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nel nono del Paradiso, si vengano a trovare per mero caso in rapporto fra loro e per mero caso sian capitate nei relativi canti noni a darsi luce scambievole, mentre è evidente che nella liberazione di Roma dall' adulterio (chi piú adultera della lupa ?) si contiene il medesimo pensiero espresso nelle altre due figurazioni, ma denudato d'ogni velo allegorico.

Piuttosto, non parendomi possibile veder oppugnate le cónclusioni a cui siamo venuti, sarebbe da domandarsi : Data una cosí rigorosa unità di disegno, come si fa ad ammettere che la Divina Commedia nell' Inferno rispecchia una fase del pensiero di Dante, un'altra nel Purgatorio, e una terza nel Paradiso? Ma questo ci condurrebbe a una quistione grossa, a trattare cioè della data della composizione del Poema. Ce ne occuperemo di proposito a suo tempo un'altra volta.

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IL RIFUGIO DANTESCO" DI FONTE AVELLANA

La « vexata quaestio» del rifugio dantesco di Fonte Avellana, cui si credette ciecamente dal secolo XVI fino ai romantici, inaspritasi e degenerata tavolta in una sterile logomachia con la polemica Morici-Nicoletti, in questi ultimi anni fu messa definitivamente in disparte, giacché i competenti, pur schierandosi con quanti sostenevano l' andata del divino poeta all'eremo del Catria o con gli avversari, non seppero e non poterono dire una decisiva parola, e il problema, nelle sue linee generali, rimase a un dipresso quale l'aveva impostato un dantista insigne, lo Scartazzini: «Il fatto è semplicemente che non vi sono documenti autentici né argomenti stringenti per provare il soggiorno di Dante nel monastero di Santa Croce di Fonte Avellana, né vi sono documenti autentici né prove indiscutibili per negarlo ».

Non sarà dunque inutile esporre, alla luce di nuove indagini, alcune conclusioni alle quali sono pervenuto dopo laboriose ricerche, che pur avendo parvenza di « esteriorità », si riconnettono decisamente al nostro argomento.

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Essendomi imbattuto, alcuni anni or sono in un Codice Vaticano, e precisamente il Vatic. Lat. 484, proveniente da Fonte Avellana, fui colpito da un inventario di manoscritti che nel secolo XII costituirono il fondo piú importante della biblioteca di quell'abbazia. L'elenco era di cosí alta importanza che meritava un'illustrazione e una ricerca sistematica dei codici avellanitici, giacché il numero e la rarità dei volumi ricordati, facevano intravvedere in Fonte Avellana uno dei piú radiosi centri culturali dell'alto medioevo e dimostrava come la sua biblioteca, in gran parte passata più tardi alla Vaticana, fosse fino al secolo XVI una delle piú ricche e piú importanti d'Italia. Dell' inventario e dei codici diedi notizia in un lungo studio in cui ciascun volume fu rintracciato, esaminato e riprodotto: ma nel corso delle mie ri cerche, specialmente dopo un' attenta lettura delle opere di S. Pier Damiani, di S. Giovanni da Lodi e di altri priori o monaci avellaniti e delle numerose pergamene fonta vellanensi, ebbi il sospetto che quanti finora si erano interessati dell' argomento avevano scambiato Fonte Avellana per uno dei tanti cenobi perduti tra le giogaie appenniniche, senza intravvedere nella millenaria e gloriosa abbazia, il convento principe, le cui radiazioni economiche e culturali si ripercossero vivaci per lunghi secoli nelle regioni limitrofe fino al Po e agli Abruzzi lontani. Di quando in quando vivaci sprazzi di luce venivano inoltre a illuminare Fonte Avellana sotto un aspetto nuovo: il cenobio famoso fu nei primi secoli di sua vita (e lo era ancora ai tempi di Dante), decisamente orientato verso gli imperatori che lo protessero cosí lungamente e palesemente, che i monaci stessi, nei loro rescritti (e l'esempio è tutt'altro che comune nella diplomatica medievale) accanto al nome del Papa non mancavano di notare, in omaggio all'imperatore, il nome dell' antipapa eletto da quest' ultimo. Queste luci nuove, insieme ad altre argomentazioni, mi hanno pertanto indotto a riprendere l'intricata questione ab initio, per cui credo opportuno riassumere in una prima parte lo svolgimento piú conclusivo delle indagini che si svolsero tra il 1896 e il 1901, per arrivare infine ad un nuovo nucleo di argomentazioni, che mi permetterò di esporre a quanti stanno a cuore siffatti studi.

