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Poeta); e l'altra, seguita dalla maggior parte dei commentatori, un personaggio del mondo cristiano.

E abbiamo avuto cosí; Mercurio, l'Angelo, Enea, l'arcangelo san Michele, Cristo, san Pietro e altre proposte delle quali non val proprio la pena occuparsi.1

Che angelo il Messo non sia dimostrò l'Imolese, il quale, ricordando opportunamente le parole dette da Virgilio a Dante nel Purgatorio quando apparisce l'angelo nocchiero:

«

Omai vedrai di si fatti ufficiali

ne deduce con logica inoppugnabile che prima di quel tempo il Poeta angeli non aveva visto mai; né si può comprendere come una prova cosí sicura non abbia soddisfatto certi scrupolosi chiosatori.' E l'Imolese, sostenitore di Mercurio, come Pietro di Dante, continua3 : << volo quod notes necessario lector, quod multi decepti sunt hic dicentes quod iste fuit. unus angelus, quod tamen alienum est a mente auctoris, unde non intellegunt motivum eius, nam Mercurius poetice loquendo est nuncius et interpres deorum, qui mittitur a superis ad inferos ad esecutionem omnis divinae voluntatis sicut patet apud Homerum, Vergilium, Statium, Martianum et alios multos ».

Ma poiché questa idea è stata combattuta vittoriosamente dalla grandissima parte dei commentatori, né c'è più alcuno che voglia sostenerla come buona *, è inutile indugiarsi su questo punto.

1 II ROSSETTI vede nel Messo Arrigo VII di Lussemburgo, l'ANDREOLI il disprezzo del mondo e l'AVALLE la sapienza della mente (e ciò è spiegare il simbolo adombrato del Messo non il Messo come persona), il GEITER la potestà che Cristo diede alla Chiesa contro l'errore e l'eresia, il DI GIOVANNI lo spirito di Dio vestito di tutto il sublime onde nella Bibbia appare, e secondo il FRANCIOSI il Messo sarebbe « l'angelo di Geova >> l'angelo dell' onnipotenza punitrice, ecc.

2 Cfr. BARTOLI, op. cit., pagg. 179-181.

3 A quel che Benvenuto scrive il Borgognoni aggiunge: «ma dal momento che angelo non è, non è detto che debba esser Mercurio per forza, potrebbe essere Enea o anche Giulio Cesare », (op. cit., pagg. 46-47). Vedremo in séguito come egli s'inganni. Cfr. pag. 20 in fine.

Tranne Salvatore Betti.

Enea invece è stato messo avanti con audacia dal Caetani, il quale se può dirsi formidabile nella distruzione delle ipotesi contrarie, tal non riesce poi nel sostenere la sua. Egli infatti, per dimostrare che Angelo non è, oltre il noto ragionamento dell' Imolese, porta argomenti saldissimi e convincenti.

Dei quali il primo è che la descrizione del Messo nel IX Canto dell' Inferno non è in nulla simile o paragonabile a quella dell'Angelo fatta dal Poeta nel II del Purgatorio, anzi in alcune parti è quasi l'opposto di questa, come ad esempio quando dice che l'Angelo del Purgatorio, benché operante come celestiale nocchiero sdegnava gli argomenti umani, né altro remo o vela voleva al suo uffizio tranne che le sue ali; mentre il Messo per aprire ai due Poeti le porte di Dite si serve d'una verghetta.

E inoltre le parole usate contro ai demonii provano ugualmente la mondana natura, perché si fece a rimproverar loro il vano cozzar coi fati, rammentando i danni di Cerbero: cose, queste, che mai il Poeta volle fosser dette per bocca d'Angelo.

Aggiunge il Sermoneta che il Messo, come Dante dice, se ne partí con

sembiante d'uomo cui altra cura stringa e morda che quella di colui che gli è davante,

e non già come Angelo, il quale, se laggiú fosse venuto, sarebbe stato appunto per la cura di chi gli era davanti....

