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Quinci, e quindi alimenti al viver curto
Se vuol dir che fia furto,

Si ricca donna deve effer contenta
S'altri vive del fuo, ch'ella nol fenta.
Chi nol fa, di ch' io vivo, e viffi fempre
Dal di che prima que' begli occhi vidi
Che mi fecer cangiar vita, e coftume &
Per cercar terra, e mar da tutti lidi
Chi può faver tutte l'umane tempre?
L'un vive, ecco, d'odor là ful gran fiume:
lo qui di foco, e lume

Queto i frali, e famelici miei fpirti.
Amor (i' yo' ben dirti)

Difconvienfi a fignor 1' effer si parco.
Tu hai li ftrali, e l'arco :

Fa di tua man, non pur bramando, i'mora:
Ch'un bel morir tutta la vita onora.
Chiufa fiamma è più ardente, e le pur crefce,
In alcun modo più non può celarfi :
Amor, io'l fo, che 'l provo alle tue mani.
Vedefti ben, quando si tacito arfi:

Or de' miei gridi a me medafmo incresce ;
Che vo nojaudo e proffimi, e lontani
O mondo o penfier vani,

O mia forte ventura a che m' adduce!
O di che vaga luce

Al cor mi nacque la tenace fpeme,
Onde l'annoda, e preme

Quella, che con tua forza al fia mi mena La colpa è voftra; e mio 'l danno, e la pena. Così di ben amar porto tormento;

E del peccato altrui cheggio perdono.
Anzi del mio; che devea torcer gli occhi
Dal troppo lume, e di Sirene al fuono
Chiuder gli orecchi:ed ancor non men pento;
'Che di dolce veleno il cor trabocchi.
Afpetto pur, che fcocchi

L'ulti

v.-2. vol. w. 6. al. cho'mprima. v.7.al, cambiar. v. 9. al. Saper, v. 14. al. al fignor.

PART E.

155.

L'ultimo colpo chi mi diede il primo:
E fia, s'i' dritto eftimo,

Un modo di pietade occider tofto
Non effend' ei difpofto

A far altro di me, che quel che foglia:
Che ben muor chi_morendo efce di doglia.
Canzon mia, fermo in campo

Stard: ch' egli è difnor morir fuggendo
E me fteffo riprendo

Di tai lamenti, si dolce è mia forte,
Pianto, fofpiti, é morte.

Servo d'Amor, che queste rime leggi,
Ben non ha 'l mondo che'l mio mal pareggi.

SONETTO CLXXIII.

R

Rodendo intorno.onde'l tuo nome pren
Notte e di meco defiofo fcendi

Ov' Amor me, te fol natura mena;
Vattene innanzi : il tuo corso non frena
Nè stanchezza, nè fonno: e pria che rendi
Suo dritto al mar; fifo ù fi moftri, attendi
L'erba più verde, e l' aria più ferena:
Ivi è quel noftro vivo, e dolce Sole

Ch'adorna, e infiora la tua riva manca :
Forfe (o che fpero!) il mio tardar le dole:
Baciale' piede, o la man bella, e bianca:
Dille Il baciar fie'n vece di parole:
Lo fpirto è pronto, ma la cárne è ftanca,`

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G 6

So.

v. 3. pietate. vs 6. mor,

SONET TO CLXXIV.

I

Dolci colli, ov' io lafeiai me fteffo, Partendo onde partir giammai non poffo ; Mi vanno innanzi, ed emmi ognor addoff. Quel caro pefo, ch' Amor m' ha commeffo. Meco di me mi maraviglio spesso ;

Ch''pur vo fempre, e non fon ancor moffo Dal bel giogo più volte indarao fcoffo: Ma com'più men' allungo,e più m'appreffo: E qual cervo ferito di faetta

Col ferro avvelenato dentr' al fianco Fugge, e più duolfi, quanto più s'affretta; Tal io con quefto ftral dal late manco Che mi confuma, e parte mi diletta; Di duol mi struggo, e di fuggir mi staneo,

SONET TO CLXXV.