1 Un inventario di codici del secolo XIII e le vicende della biblioteca, dell'archivio e del « sacro tesoro» di Fonte Avellana, in La Bibliofilía, Firenze, Olschki, anno XX, dispensa 8-9 e sgg.

Fu veramente Dante a Fonte Avellana? È questa la domanda che più volte si fecero gli studiosi del Poeta e alla quale ancora non si poté rispondere esaurientemente. Nell' archivio del convento non si trovò mai documento alcuno che permettesse affermarlo con certezza; anche il Sarti, circa la metà del settecento, assicurava che « negli inventari del monastero,, compilati verso la metà del secolo XVI, mentre si trova accennata la camera di Sant' Ubaldo, non si fa menzione di quella di Dante ». Ma contro questa affermazione si levaya una tradizione secolare, avvalorata della descrizione stupendamente esatta nella sua bellezza, del canto XXI del Paradiso, un' iscrizione ed altre testimonianze del secolo XVI; cosicché mentre critici sagaci negarono recisamente l'ospitalità ricevuta dal Poeta nel monastero, altri l'affermarono e la difesero con tenacia. Frutto di queste discussioni, che tavolta si allontanarono dall' argomento o si svolsero sopra iniziali preconcetti, furono gli studi pubblicati dal Nicoletti 2 e dal Morici: 3 il primo favorevole, il secondo avverso alla tradizione.

Le ragioni per un probabile soggiorno di Dante possono riassumersi cosí :

I.

La nota e suggestiva descrizione (Paradiso, XXI, 106 e segg.) con la quale il Poeta sembra cogliere de visu i caratteri piú significativi del Catria e del cenobio:

Tra due liti d'Italia surgon sassi,

E non molto distanti alla tua patria,

Tanto che i tuoni assai suonan piú bassi ;

E fanno un gibbo che si chiama Catria,
Disotto al quale è consacrato un ermo,

Che suol essere disposto a sola latria.

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Il Troya infatti solo dalla descrizione induce la dimora del Poeta a F. A., perché, a dirne una, osserva il Crocioni, l' eremo sta sotto quel gibbo in un senso cosí esatto da parer quasi inverosimile.

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II. La testimonianza del Boccaccio: « [Dante] con quelli della Faggiuola sui monti vicini a Urbino ... onorato si stette ».

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Verso il principio del sec. XIV alcune città nei dintorni del Catria (e tra queste anche Urbino), che salirono a splendore e fama nei secoli successivi, erano ancora oscure borgate che non avrebbero certo potuto allettare, salvo speciali ragioni, l'Alighieri con un rigoglio d'arte e di vita. Il Poeta, se veramente fu ospite di Bosone, poteva senza sforzo alcuno recarsi all' Avellana da Gubbio donde dista pochi chilometri. Che preferisse rifugiarsi in questo cenobio piuttosto che nel castello di qualche signorotto, è probabile per piú ragioni: a) La tragicità dei tempi e i caratteri peculiari dell' esilio di Dante, dovevano rendergli piú accetta l'ospitalità di monaci che non quella di uomini di parte che potevano essere infidi; b) il fascino esercitato sulla mente e sul cuore del Poeta da questo vivido focolare di civiltà, cui

De antiquitatibus Avellanensibus, ms. della Biblioteca di Classe in Ravenna.

2 Dante nel monastero di F. A., Pesaro, Federici, 1903.

3 Dante e il monastero di F. A., Pistoia, Flori, 1899.

4 Piú spesso troviamo la lezione: Tanto che i troni. . . . Cosí le prime cinque edizioni, Benvenuto e i codd. Vat., Ang., Bart., Rosc., Ferranti. Cf. La « Div. Comm. » ridotta a miglior lezione con l'aiuto di ottimi manoscritti ecc., a cura di GIUSEPPE CAMPI. Torino, Unione tip. editr., 1891.