Dimostrato non esser Angelo ma uomo colui che comparve sulla palude Stige, non occorre dichiarare quanto erronea sia l'opinione di chi vide nel Messo o Cristo o san Pietro.

Passa dopo ciò il Caetani a voler dimostrare, in vero con argomenti non molto forti, come il Messo sia Enea.

Rammenta in primo luogo che a Virgilio, il quale lo invita e lo esorta a intraprendere il viaggio attraverso il regno della morta gente, Dante risponde non credersi degno di tanto e temere che la sua audacia non sia folle. E se Enea padre di Silvio poté, essendo ancor vivo, andare a secolo immortale, ciò non deve

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parere indegno a uomo di sano intelletto, pensando l'alto effetto, che uscir dovea di lui, giacché egli fu eletto nel Cielo come padre dell'alma Roma e del romano Impero, che furono stabiliti per lo luogo santo u' siede il successor del maggior Piero. Ma, continua Dante, io perché venirvi? o chi 'l concede?

io non Enea, io nen Paolo sono: me degno a ciò né io né altri crede. Persuaso da Virgilio essergli concessa l'andata per dono della grazia figurata dalle Donne benedette della Corte del Cielo, preso lui per duce e maestro, entrò per l'alto e silvestro cammino della sua peregrinazione.

Gli venne quindi mostrato il Limbo, ove vide i grandi poeti e con loro gli spiriti magni d' Enea, di Cesare, di Camilla, di Pentesilea. Da questa dimora, scendendo per i cerchi infernali, fu Dante guidato alle mura della città di Dite, fatta a guisa di fortezza e difesa dai demoni.

A Virgilio venne quivi vietata l'entrata perché aveva seco Dante ancor vivo a cui mostrar voleva le colpe per ritrarlo dalla dannazione colla penitenza, alla qual cosa opporsi dovevano i demoni, se non si faceva loro alcun manifesto segno del volere divino. Questo segno che doveva aprir quelle porte, era dato a Virgilio da tale, siccome a Dante avea detto, che non potea dubitare che quel passo potesse venir loro tolto da alcuno. E disse che tale gli si fu offerto, il quale non poteva esser che nel Limbo luogo di sua dimora (di Virgilio).

Qui navighiamo in pieno mare di fantasticherie. Quando e come si è offerto Enea per aiutar Virgilio e, di grazia, da che cosa lo argomenta il Caetani? O che Virgilio aveva parlato solamente con Enea? Anzitutto, con questo guazzabuglio di codici non si è sicuri se il tal ne s'offerse del verso 8° debba leggersi, come alcuni (fra i quali M. A. Zani *) sostennero, tal ne s'offerse; e poi, quand' anche

la lezione giusta fosse la prima, evidentemente quando Virgilio dice: tal ne s'offerse, e immediatamente dopo: Oh quanto tarda a me ch'altri qui giunga!, intende parlare di due persone, una che gli s'era offerta e un' altra che dovea giunger davanti la Città di Dite, non già di una sola come dovrebbe intendersi, se si seguisse l'ipotesi del Caetani. Come ben si vede, le prove addotte dal Duca di Sermoneta per sostenere la sua tesi, non poco deboli, né maggior valore hanno i passi riferentisi ad Enea nelle altre opere di Dante da lui citati: il Convivio, VI, 5 e 26; il De Monarchia, II.

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c

E un' altra grave difficoltà sorge dopo la prima, ed è questa: immaginando Enea sceso dal Limbo e mandato, per volere divino, a soccorrere i due poeti, se ne sviserebbe completamente il carattere quale ci appare in Virgilio, senza dire poi che si farebbe aprir la porta di Dite a un dannato giacché il Limbo altro non è che il primo cerchio dell'Inferno dandogli tanta superiorità su Virgilio che le Donne del cielo avevano prescelto come guida e maestro di Dante, su Virgilio ch'era pure del Limbo.

