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cescani e Dante Alighieri. Quaracchi presso Firenze, tip. del Collegio di S. Bonaventura, 1913, in-8°, pp. VII-123.

Contiene: I. S. Francesco d'Assisi e Dante Alighieri nella Chiesa e nella società cristiana; 2. Dante Alighieri francescano e tutto informato dello spirito francescano; 3. Il Canto XI del « Paradiso » in lode di s. Francesco e del suo Ordine; 4. Ancóra di s. Francesco e de' suoi figli nella « Divina Commedia »; 5. I Francescani encomiatori, espositori e studiosi della « Divina Commedia »; 6. Ancóra dei Francescani espositori e studiosi della « Divina Commedia » ne' tempi recenti. (4823) MARUFFI GIOACCHINO. Artifizio retorico nella Divina Commedia ». Napoli-Roma, Soc. ed. Dante Alighieri, di Albrighi, Segati e C., 1914, in-16°, pp. 35.

(4824)

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La patria e la vita di Cecco Angiolieri. (In Bull. senese di st. patria, VIII, 435.

Contro l'opinione di G. Mancini (Cortona nel medio evo, Fir., 1897, p. 126; Il contrib. dei Cortonesi alla coltura ital., Firenze, 1898, p. 8), il quale forse mosso da un soverchio amore per la sua Cortona cercò di togliere a Siena... questo, che ben può dirsi escisse dalla volgare schiera dei rimatori vissuti tra il XIII e il XIV secolo, bizzarro ed originale poeta Cecco Angiolieri, » dimostra, con buone osservazioni, che egli per la nascita, la vita, l'ispirazione » è « gloria tutta senese ».

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(4826)

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MURATORI SANTI. La cisterna del chiostro francescano. (In Felix Ravenna, ott. 1913).

Descrive, e la descrizione accompagna di buone riproduzioni, una cisterna di preziosi marmi costruita nel XVII secolo — con pietre che i Minori conventuali ricevettero da' frati di San Vitale, nel secondo de' due chiostri di San Francesco in Ravenna, e precisamente in quello che è addossato alla chiesa e a cui è attigua la tomba di Dante. (4830)

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Pagine sparse di erudizione e di storia ravennate. Ravenna, prem. Tipografia nazionale E. Lavagna e f., 1913, in-8°, pagine 84-(4)

Tra i notevoli scritti che il M. utilmente raccoglie in un volume, e dei quali la piú gran parte già vider la luce nella simpatica rivista Felix Ravenna e in altri periodici, segnaliamo ai lettori nostri la relazione Per la « Lectura Dantis» in Ravenna, scritta per conto della Giunta comunale.

(4831)

NADIANI POMPEO. Il sesto centenario di Dante e i cattolici. (Nel Momento, 18 giu. 1914).

È la prima volta che i cattolici si accingono ad onorare solennemente D.; e questa è l'occasione per dimostrare a tutti « che essi amano di un pari amore lo splendore del genio e l'onore della patria ». (4832)

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et stilum cantilene de quatuor rithimis, et non a Dante ». Come è noto, secondo l'ipotesi, che pare ancóra la più accettevole, del Canello, qui si tratterebbe della sestina, per l'errore di un IV male scritto o mal trascritto in vece di VI; ma secondo il Mari (La sestina d'Arnaldo la terzina in Dante, Milano, 1899), poiché la scrittura dei mss. darebbe un iiij di fronte ad un vj, ciò che non lascia supporre uno sbaglio, e, comunque, nei varii mss. del Comento di Benvenuto il numero figura sempre in tutte lettere, sarebbe piuttosto da pensare alla terzina, e da ritener che il modus et stilus che il Petrarca dei Trionfi avrebbe tratto da Arnaldo non fosse altro che il collegamento cruciato continuo, «l'unica cosa che in una serie A B A B C B C D... di fronte ad una serie A A A b. B B B c. CC... a quei nostri trecentisti doveva parer notabile ». Ora il N. non crede di potersi appagare a questa nuova ipotesi. Egli crede invece che il Petrarca alludesse alla canzone: Lasso me, ch'i' non so in qual parte pieghi, quella che termina la prima stanza con un verso: Dres et rayson es qu'ieu ciant e' m demori, che pel P. come pe' suoi chiosatori è di Arnaldo. In fatti è questa la sola fra le canzoni petrarchesche che sia costrutta su quattro rime, e la sola che vada senza commiato e sia conclusa in ogni stanza da un verso di poeti famosi, ciò che forse anche spiega il nome di cantilena che l'Autore stesso usa nel citare una canzone di Arnaldo: Amors e jois e liocs e tems, onde tolse il v. 40 per la fine del sonetto: Aspro core e selvaggio. Il termine di quattro rime dato alla canzone sarebbe dunque legittima traduzione di «< cantilena de quatuor rithimis », e denoterebbe e distinguerebbe propriamente e pienamente dalle altre sue sorelle la canzone Lasso me. Ma perché il P. avrebbe avvertito che quella poesia non gli era stata suggerita da D. ? Risponde il Neri : perché la canzone si accosta al discorso, di cui l'esempio più insigne era appunto di D.: Aifals ris, al quale l'assegna l'autorità dei mss., che non ha trovato alcuna seria contestazione fin qui.

