Che la matera e tu mi farai degno. all'albero a te diletto, ch'è l'alloro. Il signor canonico Dionigi legge i versi 25 e 26 come siegue : Vedra' mi al piè del suo diletto legno e Dio gli perdoni con tanti altri. Che, di che, delle quali foglie. La malera e tu, есс., ordina: la materia mi farà farà degno, tu mi farai degno, per non dire che farai sta per farete, che è impossibile. 28-30. Alf. not. si rade volte, ecc. Il Petrarca : Per Qual vaghezza di lauro? qual di mirto? trionfare o Cesare o Poeta, per avvenire che un imperatore o un poeta trionfi; perchè di lauro s'incoronano gli uni e gli altri. Onde il Petrarca, del lauro: O fronde, onor delle famose genti, O sola insegna al gemino valore. E altrove: Arbor vittoriosa e trionfale, Onor d'imperadori e di poeti. Colpa e vergogna, suppl. per; come in quello del gran Buonarroti: Colpa del folle giovenil errore; e il Boccaccio, dolendosi dell'amistà si rara nel mondo, colpa e vergogna della misera cupidigia de' mortali : La quale, solo alla propria utilità riguardando, ha costei fuor degli estremi termini della terra in esilio perpetuo rilegata. - Dell'umane voglie. Il Petrarca dice perchè: Povera e nuda vai, filosofia Dice la turba al vil guadagno intesa. 31-33. Alf. not. - Appicca la congiuntiva che col detto si rade volte, ecc., e ordina cosi che, quando la fronda peneia asseta di sè alcuno, ciò dovria Delfica deità dovria la fronda Peneia, quando alcun di sè asseta. Poca favilla gran fiamma seconda: Forse diretro a me con miglior voci Si pregherà perchè Cirra risponda. Surge a' mortali per diverse foci La lucerna del mondo; ma da quella, 35 La partorir letizia in su la lieta deità delfica. fronda peneia, il lauro, in cui si converti Dafne, figlia del fiume Peneo. Alcun di sè asseta, accende in alcuno il desiderio di sè. Dovria, for. poet. dovrebbe. Lieta, di sua beatitudine. Delfica, di Delfo, fa mosa pel tempio d'Apollo: vel Baccho Thebas, vel Apolline Delphos insignes. Orazio. 34-36. Alf. not. - Poca favilla, ecc. Il Petrarca, imitando: Di poca fiamma gran luce non viene. Ed è quel parve sæpe scintilla magnum suscitavit incendium. Forse, accadendo talvolta che gran fiamma s'accenda di picciola favilla. Diretro a me. Alf. spiega: dopo di me. Si pregherà, intendi da alcun miglior poeta. Perchè Cirra risponda. Cirra è città della Focide, appiè di Parnaso, ov'era Apollo venerato. Adunque vuol dire: forse avverrà che dietro l'esempio mio, altro poeta, invaghito di bella lode, invocherà Apollo a maggior estro, e più glorioso fine. pro 37-42. Alf. nota il primo, e del secondo la lucerna del mondo. Nella Pistola più volte citata : pars secunda incipit ibi: surgit mortalibus per diversas fauces; considerando quel che precede come logo. Per diverse foci. Chiama foce, sboccatura, il punto dell'orizzonte onde surge il sole; e perchè varia quel punto secondo le stagioni, però dice per diverse foci, che il Cod. Stuard. legge da diverse, ecc. La lucerna del mondo, il sole. Ma questa espressione ha fatto increspare il naso al Casa, al quale (vedi che fa volerlo mettere dove non si deve) pareva sentir il puzzo dell'olio sfumante. Ma gli si risponde, primamente che a' tempi di Dante, e più in qua, lu Che quattro cerchi giugne con tre croci, 40 Con miglior corso e con migliore stella Esce congiunta, e la mondana cera Più a suo modo tempera e suggella. cerna significava semplicemente luce; secondamente, che questo qualificativo, del mondo, toglie ogni disformità; terziamente, che imitò Dante quel di Virgilio, Postera Phebea lustrabat lampade terras; che dice altrove: Phœbeae lampadis instar; infine, e questa non se l'aspettava certo, che il gran Buonarroti, altro muso che quello del Casa, adoperò pure lo stesso vocabolo nelle sue rime, degne del primo non che del secondo dei nostri lumi maggiori : Per fido esempio alla mia vocazione, Che di due arti m'è lucerna e specchio. , Da quella, suppl. foce. Che quattro cerchi giugne, ecc.; puoi vedere nella sfera armillare come e dove l'orizzonte, lo