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L'ultimo che, a mia notizia, ha di volo ritoccato le suppe, è stato Paolo Bellezza nelle sue Curiosità Dantesche (Milano, Ulrico Hoepli, a pag. 325): « Zuppe indigeste per gl' interpreti!» egli ha sentenziato, e a prova ha riferito la spiegazione di P. Pozza, pubblicata nel 1906 dal periodico Fanfulla della Domenica. La voce suppa, secondo il detto autore, sarebbe identica alla parola tedesca joppe una specie di abito tuttora usato da' montanari del Tirolo dietro ciò il passo controverso è da interpretarsi : « La giustizia di Dio non teme le indisciplinate masnade delle joppe dei feudatari tedeschi nell' Italia settentrionale e mediana ».

Chiudo qui l'esame che, ho creduto conveniente di fare delle chiose, nei vari secoli, fino all'anno presente, escogitate sulle suppe dantesche. La lista parrà ad alcuni che è stata soverchia, ma siccome, come disse sul principio d'una sua celebre satira l'Ariosto « Degli uomini son varî gli appetiti altri lamenterà p. es. che non ho ricordato le interpretazioni

Poggiali, degli editori dell'Ancora, il commento (Prato, Vannini) anonimo, il commento di mons. Bartolini, ii commento Francesia quello di Giulio Acquaticci o quello di Antonino Giordano, o altri, de' quali mi son pas sato, se sulle suppe, pur avendo altrove del buono, nulla avevano di nuovo. Io avevo finito col temere che ripetendo troppe volte lo stesso motivo, avrei annoiato i lettori, tanto più che quella ripetizione obbligata sempre della stessa vivanda, per quanto si cucinasse, variandone un po' la salsa dai diversi autori, aveva COminciato, lo confesso ingenuamente, ad apparire noiosa a me stesso.

Passo quindi ad esporre la mia interpretazione e tutte le ragioni che mi hanno profondamente persuaso ad adottarla.

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Giornale dantesco, anno XXIII, quad. II-III.

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Studi di lirica toscana anteriore a Dante

I.

Ricerche sulla attribuzione delle rime del "Canzoniere,, di Chiaro Davanzati seguite da un saggio bibliografico di queste.

Allorchè noi ci accingiamo a ricercare per entro i più antichi canzonieri della nostra lirica quanto la fortuna e il tempo ci hanno lasciato dell'opera poetica di Chiaro Davanzati ci si presenta un fatto ben singolare che merita di essere meditato per le conclusioni a cui può condurci. Ed è che tutte le sessantuno canzoni del poeta e quasi tutti i sonetti, centotrenta circa, si trovano conservati quasi unicamente nel cod. Vat. 3793. Era dunque il nostro rimatore di cosí piccola fama da non essere conosciuto, o da essere tenuto in pochissimo conto dai compilatori delle altre raccolte, perché costoro tanto lo trascurassero? O c'è forse qualche altra ragione?

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1 N. CAIX. Le origini della lingua poetica italiana. Firenze, succ. Le Monnier, 1880, pag. 15 e sgg. Nell' introduzione di questo pregevole lavoro furono per la prima volta raggruppate le migliori e più sicure notizie intorno ai principali nostri antichi canzonieri: e si può affermare che ben poco di nuovo è stato detto in seguito onde mette conto di ricorrervi più spesso di quello che comunemente si faccia.

2 Il Canzoniere Palatino 418 della Biblioteca Nazionale di Firenze, pubblicato a cura di A. Bartoli e T. Casini. Bologna, Romagnoli, 1888.

raccolta oggi nota sotto il nome di Palatina 418 deve essere estratto o copia di una anteriore lucchese, tanto in essa è riccamente rappresentata la tradizione letteraria di quella città. Larga accoglienza vi si fa anche, oltre che a Guittone, ai pisani, mentre i fiorentini vi sono appena e malamente rappresentati dai piú oscuri dei loro verseggiatori, fatta eccezion dell'Alighieri che vi figura per la canzone Fresca rosa novella (n.o 126). Di Monte Andrea, di Rustico di Filippo, di Pacino Angiolieri, di Chiaro, di tutti gli altri poeti di quel gruppo cosí detto di transizione par che se ne ignori l'esistenza.1

