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era presente; quando con certa legge e con certo giro vallava gli abissi, quando suso fermava e sospendeva le fonti delle acque, quando circuiva il suo termine al mare, e poneva legge alle acque che non passassero li suoi confini, quando elli appendea li fondamenti della terra, cou lui ed io era, disponente tutte le cose, e dilettavami per ciascun die.

Progredendo dal centro alla circonferenza, rappresentano i cieli i vari gradi della beatitudine celeste, e la scala onde sino all'ultimo si monta ; nè si potrebbe altrimenti il maggiore o minor godere dei beati all'uman senso figurare (1); similmente quelle scienze nelle quali, come dice Dante, più ferventemente la filosofia termina la sua vista, sono la scala che all'intero essere beato della

presente vita ne conduce e i diversi gradi o salite che può la mente nostra della beatitudine stessa godere. In virtù di queste convenienze fra l'esempio e l'esemplare, e per le tre similitudini che i cieli, come dice Dante, hanno colle scienze, massimamente per l'ordine e numero in che si convengono (2), piacque al Poeta figurar nelle

(1) Cosi parlar conviensi al vostro ingegno, Perocchè solo da sensato apprende Ciò che fa poscia d'intelletto degno. Per questo la Scrittura condescende A vostra facultate, e piedi e mano Attribuisce a Dio, ed altro intende, ecc. PARAD. IV. (2) La prima similitudine (leggesi nel Convito) si è la revoluzione dell'uno e dell'altro intorno a un centro immobile, che ciascuno cielo mobile si volge in verso al suo centro, il quale quanto per lo suo movimento non si muove. E così ciascuna scienza si muove intorno al suo suggetto, ma presuppone quello. La seconda similitudine si è lo illuminare dell'uno e dell'altro, che ciascuno cielo illumina le cose visibili,

scale, onde al somino bene s'ascende, quelle che alla sapienza ne conducono vale a dire, nei cieli le scienze; ed eccone infallibil prova nelle seguenti sue proprie parole, quali stanno nel Convito: Ai sette primi cieli rispondono le sette scienze del trivio e del quadrivio; la gramatica al cielo della Luna, la dialettica al cielo di Mercurio, la rettorica al cielo di Venere, l'aritmetica al cielo di Marte, la geometria al cielo di Giove, l'astrologia al cielo di Saturno, la fisica e metafisica al cielo stellato, la morale filosofia al cielo cristallino, la divina scienza al cielo empireo. E le ragioni di questa corrispondenza le troverà il curioso lettore in quel libro di sapienza.

Innoltrandosi l'intelletto nostro in una scienza, siccome da una in altra discorrendo, sente nel trapasso da un vero in altro, e d'una in altra scienza, non solo i dubbi e le incertezze svanirsi quasi nuvolette in cospetto del sole, ma tutto di novella luce schiarirsi, e farsi il suo contentamento via via maggiore. A dimostrare visibilissimi questi effetti, sentiti dall'anima innamorata al tremolante raggio di verità novella, e nel travalicare d'una in altra scienza, adombra il Poeta nella sua dolce e cara guida la scienza, il cui

e così ciascuna scienza illumina le intelligibili. E la terza similitudine si è inducere perfezione nelle disposte cose. Della quale induzione, quanto alla prima perfezione, cioè della generazione sostanziale, tutti li filosofi concordano che li cieli sono cagione... così della induzione della perfezione, secondo le scienze, sono cagione in noi, per l'abito delle quali potemo la verità speculare, ch'è ultima perfezione nostra, come dice il Filosofo nel sesto dell' Etica, quando dice che 'l vero è 'I bene dello 'ntelletto. Per questa, con altre similitudini, molto si può la scienza Cielo chiamare.

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suggetto si è il primo vero, cioè Dio; rappresentando i detti effetti nel riso della bocca e degli occhi di lei, che più mero e più limpido fassi di cielo in cielo, perocchè quanto più s'alza, tanto più al suo suggetto s'avvicina e quel ridere più di lui s'invera (1). E qui Dante, più che altrove, dispiega la possanza e la divinità del suo ingegno, perciocchè in quell'adombramento delle dimostrazioni e persuasioni della sapienza (2), cioè nel ridere degli occhi e della bocca di Beatrice, ha saputo e potuto, vincendo la natura e l'arte creare un paradiso tutto nuovo e tutto suo per entro al paradiso medesimo, variando quasi in infinito e multiplicando quel sovrannaturale diletto, nel quale non si può saziare di bearsi la mente di chi l'ode. E per questo paradiso continuo, trascorrendo da una luce in altra maggiore sino al fine e rinvigorando ad ogni passo di novella lena l'intelletto seguace, lo mena sino all'ultima beatitudine, ove tutto si profonda e s'indía, e quando riscosso da quell'estasi divina, a sè e in sè ritorua, sente poi l'uomo aggirarsi dentro col dolce del passato diletto l'inestinguibile sete di quello.