zodiaco l'equatore, e il coluro equinoziale si tagliano, e formano tre croci i tre ultimi, ch'è appunto nel principio dell'ariete o in quello della libra, segni equinoziali; ma il Poeta ha in riguardo il primo, dove stava allora il sole. Dice adunque che il sole surge ai mortali per diversi punti dell'orizzonte, ma per quello, dove il detto incrocicchiamento s'incontra, egli esce fuori con miglior corso, intendi per riguardo a noi. - E con migliore stella, ch' è la costellazione dell'ariete, perocchè, quand'esce con essa, piove una virtù dal suo raggio che veste di novello colore il mondo, e feconda i semi d'ogni frutto. Ma ecco le parole del Poeta, a perfetta intelligenza di questo luogo e d'altri, quali nel suo Convito stanno scritte : il tempo, secondo che dice Aristotile nel quarto della Fisica, è numero di movimento, secondo primo e poi, e numero di movimento celestiale, il quale dispone le cose di quaggiù diversamente a ricevere alcuna informazione; che altrimenti è disposta la terra nel principio della pri Fatto avea di là mane e di qua sera Aquila sì non gli s'affisse unquanco. 45 mavera a ricevere in sè la 'nformazione dell'erbe e delli fiori, e altrimenti lo verno, e altrimenti è disposta una stagione a ricevere lo seme, che un'altra. E della stagione che s'intende dice il Petrarca: .... alla stagion che 'l freddo perde, E le stelle migliori acquistan forza. E però soggiunse, ch'allora il suo lume, unito alla benefica virtù di quella stella, tempera, modifica e suggella (imprime) più a suo modo la cera mondana (la materia mondana). 43-48. Alf. not. salvo tal foce quasi. - Fatto avea, ecc. Ordina: il sole, surgendo per tal foce, avea fatto mane di là, e quasi sera di qua; e dice tal foce, attribuendo al luogo l'azione del sole che passa per esso. Avea fatto mane di là; perocchè la voce mane non determina precisamente, però soggiunge e quasi sera di qua, accidente pel quale l'estensione della voce mane si determina a punto. E sai che, per la distanza del sole dalla terra, mentre egli nasce di là, l'atmosfera di qua rimane lungo tempo illuminata. Di là, nell'emisperio di là; di qua, istessamente. E tutto era là bianco per cagione del sole già surto fuori. E l'altra parte nera, la parte orientale dell'emisperio nostro. In sul sinistro fianco; rivedi nel iv del Purgatorio quello che ha detto del vedere il sole da sinistra, e ammirava che da sinistra n'eravam fe riti. - Unquanco (unque anco), mai. , 49-54. Alf. not. - Dice che, veduta Beatrice affissarsi così nel sole, egli fece istessamente, e che quel suo volgersi fu spontaneo, e presto come raggio riflesso; nè rimase da tanta luce abbagliato. Secondo raggio. Chiama primo, il raggio che scende diretto; 50 E sì come secondo raggio suole 55 Molto è licito là, che qui non lece e secondo, quello che dal corpo che riceve il primo viene riflesso. E risalire in suso. Nel xv del Purg.: Come quando dall'acqua o dallo specchio A quel che scende, ecc. Pur come; e quasi volendo tornare onde venne, come peregrino al proprio nido. Così dell'atto suo, ecc. Ordina: così l'atto mio (di rivoltarmi subitamente, e riguardar nel sole) si fece (dalla vista) dell'atto suo, infuso per gli occhi mici nella mia immaginazione; vale a dire: veduto, fatto. Nella Fiera : Qual raggio e qual splendore è che trapassa Fissi, fissai, spiega Alf. Oltre a nostr'uso, di là da quello che siamo noi usi di fare di qua. 55-57. Alf. nota i due primi. - Lece, voce poet. è lecito. Alle nostre virtù, alle potenze nostre, che sono i sensi. Per proprio, suppl. soggiorno. - Spece, troncamento poet. specie. La generazione dell'umana specie fu nata in quel luogo; adunque nella terra che abita essa è come pianta fuori del suo natio cielo delle quali dice Dante nel Convito, se si trasmutano, o muoiono del tutto, o vivono quasi triste siccome cose disgiunte dal loro (luogo) amico. 58-60. Alf. not. Affissatosi nel sole, come ha detto, spiccasi Dante con Beatrice da terra verso il cielo; ma non se n'accorge cosi tosto. E questo è |