumptionem metaphorismorum; multa enim per lumen intellectuale vidit, quæ sermone proprio nequit exprimere. — Qual, qualunque, o chiunque, o qualsivoglia. 7-9. Alf. nota il secondo e 'l terzo. Perchè, ecc. Nella Pistola stessa: Adhuc et posset adduci quod dicit Apostolus ad Ephesios de Christo... Et posiquam dixit quod fuit in loco illo paradisi, per suam circumlocutionem prosequitur, dicens se vidisse aliena, quæ recitare non potest qui descendit, et reddit causam dicens, quod intellectus in tantum profundat se in ipsum desiderium suum, quod est Deus, quod Perchè, appressando sè al suo disire, ΙΘ всс. memoria sequi non potest. Ad quæ intelligenda sciendum est quod intellectus humanus in hac vita, propler connaturalitatem et affinitatem quam habet ad substantiam intellectualem separatam, quando eleratur, in tantum elevatur, ut memoria post reditum deficial propter transcendisse humanum modum Adunque la parola che retro la memoria non può ire non vuol dire quello che s'è detto fin ora, che la memoria non può internarsi nell'oggetto desiderato quanto intelletto, ma si che, post reditum, essa non può andar dietro alle cose vedute dall' intelletto. E però, nella Pistola suddetta, leggesi: quod extra se (intellectus) ageretur, non recordabatur; e poscia: quasi obliti; e infine obblivionique mandasse. Forse la ragione che darebbesi oggi di questo fenomeno si è, che parte della memoria sta nel senso, e siccome, trattandosi del tatto, del gusto e dell'odorato, non ne possono dubitare i più semplici, così i savi, dell'udito. Ma nel caso nostro le sensazioni erano tutte intellettuali, e però niun vestigio in nessun senso rima; ner poteva. Disire, per la cosa desiderata; così Catullo, desiderium, la donna desiderata. 10-12. Alf. not. salvo veramente, voce che, connettendo le parti contigue, afferma un tempo; e la puoi tradurre per ma nondimeno. Mente, memo ria. Far tesoro, ecc. Atteso la preziosità di quelle cose; e potrai spiegare la frase intera: quanie di quelle preziose cose potei adunar nella mia mente. E al proposito, nella Pistola anzi detta: postea (Poeta) dicit se dicturum illa quæ de regno coelesti retinere potuit, et hoc dicit esse materiam sui operis. 13-15. O buono Apollo. Pur loco citato. Deinde 15 Fammi del tuo valor si fatto vaso, Come dimanda dar l'amato alloro. Assai mi fu, ma or con amendue ecc., cum dicit, o bone Apollo, facit invocationem suam, et dividitur ista pars in partes duas; in prima invocando petit, in secunda suadet Apollini petitionem factam, remunerationem quondam prænuntians, et incipit secunda pars ibi: o divina virtus. All'ultimo lavoro, a condur a fine l'ultimo lavoro, ch'è questa terza Cantica. Fammi del tuo valor, espressione di grand'enfasi, per la quale s'accenna la difficoltà e l'altezza dell' impresa ond' è l' immaginazione del Poeta impressionata. E non trovo modo di ritrarla altrimenti, perocchè, riempimi della tua virtù si fattamente; e anche ingombrami si la mente, e riscaldami il petto del possente tuo fuoco, ecc., scema di molto vigore. Il gran Buonarroti imita questo dire : Del tuo lume, l'alto splendore Soverchia 1 vaso, e le mie forze opprime. Come dimanda dar ecc. Lombardi legge come dimanda a dar; ma piacemi più assai come porta il testo nostro, e si spiega: come il dare o sia il dono dell'alloro amato da te dimanda. Tocca la favola di Dafne amata da Apollo, e trasformata in lauro, albero sacro al Dio de' poeti. 