Campanilistico, di carattere fortemente pisano, è anche il cod. Laur. Red. 9 ove primeggiano, assieme ai rappresentanti della vecchia

1 Sono con certezza fiorentini solo i seguenti: Amoroso (no 80); ser Bello (no 172, cfr. F. Torraca. Studi sulla lirica italiana del duecento. Bologna, Zanichelli, 1902, pag. 224); mastro Melliore che è Migliore degli Abati (no 138, cfr. TORRACA. Studi.... cit., pagg. 222, 223, 227, 229 e dello stesso, Per la storia letteraria del sec. XIII in Italia in « Rass. Crit. d. Lett. ital. », X, (1905), pag. 116); Ricco (no 176, cfr. Torraca. Studi.... cit., pag. 229 e Per la storia lett...... cit., pag. 116); Riccuccio (nri 121, 123); Talano (no 154). Fiorentino forse è anche Albertuccio da la Viola o dall'Aiuola il cui nome insieme a quello di Riccuccio è posto in fronte alla poesia no 121, un grazioso contrasto fra madonna e messere. Non mi pare invece probabile che quel ser Pace notaio delle cui rime il Canzoniere abbonda sia da identificarsi col fiorentino Pax notarius quondam Pacis Vitelli sextus sancti Petri, ricordato nel << Libro di Montaperti » al giorno 28 aprile (cfr TORRACA, Studi.... cit. pag. 223).

scuola siciliana e assieme a Guittone, il dittatore di Toscana tutta che non poteva in nessun modo mancare, Bacciarone, Lotto di ser Dato, Natuccio Cinquino, Galletto, Nocco di Cenni, Pucciadone Martello ed altri, tutti di Pisa.

Piú informati che per l'altro manoscritto, noi siamo qui in grado di assicurare che pisana fu anche la mano che lo scrisse, almeno nella parte fondamentale e piú importante che è la prima delle canzoni e dei sonetti. Fuori d'ogni dubbio dunque, abbiamo a che fare con qualche cosa di assai locale, con una raccolta che, nata nella città in riva alle foci dell'Arno, ne rispecchia l'ambiente letterario e ci offre il fiore della sua tradizione poetica per tutto il sec. XIII. Come poi nel Palatino 418 non mancavano i saggi di cotesta tradizione, cosí nel Laur. Red. 9 Bonagiunta e altri lucchesi trovano scambiata l'ospitalità. E un posticino è anche serbato ai fiorentini il Davanzati, anche lui, può far mostra della perizia che ha nel rimare, sia pure con una sola can

zone:

A San Giovanni, a Monte, mia canzone

e con un sol sonetto :

Come 'l fantin che ne lo speglio smira, 3

Ma qual piccolo e meschino saggio in confronto del suo ampio canzoniere! Tanto più piccolo e tanto piú meschino se si pensa che canzone e sonetto non stanno da sé, ma bensí fanno parte rispettivamente di due tenzoni che il nostro scambiò con l'amico Andrea Monte. Eppure Chiaro aveva dimorato a Pisa, dove, per essersi innamorato, avrà certamente composto parte delle sue rime! Non è già

1 Cfr. l'introduzione che T. Casini premette alla sua ediz. del ms. Bologna, Romagnoli, 1900, pag. XIII.

2 Cfr. la tavola delle Rime dei due mss. che dà il Caix in appendice all' op. cit., pag. 255 e sgg.

3 Hanno i numeri LXXXV e CCCLIII e sono a pag. 145 e 328 dell'ediz. cit. Il sonetto CCCLIII si ritrova trascritto nel cod. parmense 1081 (cfr. E. COSTA. Il Cod. Parmense 1081 in « Giorn. stor. d. lett. ital. », XII (1888), pag. 94).