5 Del veltro allegorico di Dante, Firenze 1826, pag. 167 e sgg.; Del veltro allegorico dei Ghibellini, Napoli, 1858, pag. 175 e segg. « L'ermo o monistero s' inalza sui più difficili monti dell' Umbria. Gli è imminente il Catria, gigante degli Appennini, e sí l'ingombra che non di rado gli vieta la luce in pa. recchi mesi dell' anno. Aspra e solinga via tra le foreste conduce all' ospizio antico di solitari cortesi, che additano le stanze ove i loro predecessori albergarono l'Alighieri. Frequente si legge nelle pareti il suo nome, la marmorea effigie di lui attesta l'onorevole cura che di età in età mantiene viva in quel ta. citurno ritiro la memoria del grande Italiano.... Basterebbe aver visto il Catria e leggerne la descrizione di Dante per accertarsi che egli vi ascese ».

6 Rivista bibliografica ital., diretta da S. Minocchi, maggio-giugno 1897. 7 La vita di Dante, Firenze, Sansoni, 1888, pag. 28.

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conferiva nuova bellezza la figura di Pier Damiani, il grande santo che mosse guerra alla corruzione ecclesiastiça e che nelle solitudini del chiostro elaborò i suoi scritti piú pugnaci: 1 (il canto XXI del Parad. è tutto un inno al fiero riformatore, e dalle infiammate terzine, come per incantamento, balza alla nostra fantasia tutta una visione di luoghi, di fatti, di idee che al Ravennate si riferiscono); c) una conoscenza piú viva e diretta della vita e dell'opera di Pier Damiani, perché intorno a lui fluttuavano mal sicure notizie, tanto che il Petrarca, ansioso di verità, piú tardi ne fece vivaci ricerche presso i frati dell'Avellana, i quali si affrettarono a fornire quanto venne loro richiesto. 2

III.

L'antichità del busto del Poeta e dell'iscrizione nella camera ove avrebbe avuto ospitalità l'Alighieri, restaurata nel 1557 dal fiorentino Filippo Ridolfi.

Il busto è tra i più antichi (1557) e rimase sconosciuto al Paur, alla The Dante Collection, al Kraus 5 e al Volkmann; esso ha qualche analogia con la maschera Torri

giani. 7

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L'iscrizione è la seguente:

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Piú tardi i monaci, o perché qualche documento pervenne nelle loro mani o perché vollero corroborare la tradizione fissata nel marmo con la semplice parola dicitur, trasportarono nella grande sala del convento il busto di Dante e sotto l'epigrafe scrissero :

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3 Dante's Porträt, in Iahrbuch der deutschen Dante-Gesellschaft, Leipzig, 1869, II, 261 e segg.

Note of the portraits of Dante contained in this collection, Cambridge, 1890, pag. 113.

5 Das Porträt D., Berlin, Paul, 1901.

6 Iconografia Dantesca, Lipsia, 1897.

7 È in marmo bianco di Carrara; misura cm. 0.70, e fu riprodotto dal Morici, op. cit., pag. 22. Il BASSERMANN, lo chiamò addirittura brutto. Cfr. Orme di D. in Italia, trad. da E. Gorra, Bologna, Zanichelli. È superfluo avvertire che l'HOLBROOK, Portraits of Dante etc., London, 1911, non ne tiene conto perché la sua iconografia dantesca si arresta a Raffaello.

8 Sulla parete del secondo corridoio di fronte alla scala, nel 1796 fu apposta un'epigrafe che può dirsi un compendio della storia di quel monastero; anche in questa è ricordato l'Alighieri: Adsta viator et lege monasterium hoc etc. in eodem habitavit Danthes Aligherius italicae poeseos princeps suumque poema ibidem perfecit etc.

Giornale dantesco, anno XXIV, quad. I.

IV. Nel 1575 Pietro Ricordati nella sua Historia Monastica ci dà una preziosa notizia : « Lasciato (S. Pier Damiani) il vescovado, se n'andò al monasterio di S. Croce dell' Avellana posto in su le montagne de lo stato d' Urbino, dove anco il nostro poeta Dante dimorò un grandissimo tempo, compiacendosi di quella solitaria foresta, componendo quivi gran parte delle sue opere. Et in segno di ciò vi si vede insino al dí d'oggi una spelonca, la quale si chiama la camera di Dante ». E piú tardi, nel 1579, Agostino Fortunio, riassumendo le peregrinazioni di Dante cosí si espresse : « [Danthes] ad Ravennam transmigravit et ad coenobium Avellanum aliquando divertens, ibi aliquot tempus moratus est ut suum poema perficeret, cerniturque eius cubiculum ».