NRicercando del mar ogni pendice
On dall' Ifpano Ibero all' Indo Idafpe-
Ne dal lito vermiglio all'onde Cafpe,
Nè 'a ciel, nè 'n terra è più d'una Fenice.
Qual deftro corvo, o qual manca cornice
Canti I mio fato? o qual Parca l' innaspe?
Che fol trovo pietà forda, com' aspe,
Mifero! onde (perava effer felice:
Ch' î' non vo❜dir di lei; ma chi la scorge
Tutto cor di dolcezza, e d'amor l'empie;
Tanto n'ha feco, e tant' altrui ne porges
E per far mie dolcezze amare, ed empie,
O s'infinge o non cura, o non s'accorge
Bel fiorir quefte innanzi tempo tempie.

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SONET TO CLXXVI.

Voglia mi (prona: Amor mi guida,e scorges

Piacer mi tira: ufanza mi trafporta:
Speranza mi lufinga, e riconforta,
E la man deftra al cor già ftanco porge :
Il mifero la prende, e non s'accorge
Di noftra cieca, e disleale fcorta:
Regnano i fenfi, e la ragion è morta
Dell' un vago defio l'altro riforge.
Virtute, onor, bellezza, atto gentile,
Dolci parole ai bei rami m'han giunto,
Ove foavemente il cor s'invefca.
Mille trecento ventifette appunto
Sull'ora prima il dì fefto d'Aprile
Nel laberinto intrai; nè veggio ond'cfoa -
SONET TO CLXXVIL

B

Eato in fogno, e di fanguir contento,
D'abbracciar l'ombre,e feguir l'aura eftiva,
Nuoto per mar, che non ha fondo, o riva:
Solco onde,e'n rema fondo,e fcrivo in vento;
E'l fol vagheggio st, ch'egli ha già fpento
Col fuo fplendor la mia vertu vifiva;
Ed una cerva errante, e fuggitiva
Caecio con un bue zoppo, intermo, e lento.
Cie co, e ftanco ad ogni altro,ch'al mio danno,
Il qual di e notte palpitando cerco;
Sol Amor, e Madonna, e Morte chiamo.
Così vest'anni (o grave, e lungo affanno !)
Pur lagrime, e fofpiri, e dolor merco
In tale ftella prefi l'efca, e l'amo.

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1

SONETT ́0 CLXXVIII.

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Rara vertù, non già d'umana gente : Sotto biondi capei canuta mente, E'n umil donna alta beltà divina ; Leggiadria fingulare, e pellegrina;

pochi ciel deftina:

El cantar, che nell'anima fi fente: L'andar celefte e il vago (pirto ardente, Ch'ogni dur rompe,ed ogni altezza inchina: E que' begli occhi, chi i cor fanno (malti, Poffenti a rifchiarar abiffo, e notti, E torre l'alme a' corpi, e darle altrui Col dir pien d'intelletti dolci, ed alti ; Con i fofpir foavemente rotti:

Da quefti Magi trasformato fui .

CANZONE

XXXVI.

A Nzi tre di cresta era de alter, arte
Da por fua cura in cofe altere, e nove,
E difpregiar di quel, ch'a molti è'n pregio:
Queft' ancor dubbia del fatal fuo corfo
Sola penfando, pargoletta, e fciolta
Entro di primavera in un bel bofca.
Era un teneró fior nato in quel bofco
Il giorno avanti; è la radice in parte
Ch' appreffar nol poteva animasciolta:
Che v'eran di lacciuo' forme si nove,
E tal piacer precipitava al corfo;

Che perder libertate iv'era in pregio.
Caro, dolce, alto, e faticofo pregio,
Che ratto mi volgesti al verde bafco,
Ufato di fviarme a mezzo 'I corfo
Ed ho cerco poi 'l mendo a parte a parte;
Se verfi, o pietre, o fugo d'erbe nove

Mi

13. Co. v. 20. Entrò, v. 29, ai, disviarmi «7 v. 31. fuco.

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