4 Cfr. i miei Appunti per servire alla biografia di Chiaro Davanzati in << Zeitschrift f. rom. Philologie, XXXVIII (1914), pagg. 455-456.

molto strano che il compilatore del Laur. Red. 9 lo abbia cosí trascurato?

Scorriamo ora il Vat. 3793.' In esso, divisa in due grandi sezioni, canzoni e sonetti, la poesia lirica del duecento viene largamente e mirabilmente rappresentata con ordine e acume, incominciando dal Notaro per scender giú fino a Guittone, ai Bolognesi e ai poeti dello stil novo. Ciascun quaderno di cui il manoscritto si compone contiene raccolte le rime di un poeta o di un gruppo, seguite nello spazio che riman libero, da altre, per lo piú anonime. Nei sonetti, gli spiccioli precedono, quasi sempre, gli altri collegati in tenzoni o in contrasti. La raccolta che è la più ricca, la piú varia e la meglio condotta di quante ne abbiamo, non trascurò né Pisani, né Lucchesi, né Pistoiesi, né Aretini, né Senesi : quasi quasi parrebbe eclettica, priva cioè di quel gretto spirito locale che abbiamo dovuto riconoscere nelle altre. Eppure no: a esaminarla, ci si accorge facilmente che Firenze trionfa con i suoi rappresentanti i quali signoreggiano, non solo per il loro numero, ma

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1 Si può dire che quasi tutti gli studiosi della nostra lirica delle origini hanno avuto occasione di discorrere di questo importantissimo codice. Primi a darcene notizia furono il Fantuzzi. (Notizie degli scrit· tori bolognesi. Bologna, 1781-1794, vol. II, 148 e VIII, 308) e il GRION (Romanische Studien del Böhmer, I (1871) pagg. 61-113). A spizzico qualcosa ne avevan già pubblicato il Trucchi, il D'Ancona e altri. (Cfr. i numeri 9 e 11 della tavola che do a pag. 127). Sarà appena necessario ricordare l'intera stampa a cura dello stesso D'Ancona e Comparetti. (Bologna, Romagnoli, 1875-1878) e la riproduzione diplomatica per opera della Società Filologica romana. (Il libro de varie romanze volgare a cura di F. Egidi, S. Satta e G. B. Festa. Roma, Loescher, 1902-1908) Quando non segua alcuna speciale indicazione, le rime si intendono contrassegnate col numero d'ordine che hanno in que

sto ms.

2 Fanno eccezione i sonetti DCCCXIII-DCCCLX di Rustico di Filippo e i sonetti DCCCLXIV-DCCCLXIX di Monte. Per queste osservazioni cfr. G. SALVADORI. Sopra due serie di sonetti adespoti nel canzoniere vaticano 3793 in « Bull. della Società filologica romana », VII (1905), pag. 47 e sgg. Si noti tuttavia che per gli ultimi sonetti regna un po' di confusione e una qualche incertezza.

1

piú e specialmente per l'abbondanza delle rime che di ciascuno vi si trascrivono. Se guardiamo le tenzoni, non una ve n'ha, eccezion fatta per un sonetto di Bonagiunta al Guinizelli e per la risposta di costui, in cui uno almeno dei contendenti non sia fiorentino: di Chiaro Davanzati si leggono circa centonovanta rime! Nomi oscuri, irreperibili in qualsiasi altro canzoniere figurano qui con le loro brave sei o sette o piú poesie; sono: ser Cione notaio, Pacino di ser Filippo Angiolieri, Palamidesse Bellindote, Schiatta di messer Albizzo Pallavillani, maestro Francesco e altri, altri ancora. Tutto quel gruppo insomma di poeti che fiori negli anni dopo Montaperti e dei quali il Davanzati può considerarsi come il corifeo, o almeno come il principal rappresentante, vi è largamente, se non interamente, rappresentato. Onde io penso che a loro si debba l'idea e la direzione della raccolta e si potrebbe anche sospettare che una tale idea venisse ai poeti fiorentini proprio dal fatto di essere stati ammessi con tanta parsimonia nelle altre due dei loro confratelli pisani e lucchesi, Ma la conoscenza, ancora cosí incompleta e imperfetta, che noi abbiamo della poesia di quella età non ci permette di convertire il sospetto in certezza: per affermare con sicurezza quanto accenno come semplice ipotesi bisognerebbe provare e lo stato dei nostri studi ancora non ce lo permette che realmente il Vaticano sia posteriore agli altri due manoscritti; che questi erano noti a Firenze e sopra tutto bisognerebbe aver notizia delle altre raccolte che si andarono. formando in quell'età e che oggi sono a noi del tutto ignote oppure conosciute soltanto a frammenti."