NERI FERDINANDO.

(4833)

La scuola del Bartoli. Roma, tip. dell' Un. editrice, 1913, in-8°, pp. (20).

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PEDRAZZOLI UGO. L'orologio celeste di Dante e altre noterelle: sesta Ricreazione dantesca. Torino, Ditta G. B. Paravia e C., 1919, in-8°, pp. 30.

(4841)

PELLIZZARI ACHILLE. Portogallo e Italia nel secolo XVI: Studi e ricerche storiche e

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PROTO ENRICO. La dottrina dantesca delle macchie lunari. [S. note], in-4°, pp. (20).

Nel Convivio (II, 14) Dante si attiene per la questione delle macchie lunari alla spiegazione di Averroè, al quale il Poeta si riferisce nel rispondere a Beatrice nel II di Par. Gli argomenti recati innanzi da Beatrice si tenevano finora derivati da Alberto Magno; qui il P. dimostra invece, contro il Toynbee (Ricerche e note dantesche, Bologna, 1899) come la vera fonte sia da ricercarsene nel commento dell'Aquinate al De coelo et mundo, e non pure di quelli argomenti, ma della spiegazione delle macchie eziandio.

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intelletto, tanto meno soggiace alla fortuna ». Questa citazione non si è potuta trovare nelle opere del Filosofo. Il Moor l' ha creduta errata (Studies in Dante, Oxford, 1896, pag. 153) e il Flamini (Opere minori di D. A., Livorno, 1912, pag. 192), fondandosi certo sopra una notevole e suggestiva citazione mazzucchelliana pur riferita dal Moor, crede che D. la ritrovasse attribuita ad Aristotele « in qualche florilegio di detti memorabili ». Ora il Proto, seguendo il suo infaticato e fortunato indagare circa le fonti delle dottrine dantesche del Convivio, non solo ha rintracciato l'opera in cui si trova questa sentenza, ma pur la 'origine donde il Poeta la trasse. Essa è nei Magna Moralia, sulla cui attribuzione il Medio evo non ebbe dubbii, dove si parla della Fortuna (II, vIII, 2). Quest' opera citata (e proprio lo stesso lib. e lo stesso cap.), da s. Tommaso nella Summa contra Gentiles, III, 92, dove appunto parla della Fortuna. « Ma noí - scrive il P. non dobbiam torturarci il cervello, per cercar donde il Poeta attinse, nella forma da lui riferita, (diversa da quella data dai Magna Moralia) perché la sua fonte è..... la Fisica di Aristotele, commentata da s. Tommaso; e, come al solito, non il testo, ma il commento ». La sentenza riferita da D. è anzi tradotta fedelmente dal latino dell'Aquinate, che, si noti, in questo stesso capitolo (II, 8) dà, commentando, come esempio di avvenimento di pura fortuna, l'invenzione di un tesoro: mentre di un villano appunto che zappando trovò più d'uno staio di monete di fine argento che forse più di mille anni lo avevano aspettato parla anche D., nel cit. luogo del Convivio. (4848)

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logna, Stab. poligrafico emiliano, 1910, in-8°, pp. 35-(1).

La « conferenza» fu fatta l'11 dec. 1909 in Bologna nella Sala dei Fiorentini, e reca, qua e là, buone << osservazioni ». (4851)

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RIZZACASA D' ORSOGNA GIOVANNI. Ancóra per il 1301. Palermo, Stab. tipografico Virzí. 1911, in-8°, pp. 27-(1).

Rispondendo allo scritto di V. Cian nel Fanf. d. domenica, Ancóra pel 1300, vuol dimostrare: 1o Che nessuna importanza diede D. nella Divina Commedia al giubileo; 2o Che bisogna distinguere gli anni che si usavano ne' tempi di D., per comprendere la ragione perché Bonifacio VIII incluse, per il giubileo, il Natale dell' anno 1299 e. v.; 3o Che il noto doc. sulla morte di Guido Cavalcanti non si riferisce all'amico di D.; ed è erroneo il giudizio dato su' calcoli astronomici da alcuni dantisti; 4o Che de' cenni storici della Divina Commedia nessuno è chiaramente favorevole al 1300; invece parecchi sono decisamente favorevoli al 1301; 5° Lo stile cronologico da D. adottato nella Divina Commedia indica esattamente il giorno, il mese e l'anno in cui ebbe principio la Visione. Fanno seguito un capitolo: Ancóra Guido Cavalcanti, e le Bolle di Bonifazio VIII per l'apertura e la chiusura del Giubileo. (4852)

- La cronologia quale materia di scienza astronomica nella « Divina Commedia ». Palermo, Stab. tipografico Virzí, 1910, in-8°, pp. 48.