Le testimonianze di scrittori dei secoli XVI e XVII.

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Il Bricchi nel 16313 e il Giacobilli nel 1661 credono al rifugio dantesco; anzi quest'ultimo, ponendo senz'altro la visita del Poeta al 1318, ne attribuisce l'onore a Morico, che era allora succeduto nel priorato al monaco Giacomo.

La tradizione ebbe una nuova fase nel 1755 allorché Francesco Maria Raffaelli pubblicò un trattato di Bosone da Gubbio e cercò di provare che Dante fu ospite del suo amico: da quest'epoca in poi, alla tradizione di Gubbio s' innestò quella di Fonte Avellana e sotto l'egida di questo accoppiamento fu ripetuta dagli Annalisti Camaldolesi, dal Pelli, dal Tiraboschi. 8

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V. La tradizione ebbe un'affermazione, diremo ufficiale, nel sec. XVI; non poté averla prima, probabilmente perché il culto di D. ha in questo secolo maggior rigoglio che nei precedenti e anche perché i monaci avellaniti, piú che parlarne, dovevano tacere della dimora del Poeta, dalle cui rampogne eran sempre tocchi. Infatti il tenore di vita si mantenne assai scorretto, come chiaramente attestano i tanti richiami che loro fecero i Papi.

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VI. Il visitatore che si reca nella camera di Dante, oltraggiata da recenti affreschi, prova non poca meraviglia vedendo in fondo al vasto e bel corridoio che Giuliano della Rovere volle costruire nell'ultimo quarto del sec. XV, un muro che si spinge con uno spigolo in esso e lo deturpa. Quel muro, che nessuna ragione di statica poteva salvare dall'abbattimento, (il cardinale non esitò un sol minuto a distruggere ogni ostacolo), 10 sta a provare che si avevano ragioni speciali per rispettare la camera suddetta e che la tradizione esisteva fin dal secolo XV.

VII. Infine, per il cuore angosciato dell'Alighieri, l'eremo poteva essere una scolta, un luogo sicuro da cui potesse facilmente seguire le vicende di Firenze, e al tempo stesso a breve distanza per potere inviare e ricevere notizie dei suoi: (Surgon sassi, E non molto distanti alla tua patria....).

Queste ragioni, che hanno la loro consistenza e la loro autenticità, furono oppugnate, ma non sempre validamente, dal Morici e da altri. La vista del Catria e dell'eremo fu giudicata nient'altro che una bella, un'esatta immaginazione di valore puramente esteriore, anzi ci si

Hist. monastica, ediz. 1575, pag. 21.

2 Historiarum Camaldulensium, Typ. Guerraea, Venetiis, 1579, II, 209-10, cap. 5: « De origine eremi S. Crucis Avellanae et de cubiculo Danthis, poetae etrusci ».

3 Delli annali della città di Cagli, Ghisani, Urbino, 1641, I, pag. I, pag. 40.

4 Vite de' Santi e Beati dell' Umbria, Alterij, Foligno, 1661, pag. 353.

5 Della famiglia, della persona, degli impieghi e delle opere di messer Bosone da Gubbio, in Deliciae eruditorum di GIOVANNI LAMI, Firenze, 1795, t. XIII.

6 MITTARELLI & COSTADONI, Annales Camaldulenses, Venetiis, 1760, V, 316-17.

7 Memorie per servire alla vita di D. A., Firenze, Peotti, 1823, pag. 135.

8 Storia della letteratura, Firenze, Landi, 1807, t. V, pag. 484.

9 GIBELLI, op. cit. Vedi anche NICOLETTI, Di Pergola e dei suoi dintorni, pag. 712 e segg.

10 Eletto più tardi papa col nome di Giulio II, vagheggiò disegni titanici da meravigliare i contemporanei, assecondato nella sua foga di abbattere e di ricostruire, dal Bramante e da una schiera d'artisti.

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