E osservando attentamente come il Poeta latino ha creato questo suo personaggio; quel senso di mitezza e di religiosa pietà che lo accompagnano per tutto il Poema; ricordando la sottomessa preghiera che rivolge alla Sibilla perché gli conceda di veder i suoi Trojani ; leggendo ora Dante, osservando la finezza, il disdegno, la forza onnipotente, la violenza di questo Messo pauroso e terribile, a tutti gli altri personaggi dell'antichità possiamo pensare, ad Ercole sopratutto, ma giammai ad Enea del quale splendidamente dice il Poeta: << spem vultu simulat, premit altum corde dolorem >>

E la concezione dell' Eneide, quale opera allegorico-morale sorta già nella tarda antichità, come il Gaspary osserva, aveva dominato attraverso il Medio Evo e avea visto nel grande Eroe virgiliano l'uomo che dopo

1 Verso 8 dello stesso Canto.

2 Di varie lezioni da sostituirsi alle invalse nell'«Inferno di Dante Alighieri. Saggio di MARCO AURELIO Zani de' FerRANTI. Bologna, 1855 (1 volume in-12).

1 Aen., I, 209. Per il carattere d'Enea nel poema virgiliano cfr. il bello studio di F. VIVONA, Il dolore nel maggior poema latino. Palermo, 1906.

molti errori giunge al sommo bene, alla contemplazione del divino. E per Dante sono parole del Cesareo il senso letterale, storia o mito che fosse, non perdea nulla del suo valore reale, della sua significazione interiore, del suo particolare carattere. Non egli subordinava la lettera all'allegoria; ma voleva che sotto la lettera fosse indagata l'allegoria. Egli insomma credeva, come i mistici del Medio Evo, che il simbolo fosse già nelle cose, e che quindi non ci fosse bisogno di far loro violenza per ricavarne il significato allego

rico ».1

E qualunque interpretazione dell' Eneide non l'avrebbe mai persuaso a mandar contro i demoni, che s'opponevano al cammino suo e di Virgilio, il pius Aeneas quasi come un gradasso."

E per non dilungarmi troppo su questa parte, finisco con le parole del Bianchi, il quale dice che « mal si conviene a un'anima del Limbo, che è pur nel-numero dei reprobi, la superiorità e la potenza che qui assume, e

1 G. A. CESAREO. Storia della Letteratura italiana. Terza edizione. V. Muglia, Catania, 1913. Parte 1a, pagg. 60-61.

2 E del resto a un certo punto il Caetani si dà egli stesso, come si dice, la zappa sui piedi (op. cit., pag. 29), poiché volendo prevenire un' obbiezione che sorge naturale e spontanea scrive : « Né deve opporsi a questa nuova dichiarazione il non aver Dante riconosciuto Enea allorquando giunse ad aprire le porte di Dite, poiché quand'egli lo vide la prima volta nel Limbo fra gli spiriti magni del nobile castello si fu in luogo aperto, luminoso e alto, e quando discese nel fondo sulla palude Stige fu in mezzo al fumo piú acerbo, ove l'occhio suo no 'l potea menare a lunga per l'aer nero e la nebbia folta ». E non s'accorge il Caetani che lo condanna proprio la ragione da lui addotta per difendersi, giacché Dante avrebbe dovuto per l'appunto riconoscere Enea perché l'aveva visto in luogo aperto, luminoso e alto, e quindi ne aveva viva l'immagine nella mente; e poi da che cosa se non dall' espressione del volto del Messo poter argomentare che gli parea pien di disdegno? Ciò che fa supporre come il Poeta questo Messo dovette ben vederlo e certamente l'avrebbe riconosciuto se fosse stato Enea. E per maggior prova si legga quel che scrive il Pascoli: << Sotto il velame», pag. 287 in fine.

lo spavento delle altre anime davanti a lui, come non convenivano né si dànno a Virgilio che è pur dello stesso grado e condizione d' Enea ».