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Che il Davanzati non figuri in altri manoscritti, anche di una certa importanza, quali

1 DCCLXXXV-DCCLXXXVI.

2 Si ricordino le due pubblicazioni di E. RoSTAGNO. Frammenti di un cod. di Rime volgari affine al vat. 3793 in « Giorn. stor. d. lett. ital. », XXVI (1895), pagg. 141-155 e di F. PELLEGRINI. Frammenti di un canzoniere ignoto del sec. XIV. Verona, stab. tip. G. Franchini, 1896 (per nozze Biadego-Bernardinelli).

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il Barber. XLV, 47' e il Vat. 3214, non deve meravigliarci, essendo l'uno e l'altro compilazioni posteriori. A Niccolò de Rossi, il trevisano poeta, il quale ancora nel trecento inoltrato faceva sentire per le corti dell' alta Italia gli accenti dello Stil Novo, noi dobbiamo la prima, mentre la seconda è più tarda e rimonta al principio del XVI sec. E che il De Rossi, lontano di Toscana, preferisse Pisani e Lucchesi ai Fiorentini, appare chiaro sol che si ponga attenzione all'indice delle rime; al raccoglitore del Vat. 3214 poi non fu presente l'omonimo canzoniere 3793, perché spesso diversa è la lezione delle rime e diversa qualche volta è anche l'attribuzione, come per un caso vedremo noi stessi fra breve.'

Nessuna importanza ha pure il fatto di non ritrovare il nome del nostro rimatore nella tavola del Libro reale pubblicata dal Monaci; sappiamo, dopo quanto ce ne disse il Molteni, che è derivazione diretta del Laur. Red. 9.°

Volgiamoci dunque al cod. Vat. 3793, al Libro de varie romanze volgare, come ebbe a chiamarlo un anonimo postillatore, e poniamolo a fondamento del nostro studio.

Oltre sessantadue canzoni, vi si trovano, di Chiaro, centoventi sonetti almeno dico almeno, perché su una serie di sette, per essere

Il Canzoniere Vaticano-Barberino lat. 3953 (già barb. XLV, 47) per cura di G. Lega, Bologna, Romagnoli, 1905.

2 Ce ne diede per primo notizia L. Manzoni in << Rivista di filologia romanza », I (1872), pag. 72 e sgg.; è stato per intero pubblicato dal PELAEZ. Rime antiche italiane secondo la lezione del cod. Vat. 3214 e Casanatense d. v. 5. Bologna, Romagnoli, 1895.

3 Sulla veridicità della attribuzione al De Rossi, cfr. E. MONACI. Da Bologna a Palermo in << Antologia della nostra critica letteraria » compilata da L. Morandi. Città di Castello, Lapi, 1906, pagg. 229-30. 4 Vedi a pag. 124.