(4853)

La luna nella « Divina Commedia » : tre nuovi Studi di Astronomia dantesca. Palermo, Stab, tipografico Virzí, 1912, in-8°, pp. 40.

Si chiosano i passi di Par., II, 29-30: « Congiunti con la prima stella »; XVI, 82-83: « Il volger del ciel della Luna »; XXIX, 94-102: « Un dice che la Luna si ritorse ». (4854)

Urania e Clio, ovvero l'ammirabile concordanza dell' astronomia e della cronologia nella « Divina Commedia » : Lettera aperta all' illustre astronomo Elia Millosevich. Palermo, Stab. tip. Virzí, 1914, in-8°, pp. 48.

Vi si trattano questi argomenti: 1. La dottrina cronologica di D.; 2. Luoghi cronologici della « Divina Commedia » ; 3. L'età di D. nell'anno del poe

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SABBADINI REMIGIO. Un testo volgare di Giovanni Del Virgilio. (Nel Bull. d. Soc. dant. it., XXI, 55).

Il « Corrispondente buccolico latino di Dante »>, come chiama il Del Virgilio il S., compilò in versi le favole delle Metam. ovidiane e anche ne commentò tutto il testo in un suo brutto latino. Orbene; giunto a chiosare il lib. XIII, nel punto ove è narrato l'amore di Polifemo per Galatea, il commentatore traduce in volgare i versi 789-809 del Canto di Polifemo. Il volgare da lui adoperato è il veneto, se non proprio il veneziano : « il che non dovrebbe sorprendere, anche perché il Del Virgilio nacque bensí a Bologna, ma da genitori padovani, e avrà perciò parlato in famiglia il dialetto avito ». Del passo il S. reca il testo di su i due codici AF, 14, 21 di Brera, e 1369 Casanatense.

(4861)

SACCHI E. - « E ciò sa il tuo dottore ». (Nella SIGNORINI GIUSEPPE. Per una esposizione Perseveranza. 25 agost. 1914),

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di Rodolfo Renier. Con XX tavole fuori testo. Torino, F. Bocca, editori, 1912, in-4°, pp. XXXI-1158.

Il bel volume, col quale ammiratori e discepoli di Rodolfo Renier hanno voluto ricordare il trentesimo anniversario dacché l'illustre uomo insegna nell' Ateneo torinese, e, insieme, il trentesimo anno di vita di quel glorioso Giornale storico della Letteratura italiana che egli fondò con Michele Scherillo e con Francesco Novati, contiene tra altro alcuni scritti che direttamente o no si riferiscono a Dante e che qui si ricordano: Enrico Proto, La dottrina dantesca delle macchie lunari (cfr. no. 4846); A. Della Torre, Per una nuova interpretazione dei « Trionfi » (cfr. n. 4794); A. Farinelli, Il « Giudizio » di Michelangelo e l'inspirazione dantesca (cfr. no. 4801); G. Crocioni, Giacinto Campana poeta e dantista dello scorcio del Cinquecento (cfr. no. 4788); A. Venturi, Luca Signorelli interprete di Dante (cfr. no. 4648); P. Toynbee, Chronological List, with noty. of pain tings and drawings from Dante by Dante Gabriele Rossetti (cfr. no. 4647). Recens. di C. Pellegrini in Bull. d. Soc. dant. il., XX, 178.

(4867)

dantesca internazionale: Lettera all'Assessore della pubblica Istruzione di Firenze, dec. 1913. (Nel Nuovo Giorn., VIII, 337).

Per onorare Dante nel secentenario dalla sua morte, propone una << esposizione universale dantesca » a Firenze pel 1921. « lo vorrei -- scrive la ricostruzione, per quanto è possibile, esatta della Firenze del tempo di D., dei luoghi che il Poeta visitò o dove fu ospitato; poi bramerei che fosse chiamato tutto il mondo civile a onorarlo col mandarci o gli originali o le fedeli riproduzioni di tutti i ritratti di lui, di tutti i quadri ispirati dalla Commedia, la riproduzione dei monumenti sorti in suo onore. Noi dovremo vederli tutti nell' Esposizione universale dantesca, da quello che da Trento guarda alle maldifese Alpi, al sepolcro di Ravenna; e poi fac-simili delle lapidi onorarie, le illustrazioni tutte, italiane ed estere, della Commedia, cinematografie e via dicendo ».

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