Il Cipolla, in un suo studio su questo Canto dell' Inferno, ripiglia la questione del l'Angelo, che secondo lui sarebbe non un angelo qualsiasi, ma lo stesso san Michele, e porta come prova della sua ipotesi il confronto della descrizione del Messo con la descrizione dell'Angelo nel II del Purgatorio, che serve, secondo lui, a confermare come quel Messo sia precisamente un angelo, se pure fa mestieri conferma !

Difatti, dice il Cipolla, un fracasso spaventoso, quale da terribile vento annuncia l'arrivo del Messo, e un lume che muove dall'Angelo, ma che non lo lascia discernere, annuncia la venuta di questo; velocissimo il Messo, velocissimo l'Angelo; superiore alla triste natura del luogo il Messo che di nulla teme, tutto vince, passa Stige con le piante. asciutte e solo sembra lasso dell' aer pingue della palude che si rimuove dal vólto con la sinistra, ma non è che quell'aer grosso possa recargli offesa, è l'atto anzi (di superiorità !) ond' egli, con tutta facilità e nobiltà, domina quelle nature cosí opposte alla sua; e anche per superiorità distinguesi l'Angelo del Purgatorio, ecc. ecc.

Strano come il Cipolla voglia dimostrare che il Messo sia l'arcangelo Michele, servendosi proprio delle prove addotte giustamente dal Caetani per provare il contrario, cioè che Angelo non era; eppure con tutto ciò Flaminio Pellegrini segue l'ipotesi del Cipolla, rammentando, per corroborarla, questi versi del Poeta :

e santa Chiesa con aspetto umano
Gabriele e Michel vi rappresenta
e l'altro che Tobia rifece sano. 2

Con ciò però Dante vuol dire non che si avesse la possibilità o la facoltà di rappresen

1 Non si comprende affatto da che cosa il Cipolla argomenti, come vedremo in séguito, che il Messo sia velocissimo.

2 Parad., IV, 46 48.

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5

E oltre le prove sudette, altre ancor piú evidenti, messe avanti da acuti commentatori, ci costringono a rigettare quest' ipotesi dell'Angelo comunemente sostenuta. Molto convincente quel che il Borgognoni dice nel suo studio sulla questione, ove fra le altre argute e geniali osservazioni è anche questa: « Di piú vi ricorda quel che risponde Beatrice a Virgilio che le aveva domandato come mai ella non si guardasse di recarsi laggiú da lui nell' Inferno? ». Ella risponde:

Io son fatta da Dio sua mercé tale che la vostra miseria non mi tange né fiamma d'esto incendio non m'assale. Dunque le anime beate, e, a più forte ragione, gli angeli, che fossero discesi per qual

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2

Il Fornaciari, senza pretender di fornire, dice, una vera e propria dimostrazione, ma

contentandosi di stare entro i limiti di con

getture piú o meno ragionevoli; premetto, continua, che io non credo niente affatto che tale personaggio possa essere un angelo, opinione sostenuta da quasi tutti i commentatori, e le ragioni di questa mia incredulità sono quelle stesse accennate dal Duca di Sermoneta nella dissertazione da lui scritta su questo argomento.

Ma non ricorda l'egregio uomo quello che il Caetani scrisse per dimostrare che se angelo non è a maggior ragione non può essere Cristo, e a quello rimando il lettore. E seguitando: «Ma se ripudio l'opinione che vede nel nostro Messo un angelo, non posso neppure accordarmi con chi vuol trovarci un dio o un eroe della mitologia....; non tanto perché s' appoggiano su troppo deboli e incerte ragioni, quanto perché un Dio o un eroe mitologico non può esercitar sí piena signoria sopra i piovuti dal cielo », senza pensare che proprio il centauro Nesso, eroe della mitologia, ha da Chirone l'incarico di proteggere i Poeti contro altri demoni nei quali si fossero potuti imbattere, e proprio Nesso, la scorta fida, guida i due Poeti lungo la riviera di Flege

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tonte; e Virgilio, prosegue il Fornaciari, non avrebbe mancato di riconoscere e mostrare a Dante questo eroe mitologico, come ordinariamente fa di tutti gli altri personaggi o mostri o ladroni del mondo pagano. Ma questi tali il più delle volte Dante li conosce da solo! Ancóra: « Queste due circostanze, cioè l'assoluta potenza del Messo celeste sui demoni e il fare misterioso che tiene nel parlarne Virgilio, sono appunto le due norme che debbono guidare chi voglia una spiegazione di quest' oscuro passo ».