5 E. MONACI. Zur Handschriftenkunde « Il Libro reale » in << Zeitschrift f. rom. Philologie » I (1877), pag. 375.

6 F. MOLTENI. Sul Libro Reale, in «Giornale di filologia romanza », I (1878), pagg. 50-52.

adespoti, c'è qualche dubbio. Essa si trova a C. 114, tra un gruppo di otto, certamente

suoi e uno del Notaro Giacomo da Lentini.1 Il Salvadori inclinò a crederli del Guinizelli, basandosi specialmente su alcune somiglianze di contenuto: una è la donna angelo del poeta bolognese che riappare nei tre seguenti sonetti della serie:

Non me ne maraviglio donna fina
(CCCLIX)

Donzella gaia sagia e canosciente

(CCCLX)

Gientil e sagia donzella e amorosa

(CCCLXII) 3

ravvicinati dallo stesso Salvadori al sonetto di Guido:

Gentil donzella

un'altra è fra il sonetto CCCLXI

Lo folle ardimento m'à conquiso

1

sa

sue rime? poiché, non dimentichiamo, alcune di queste portano in testa il loro bravo Messer Guido di Guinizello di Bologna. O non rebbe riuscito più comodo al raccoglitore o a chi ispirava il raccoglitore escludere senz'altro il poeta dalla raccolta ? Io penso che in ogni caso avrebbe preferito cancellare il nome del lucchese Bonagiunta, ad esempio, o quello di un qualche pisano e, se non lo ha fatto, è perché un concetto puramente artistico lo ha guidato nella scelta delle rime, senza che su di esso le rivalità letterarie o le ripicche cittadine avessero, come che sia, il sopravvento. Di questo va data piena lode a chi spetta.

Restano, a giustificare l'attribuzione guinizelliana, le somiglianze. Ma quanto piú numerose e calzanti sono quelle che possono istituirsi spigolando di tra le rime di Chiaro ! L'angelica sembianza femminile ispira ed esalta il gentil cavaliere bolognese come

e la prima stanza della canzone guinizelliana l'autore dei sonetti in discussione: nei versi ricordata anche da Dante :

Tegnol di folle impresa allo ver dire. 4

Di piú, sempre a detta del Salvadori, il poeta bolognese non era troppo ben visto dal gruppo letterario fiorentino d' allora, da quel gruppo per l'appunto ove primeggia Chiaro, e perciò il compilatore della raccolta la quale, come s'è visto, ne è come l'espressione letteraria, dimenticò, o meglio, finse di dimenticarsi del nome del Guinizelli in fronte ai sonetti. La supposizione è ingegnosa e potrebbe correre se non fosse troppo ardito pensare che le ripicche e le gelosie arrivassero in quella brava gente a un punto tale da indurli a passare per ignoranti o almeno per distratti, piuttosto che rendere giustizia al merito. Perché poi, anche ammessa la maligna intenzione di oscurare con l'anonimità la fama del Guinizelli presso i posteri, perché, mi domando, non avrebbero esteso un tal trattamento a tutte le

1 Vanno dal n. CCCLVIII al n. CCCLXIV.

2 Cfr. il suo art. cit. a pag. 47 e sgg.

3 XI dell' ediz. Casini (Rime di poeti bolognesi del sec. XIII, Bologna, Romagnoli, 1881).

De Vulg. Eloq. II, 6.

dell' uno e dell' altro ne echeggia dolce la memoria. Ecco quanto può dirsi che ci sia di comune fra i due; troppo poco! Tanto più che ravvicinare la propria donna agli angeli e raffigurarla come fattura divina più che umana era, come prova bene Vittorio Rossi, un' immagine già allora ben diffusa, come è ora, nella poesia popolare ».'

2

Invece certi altri raffronti possono stabilirsi soltanto col canzoniere di Chiaro. Se non è privilegio di costui l'accostar la donna al fiore, certo è suo modo preferito e certo nel suo canzoniere avviene assai più spesso che in quello del Guinizelli (del quale non conosco altro esempio che il sonetto :

Voglio del ver la mia donna laudare
Et assembrargli la rosa e lo giglio) 3

forse perché la donna amata e cantata dal Davanzati si nomava realmente da un fiore o

1 Cfr. i nri CIV, CV, CVI, CDLXXXIII, DCCLXXXVI.

2 V. Rossi. Il Dolce Stil Novo in « Le opere minori di Dante Alighieri ». Firenze, Sansoni, 1906, pag. 76 (nota 28).

3 XVI dell'ediz. cit. del Casini,

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