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(1) Ma chi s'avvede che i vivi suggelli

D'ogni bellezza più fanno più suso,
E ch' io non m'era li rivolto a quelli ;
E scusar puommi di quel ch' io m'accuso
Per iscusarmi e vedermi dir vero;
Che 'l piacer santo non è qui dischiuso,
Perchè si fa montando più sincero.

PARAD. XIV.

(2) Gli occhi della sapienza sono le sue dimostrazioni, colle quali si vede la verità certissimamente, e il suo riso sono le sue persuasioni, nelle quali si dimostra la luce interiore dalla sapienza sotto alcuno velamento; e in queste due cose si sente quel piacere il quale è massimo bene in paradiso (Convito).

Tale, al parer mio, si è il Paradiso di Dante; e, com' ho detto, l'intendimento suo in questa divina creazione si è questo: La beatitudine che s'acquista dall'uomo colla filosofia, alla quale per le diverse scienze che fanno a lei scala, si perviene; il quale intendimento dell'Autore non essendo stato sin ora da nessun sapiente d'Italia dischiuso, si può conchiudere resoluto, che nessuno fra gli esteri l'ha potuto travedere, nè anche come per pelle talpe , e per conseguente gustare la millesima parte delle incredibili delizie che vi s'incoutrano; perocchè non concede natura nè ragion vuole, che possa uomo passionarsi di ciò che non intende, perchè dall'atto che discerne si accende proporzionato amore e contento (1), come che possa per avventura atteggiarsi l'uomo del contrario; ma dico e affermo ancora che gli stranieri, i quali di questa terza Cantica hanno fatto cosi torto giudizio, non sono perciò da biasimarsi più di quello che fu Dante stesso, quando prese per torri i giganti che torreggiano il pozzo d'ogni reo (2).

Non mi distenderò alle singulari bellezze le quali, in questo oceano di luce, quasi altrettante stelle nel firmamento, vincenti nel lume stesso sfavillano, che tutte ai loro luoghi si dimostrano; contenendomi a questo che, per quello che a me se ne pare, siccome vinse Dante sè stesso nella seconda Cantica rispetto alla prima, così fa in

(1) Quinci si può veder come si fonda

(2)

L'esser beato nell'atto che vede,
Non in quel ch'ama che poscia seconda.
PARAD. XXVIII.

... Però che tu trascorri
Per le tenebre troppo dalla lungi,
Avvien che poi nel maginare aborri.

INF. XXXI.

questa terza per riguardo alle due precedenti, dimostrandosi dall'uno all'altro estremo quell'altissimo ingegno che sè in sè misura, o che dispieghi in dialogato parlare quel candido ed elegante stile che l'onora, o pennelleggi quelle immagini d' innocenza fatte proprio in cielo, e ritraenti dell'eterno piacere; o adombri le idee dell'infinito in quei lunghi e robusti tratti che vincono ogni vista; o dispieghi in lussureggianti colori il riso dell'universo; o vibri fulmini di spavento contro il vizio trionfante, e le mortifere saette delia satirica faretra d'amarissimo fiele temperate; o disveli al mondo le altrui vergogne, sotto il velo della tortuosa politica celate; o levi al cielo l'umile virtù d'uomo di fortuna nemico, nella cui lode entra sovente con dar morte al reo che lo perseguita; o renda a degno benefattore il tributo di gratitudine, che lo faccia per fama eterno; o riversi in parole ridondanti la piena della letizia che gli scalda e rigonfia il cuore, o imprima su le più alte fronti il marchio del peccato, che passa di generazione in generazione sino all'ultima che si spegne coll'onte; o faccia sentire i colpi che croscia la vendetta eterna; o ricordi un concetto comune con quel dire e riguardo di sua creazione, che gli danuo aspetto di nuova maraviglia; o dipinga quei volti celesti a carità suasi o ti stilli nel cuore quegli esempi di dolce morale, che proprio t'innamorano; o ti ricerchi dentro nei più segreti giri del cuore col lusinghevole e accorto stile, atteggiando a voglia sua l'anima tutta; o rimembri quel celeste cantare, che suona si soave nell'anima, e ti distilla poi dentro lunga pezza la dolcezza; o dischiuda il riso e 'l fulgore dei beati con parole e modi d'eterna luce risplendenti; o volga l'animo seguace ai dolci affetti di pietà, di virtù e d'amore; o alletti l'anima a Dio con quelle

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