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Benedetto Croce, inaugurando a Ravenna le onoranze dantesche, ha avuto occasione di riaffermare, tra l'altro, le sue idee di critico sulla poesia di Dante e sulla maniera con la quale essa dovrebbe venir letta e studiata.

<< La grande conquista della critica moderna, aveva detto altrove, è che il pensiero poetico e l'importanza di Dante non è nelle allegorie e nei concetti morali »; ed è ora tornato su la necessità di «< sgombrare lo studio della Divina Commedia da tutto il peso delle interpretazioni politiche, morali, biografiche, allegoriche, che vi hanno aggiunto i commentatori, da quella cioè che ha chiamato in complesso l'interpretazione allotria ossia non, poetica della Commedia.... e non lasciarsi sviare da una dualità generale che fu nelle intenzioni di Dante e che noi dobbiamo idealmente risolvere, dalla dualità tra il Dante teologo e moralista, che volle comporre un'opera didascalica, una sorta di romanzo teologico, per edificazione e ammonimento degli uomini, e il Dante poeta, che continuamente sorpassava questo primo suo lavoro il quale rende perciò somiglianza di una massiccia struttura, tutta ricoperta da tenace e fiorente vegetazione e noi dobbiamo guardare a questa verde vita di rami e foglie e fiori, e non alle pietre che vi stanno sotto »>.

L'idea fondamentale che il valore di Dante sia dovuto tutto alla felix culpa per la quale. egli superò e dimenticò nella sua arte il suo proposito e il suo pensiero etico-religioso, l'idea che gli esegeti che indagano i simboli danteschi cerchino Dante dove non è, fu già del De Sanctis e fu già del De Sanctis anche l'affermazione che l'ingombro degli studii esegetici impedisca di scorgere il vero Dante che è puro poeta, puro rappresentatore di persone vive, di caratteri e di passioni.

Non è il caso di occuparsi dell'appoggio (talora non del tutto disdegnato) che viene a questa teoria da quella vecchia e stucchevole derisione plebea rivolta ai dantisti, che sono da secoli discordi sulle interpretazioni del poema; derisione che non può toccare uno studioso serio di Dante più di quanto la anche più vecchia e piú stucchevole derisione plebea contro i filosofi, discordanti da millennii su ogni punto delle loro dottrine, non possa toccare un filosofo come Benedetto Croce.

È il caso invece di riesaminare nella loro nudità i punti fondamentali di questa teoria e non è male che questo esame sia fatto da chi, come me, non è esegeta od interprete di professione, e non parla per fatto personale.

Naturalmente, che la interpretazione di Dante abbia attratto una quantità di pseudostudiosi, di interpreti improvvisati e superficiali che avrebbero fatto meglio ad occuparsi di

Giornale dantesco, anno XXIV, quad. I.

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