Se non che la mia mente fu percossa Da un fulgóre in che sua voglia venne. All'alta fantasia qui mancò possa; 140 proprie penne non erano da ciò; vale a dire, ma non era la vista mia tanto superba. Se non che, ecc. Ordina: Nè mai sarebbe stato quel mio desiderio soddisfatto, se non fosse stato che la mia mente fu percossa da un fulgore, in che la voglia sua venne contentata, Adunque a compir l'ultimo desio di Dante, cotanto sopra ogni veder mortale, un vivo lume investe la mente sua, per la possanza del quale giunse in fine a vedere quell' incomprensibile mistero, ma tale, che retro alla memoria non può ire. 142-145. Nota. Il massimo desiderio del Poeta, quello di veder la natura divina e l'umana congiunta, è compito, la virtù sua è pervenuta al più alto e singolarissimo mistero, e tanto in quell'aspetto si profonda la mente, che vinta nol può seguire la memoria; e, cessato quell' infinito lume che gli fu scorta a tanto vedere, spegnesi in lui ogni idea di quello che ha veduto, e cessa quasi tutta sua visione, se non che sente scorrersi ancora nel cuore la dolcezza di quella. Ma non che però rimanga in Dante alcun desiderio di ciò; che divinizzato per cotal vista, l' invoglia Dio a suo volere, siccome fa gli altri beati; il che nel nu di questa Cantica, dal vers. 70 all' 84, chiaro si vede. Adunque non poteva Dante immaginare un modo più artifizioso, più gentile, più vago, e soprattutto più verisimile di questo, lasciando così il lettore contento nella sua stessa curiosità, e in chi l'ha udito, quella soavità e dolcezza che sente egli stesso distillarsi ancora nel cuore. Ora dicasi quello che spetta alla lettera. All'alla fantasia, ecc. Ordina così: Qui la possa (il potere ) mancò all'alta mia fantasia, ma l'amor che muove, ecc., volgeva già il mio disiro e il mio velle si, come ruota che è mossa igualmente. Dice che mancò possa all'alta sua fantasia, perch'ella non potè improntarsi dell'immagine di quella veduta, la quale cessato l'istantaneo fulgore che l'avvalorò a tanto, s'estinse al suo vedere; e chiama la sua fantasia alta, 532 DEL PARADISO, CANTO XXXIII. Ma già volgeva il mio disiro e 'l velle, Si come ruota che igualmente è mossa, 145L'Amor che muove 'l sole e l'altre stelle. rispetto all'altezza di quell'oggetto. Il mio disiro e 'l velle, il desiderio mio e la mia volontà. Benchè desiderio e volontà sia una cosa, pur se non sono in. gannato, vi pone questa differenza il Poeta, cioè che il desiderio si è la volontà mossa in atto. Adunque l'amore che muove, ecc., cioè Dio, detto amore, perchè da solo amore mosso fu alla grand'opera della creazione, e che, non mosso, muove il sole, e tutti gli altri corpi luminosi del cielo, anzi l'universo tutto, volgeva già a piacer suo, ecc. Si come, ecc. Tutte le parti della ruota muovonsi egualmente; così moveva Dio il desiderio e la volontà di Dante, invogliato nel volere di lui. E però, come volle Iddio che non facesse Dante di quell'immagine tesoro nella mente sua, così volle ancor egli. FINE DELL' OPERA. |