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SONETTO

CXIX.

Uefta umil fera, un cor di tigre, o d'orfa;
Che'n vifta umana,e'n forma d'angel vene;
In rifo, e'n pianto, fra paura, e fpene
Mi rota sì, ch' ogni mio ftato inforfa.
Se 'n breve non m' accoglie, o non mi smorfa,
Ma pur, come fuol far, tra due mi tene;
Per quel ch'io fento al cor gir fra le vene
Dolce veneno, Amor, mia vita è corfa.
Non può più la virtù fragile, e ftanca
Tante varietati omai foffrire; (’mbianca,
Che 'n un punto afde, agghiaccia, arrossa, e
Fuggendo fpera i fuoi dolor finire;

Come colei, ch' d' ora in ora manca :
Che ben può nulla chi non può morire.

SONETTO

CXX.

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Rompete il ghiaccio che pietà conten de; E. fe priego mortale al ciel s' intende, Morte, o mercè fia fine al mio dolore. Ite, dolci penfier, parlando fore

Di quello ove 'l bel guardo non s'eftende: Se pur fua afprezza, o mia ftella n' offende, Sarem fuor di fperanza, e fuor d' errore. Dir fi può ben per voi, non forfe appieno, Chel noftro ftato è inquieto, e fosco; Siccome 'l fuo pacifico, e fereno.

Gite fecuri omai, ch' Amor vien vosco : ( E ria fortuna può ben venir meno S'ai fegni del mio Soll' aere conosco.

v. 26. ven.

So.

L

SONET TO CXXI.

E ftelle, e 'l cielo, e gli elementi a prova Tutte lor arti, ed ogni eftrema cura Pofer nel vivo lume in cui Natura

Si fpecchia,el Sol, ch'altrove par non trova. L'opra è si altera, e si leggiadra, e nova, Che mortal guardo in lei non s'afficura; Tanta negli occhi bei fuor di mifura Par ch' Amore e dolcezza, e grazia piova. L'aere percoffo da'lor dolci rai

S' infiamma d' oneftate, e tal diventa, Che'l dir noftro, e 'l penfier vince d'affai. Baffo defir non è ch'ivi si senta,

Ma d'onor, di virtute. Or quando mai
Fu per fomma beltà vil voglia fpenta?

SONET TO CXXII.

N

ON fur mai Giove, Cefare si moffi A fulminar colui, quefto a ferire, Che pietà non aveffe fpente l' ire, Elor dell' ufat' arme ambeduo fcoffi. Piangea Madonna ; e 'l mio fignor, ch'io foffi, Volfe, a vederla, e fuoi lamenti a udire; Per colmarmi di doglia, e di defire, E ricercarmi te midolle, e gli offi. Quel dolce pianto mi dipinfe Amore, Anzi fcolpio, e que' detti foavi

Mi fcriffe entr'un diamante in mezzo'l core Ove con falde, ed ingegnofe chiavi Ancor torna fovente a trarne fore Lagrime rare, e fofpir lunghi e gravi.

F. 3

v. 2, al. for forze. v. 7. for di .

So.

SONET TO

CXXIII.

I'vidi in terra angelici con lo

E celefti bellezze al mondo fole, Talche di rimembrar mi giovn, e dole : Che quant' io miro par fogni, ombre,e fumi: E vidi lagrimar que duo bei lumi

C'han fatto mille volte invidia al Sole: Ed udi fofpirando din parole

Che farian gir i monti, e ftar i fiumi. Amor, fenno, valor, pietate, e doglia Facean piangendo un più dolce concento D' ogni altro che nel mondo udir fi foglia, Ed era cielo all'armonia sì 'ntento,

Che non fi vedea in ramo mover foglia: Tanta dolcezza avea pien l'aere, e'l vento

SONET TO CXXIV.

Vel fempre acerbo, ed onorato giorno Mando si al cor Pimmagine fua viva; Ch'ingegno, o ftil non fia mai che'l defcrivas Ma fpeffo a lui con la memoria torno. L'atto d'ogni gentil pietate adorno

E'l dolce amaro lamentar ch' i'udiva, Facean dubbiar, se mortal donna, o Diva. Foffe che ciel rafferenava intorno. La tefta or' fino; e calda neve il volto; Ebeno i cigli; egli occhi eran due ftelle. Ond' Amor l'arco non tendeva in fallo S Perle, e rofe vermiglie, ove 1 accolto Dolor formava ardenti voci, e belle; Fiamma i fofpir, le lagrime cristallo

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v. 8. al. farien, v.21, al.Facien, v. 24. Ebano.

SONETTO CCXXV.

OVE ch' P pofi gli occhi laff, ogiri.

Per quetar la vaghezza che gli spinge; Trovo chi bella denna ivi dipinge, Per far fempre mai verdi i miei defiri. Con leggiadro dolor par ch' ella fpiri Alta pietà, che gentil core ftringe: Oltra la vifta agli orecchi orna e 'nfinge Sue voci vive, e fuoi fanti fofpiri. Amor, e'l ver fur meco a dir che quelle Ch'i' vidi eran bellezze al mondo fole. Mai non vedute più fotto le ftelle. Nè si pietofe, e si dolce parole, S'udiron mai, nè lagrime sì belle Di si begli occhi uscir mai vide il Sole.

I

SONET TO CXXVI.

N qual parte del cielo, in quale idea Era l'efempio onde Natura tolfe Quel bel vifo leggiadro, in ch'ella volle Moftrar quaggiù, quanto lafsù potea? Qual Ninfa in fonte, in felva mai qual Dea Chiome d'oro sì fino all' aura fciolfe Quand' un cor tante in fe virtuti accolfe? Benchè la fomma è di mia morte rea. Per divina bellezza indarno mira

Chi gli occhi di coftei giammai non vide,
Come foavemente ella gli gira.

Non fa com' Amor fana, e come ancide,
Chi non fa come dolce ella fofpira,
E come dolce parla, e dolce ride.

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v. 12. piatole è, v. 16. al. efemplo. v. 16. fonti

SONETT O CXXVII.

A Mor, ed io sapien di maraviglia,

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Come chi mai cofa incredibil vide, Miriam coftei quand' ella parla, o ride Che fol fe fteffa, e null'altra fomigl ia Dal bel feren delle tranquille ciglia Sfavillan si le mie due ftelle fide, Ch' altro lume non a ch' infiammi, o guide Chi d'amar altamente fi configlia. Qual miracolo è quel, quando fra l'erba Quafi un fior fiede? over quand' ella preme Col fuo candido feno un verde cespo ? Qual dolcezza è, nella stagione acerba Vederla ir fola coi penfier fuoi 'nfieme Teffendo un cerchio all' oro terfo, e crefpo?

SONETTO

CXXVIII.

Paffi fparfi; o penfier vaghi, pronti; O tenace memoria; o fero ardore ; poffente defire; o debil core;

Occhi miei, occhi non già, ma fonti ; O fronde onor delle famofe fronti

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fola infegna al gemino valore;

O faticofa vita, o dolce errore,

Che mi fate ir cercando piagge, e monti; O bel vifo, av' Amor infieme pose

Gli fproni, e 'l fren ond' e' mi punge,e volve Com a lui piace, e calcitrar non vale; O anime gentili, ed amorofe;

(ve;

S'alcuna ha'l mondo;e voi nude ombre,e polDeh reftate a veder, qual'è 'l mio male.

v. 19. al. onorate. v. 27. al, al monde.

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