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Alto fignor, dinanzi a cui non vale

L.Nafconder, nè fuggir, ne far difefa

Di bei piacer m' avea la mente accefa
Con un ardente, ed amorofo ftrale;
E benele primo colpo afpro, e mortale
Fuffe da fe; per avanzar fua imprefa
Una faetta di pietate ha prefa,

E quinci, e quindi 'l cor punge ed affale.
L'una piaga arde, e verfa foco, e fiamma
Lagrime Paltra, chel dolor diftilla-
Per gli occhi miei del voftre stato rio,
Nè per duo fonti fal una favilla,

Rallenta dell'incendio, che m'infiamma;, Anzi per la pietà crefce 'I defia ..

SONET TO

CCIV.

Tra quel colle, o ftanco mio cor vago s

M. Ivi lafciamm jer tei,ch'alcun tempo ebbe.

Qualche cura di noi, e le ne 'ncrebbe, Or vorria, trar degli occhi noftri un lago. Torna tu in là, ch' io d'effer fol m'appago: Tenta, le forfe ancor tempo farebbe Da fcemar noftro duol, che fin qui crebbe, O del mio mal partecipe, e prefago.. Or tu, c'hai poko te fteffo in obblio. E parli al cor pur com'e' fuffe or teco, Mifero, e pien di penfier vani, efciocchi! Ch' al dipartir del tuo femmo defio

Tu ten andafti : e' fi rimase (eco,

E fi nafcofe dentro a’fuoi begli occhi.

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SONETTO

CCV.

Refco, ombrofo, fiorito, e verde colle,

FO' or penfando, ed or cantando fiede,

E fa qui de' celefti fpirti fede

Quella, ch'a tutto 'I mondo fama tolle; Il mio cor, che per lei lafciar mi volle E fe gran fenno, e più, fe mai non riede; Va or contando ove da quel bel piede Segnata è l'erba, e da queft' occhi molle. Seco fi ftringe, e dice a ciafcun paffo: Deh fuffe or qui quel mifer pur un poco, Ch'è già di pianger, e di viver laffo. Ella fel ride, e non è pari il gioco; Tu paradifo, io fenza core un faffo. O facro, avventurofo, e dolce loco.!.

SONETTO

CCVI.

L mal mi preme, emifpaventa il peggio, Al qual veggio si larga e piana via, Ch'i' fon entrato in fimil frencha; E con duro penfier teco vaneggio: Nè fo fe guerra, o pace a Dio mi cheggio; Che'l danno è grave, e la vergogna èria: Ma perchè più languir? di noi pur fia Quel ch' ordinato è già nel fommo feggio. Bench'i' non fia di quel grande onor degna, Che tu mi fai; che te ne 'nganna Amore; Che fpeffo occhio ben fan fa veder torto; Pur d'alzar l'alma a quel celefte regno E''l mio configlio, e di fpronare il core: Perchè'l cammin è lungo,e'l tempo è corto.

v. 13. i̇lenza.

H 4

So.

SONETTO CCVII.

DL'air'ier nafcendo il di primo di Maggio,

UE rofe frefche, e colte in paradifo

Bel dono, e d'un amante antico, e faggio, Tra duo minori ugualmente divifo: Con si dolce parlar, e con un rifo Da far innamorar un uom felvaggio, Di sfavillante, ed amorofo raggio

E l'uno, e l'altro fè cangiare il vifo. Non vede un fimil par d'amanti il Sole, Dicea ridendo, e fofpirando infieme,

E ftringendo ambedue, volgeafi attorno : Così partia le rofe, e le parole: 1

Onde 'l cor laffo ancor s'allegra, e teme
O felice eloquenza! o lieto giorno!

SONET TO

CCVIII.

L'Aura, che veder Lauro, e l'aureo crime
Soavemente fofpirando move,

Fa con fue vifte leggiadrette, e nove
L'anime da lor corpi pellegrine.
andida rofa nata in dure fpine!

Quando fa chi fua pari al mondo trové ?
Gloria di noftra etate! O vivo Giove,
Manda prege il mio prima, che fuo fine;
Sicch'io non veggia il gran pubblico danno,
E'l mondo rimaner fenza 'l fuo fole:
Nè gli occhi miei, che lace altra non hanno;
Nè alma, che penfar d'altro non vole;
Nè l'orecchie, ch' udir altro non fahno
Senza l' oncfts fue dolci parois.

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v. 3. antiquo.v.5. al. dolci parole. v 18.al pera. grine. v. 22. al. il mio prego prima v

SONET TO CCIX.

Arra forfe ad alcun, che 'n lodar quella,

Pchadore in terra, errante fia il mio file,
Facendo lei fovr' ogni altra gentile
Santa, faggia, leggiadra, onefta, e bella:
A me par il contrario; e temo ch'ella
Non abbia a fchifo il mio dir troppo umile,
Degna d'affai più alto, e più fottile;
E chi nol crede, venga egli a vedella-
Si dirà ben: Quello ove quefti afpira,
E' cofa da ftancar Atene, Arpines,
Mantova, e Smirna, e l'una e l'altra Lira,
Lingua mortale al fuo ftato divino

Giunger non pote: Amor la fpinge, e tira
Non per elezion, ma per deftino.

SONET T O CCX.

CHU

H1 vuol veder quantunque può Natura El Ciel tra noi, venga a mirar coftes Ch'è fola un Sel, non pur agli occhi miei, Ma al mondo cieco, che vertù non cura; E venga tofto; perchè Morte fura

Prima i migliori, lafcia ftar i rei : Quefta afpettata al regno degli Dei Cofa bella mortal pala, e non dura Ved å, s' arriva a tempo, ogni virtute, Ogni bellezza, ogni real costume Giunti in un corpo con mirabil tempre. Allor dirà, che mie rime fon mute, L'ingegno offefo dal foverchio lume: Ma se più tarda, avrà da piangor sempre.

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SONETTO CCXI..

Quel giorno, ch'i'lafciai grave,e penfola Madonna, et mio cor feco e non è cofa, Che si volentier penfi, e sì fovente . 1 la riveggio, starfi umilemente:

Tra belle donne, a guisa d'una rofa Tra minor fior, nè lieta, nè dogliofa; Come chi teme, ed altro mal non fente, Depofta avea l'usata leggiad ia,

Le perle, e le ghirlande, e i panni allegri, Et rifo, eLcanto, e'l parlar dolce umano.. Così in dubbio lasčiai la vita, mia J. s

Or triftis auguri, e fogni, e pensier negri Mi danno afaltoje piaccia à Dio,che'n vano. SONETT'O CCXII.

Soler, fontana in fonho confolarme

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Con quella dolce angelica fua vifta Madonna: or mi spaventa, &mi contrifta Nè di duól, nè di tému pollo aitarme ? Che fpeffo nel fuo volto veder parme Vera pietà con grave dolor mista Ed udir cofe onde 'l cor fede acquista, Che di gioja, e di fpeme fi difarme. Non ti fovvien di quell' ultima fera, Dic ella, chi? fasciai gli occhi tudi molli,, E sforzata dal tempo men'andai ? non tel patei dir altor, nè volli Or tel dico per cosa esperta, e vera Non íperar di vedermi in terra mai ..

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