Ma in quanto alla prima, vale a dire l' assoluta potenza del Messo celeste sui demoni, non si può dare altro che una spiegazione, molto ovvia e naturale, oltre la quale si cade in istravaganti e fantastiche congetture, e questa è che, dacché Virgilio, il quale aveva pur più di sette volte renduta securtà a Dante e l' avea tratto d'alto periglio che incontro gli stette, superando ostacoli per nulla lievi; dacché Virgilio, suo duce e maestro fin sul Paradiso Terrestre, non ha potuto con le sue sole facoltà aprir le porte di Dite, bisognava pur che venisse uno molto più forte e piú potente di lui; salvo che non si voglia pensare un Messo celeste che lotti corpo a corpo coi demoni, il che non poco riuscirebbe comico.

E in quanto alla seconda circostanza, è chiaro che nei versi ricordati dal Fornaciari:

Questa lor tracotanza non è nuova, ché già l'usaro a men segreta porta la qual senza serrame ancor si trova. Sovr' essa vedestú la scritta morta; e già di qua da lei discende l' erta, passando per li cerchi senza scorta,

tal che ne fia per lui la terra aperta, 2

è chiaro, dico, che Virgilio non voglia identificare il messo con Cristo, perché, avendo pensato a lui nei primi tre versi, poteva dire benissimo che sarebbe venuto un' altra volta; ma che rammenti la discesa del Redentore, per rassicurare e incoraggiar Dante, com'è naturale, col ricordargli che non era insolita la tracotanza dei demoni, perché essi, oppo

▲ Inf., VIII, 77-79.

2 Inf., IX, 124-130,

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<< Gli avversarî all' arrivo del Messo, - scrive il Federzoni, si ritraggono e precipitano nell'abisso. Chi non ricorda come al presentarsi di Cristo nell'orto di Getsemani e al dir ch' Egli fece: Ego sum, i pontefici, i maestri, i farisei e la coorte condotta da Giuda, tutti si ritrassero e caddero in terra? Abierunt retrorsum et ceciderunt in terram; è sempre la presenza di Cristo che atterrisce i nemici e da sé li ributta. Anche le anime della palude han tanta paura che fuggono ».

3

Ma anche quando Patroclo si mostra con le armi d'Achille ai Troiani questi fuggono atterriti; e per questo diremo che il Messo sia Patroclo o qualche altro eroe in condizioni simili di qualche poema latino da Dante conosciuto?

E per non annoiare il lettore, lo rimando alle obbiezioni fatte dal Michelangeli contro questa ipotesi del Fornaciari e del Federzoni con molto senno e acume.

Su per giú le stesse obbiezioni valgono pure per il Piersantelli, il quale vede nel Messo.... san Pietro !

Abbiamo cosí passato in rassegna le varie sentenze di molti commentatori intorno a questo indecifrabile Messo, e posto in luce le non lievi difficoltà che l'ipotesi del Caetani presenta, nonché quelle, più gravi e quasi insormontabili, scaturenti dall' ipotesi

1 Op. cit., pagg. 182-208.

2 Inf., VIII, 105-130; IX, 8.

3 SAN GIOVANNI, XVIII, 6.

4 Purgatorio. Tomo XVI, parte I, pag. 468-470. Cfr. pure Rassegna bibliografica della Letteratura italiana, V, 1897, pag. 188 nella Cronaca.

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