16-18. Al primo lavoro ha invocato le Muse e l'alto ingegno; al secondo, le Muse, e singolarmente Calliope; qui, le Muse e Apollo. L'un giogo di Parnaso intende il Citerone, monte in Beozia, così appellato da un re che dettegli il suo nome, e sacro a Giove e alle Muse, o, com'altri dicono, a Bacco e alle Muse. Ovidio, Metamorf. 3: Cantibus et clard Baccantúm voce sonabat. Ma forse credette il Poeta con Servio che fosse l'uno dei gioghi del Parnaso. Il fatto sta che Dante invoca qui, e le già invocate Muse e Apollo. Il Boccaccio, in un suo sonetto che leggesi nella raccolta delle sue Poesie Liriche: Mentre sperai e l'uno e l'altro colle M'è uopo entrar nell'aringo rimaso. Tanto, che l'ombra del beato regno , 20 25 Il signor canonico Dionigi legge con ambo e due, che fa quattro. Aringo leggo nell' Ercolano, cosi lo spazio dove si corre giostrando, o si favella orando, come esso corso o giostra, ed esso parlare ovvero orazione. Qui, figuratamente il lavoro della rimanente canzone. 19-21. Alf. not. quando Marsia, col rimanente; espression forte, che dimostra quanto già sia l'anima del Poeta della virtù del nume ripiena. Spira tue, spira tu stesso il mio canto. Tue, lic. poet. tu. Si come, suppl. eri spirato. Lombardi dice cotal dolce suono, ma quel suono era altro che dolce. Della vagina, ecc., dice la pelle vagina, guaina o fodero delle membra, perchè forse è questa la sola espressione che ritragga compiutamente l'idea di quel satiro, il quale Apollo scorticò, dopo la vinta prova alla quale lo sfidò quel presuntuoso a chi sonava meglio, o egli la cornamusa o Apollo la cetra. 22-27. Si not. da Alf., salvo l'ultimo. Leggo colle antiche edizioni, col MS Stuardiano, col Lombardi, e col signor canonico Dionigi, se mi ti presti in luogo di sì mi ti presti, che porta l'edizione della Crusca, onde non si può cavar senso, se non a forza di tira e stira. E così trovasi pur in margine dell'edizione medesima. Tanto, in quantità si grande; si determina l'intensità di questa voce per quello che ha detto di sopra, vers. 14 e 15, 19 e seg. L'ombra perchè la memoria non ha potuto seguir l'intelletto. Nel mio capo, nella mia mente. Al tuo diletto legno, 30 Che la matera e tu mi farai degno. Per trionfare o Cesare o Poeta; Colpa e vergogna dell'umane voglie, all'albero a te diletto, ch'è l'alloro. Il signor canonico Dionigi legge i versi 25 e 26 come siegue: Vedra' mi al piè del suo diletto legno Venire, e coronarmi delle foglie, ecc. Dio gli perdoni con tanti altri. Che, di che, delle quali foglie. La matera e tu, ecc., ordina: la maleria mi farà degno e tu mi farai degno, per non dire che farai sta per farete, che è impossibile. 28-30. Alf. not. si rade volte, ecc. Il Petrarca : Qual vaghezza di lauro? qual di mirto? Per trionfare o Cesare o Poeta, per avvenire che un imperatore o un poeta trionfi; perchè di lauro s'incoronano gli uni e gli altri. Onde il Petrarca, del lauro : O fronde, onor delle famose genti, O sola insegna al gemino valore. E altrove : Arbor vittoriosa e trionfale, Colpa e vergogna, suppl. per; come in quello del gran Buonarroti: Colpa del folle giovenil errore; e il Boccaccio, dolendosi dell'amistà si rara nel mondo, colpa e vergogna della misera cupidigia de' mortali : la quale, solo alla propria utilità riguardando, ha costei fuor degli estremi termini della terra in esilio perpetuo rilegata. Dell'umane voglie. Il Petrarca dice perché: Povera e nuda vai, filosofia, Dice la turba al vil guadagno intesa. 31-33. Alf. not. Appicca la congiuntiva che col detto si rade volte, ecc., e ordina così: che, quando la fronda peneia asseta di sè alcuno, ciò dovria |