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Della paura, che gelata neve

Seatendomi perir fenz'alcun dubbio :
Che pur deliberando, ho volto al fubbie
Gran parte oma della mia tela breve;
Nè mai pelo tu greve,

Quanto quel ch' foftegno in tale ftato:
Che con la Morte a lato

Cerco del viver mio novo configlio :
E veggio'l meglio,ed al peggior m'appiglios

SONETTO.

A

CCXXVI.

Spro core, o felvaggio, è cruda voglia
In dolce, umile, angelica figura,
Se l'imprefo rigor gran tempo dura,
Avran di me poco onorata spoglia:
Che quando nafce, e muor fior, erba,e foglia;
Quando è'l dì chiaro e quando è notte fcura,
Piango ad ogni or. Ben ho di mia ventura,
Di Madonna, e d'Amore onde mi doglia.
Vivo fol di fperanza, rimembrando

Che poco umor già per continua piova
Confumar vidi marmi, e pietre falde..
Non è si duro cor, che lagrimando,
Pregando, amando talor non fimova
Nè sì freddo voler, che non fi fcalde.

v. 13. ofcura. V. fmova.

SONETTO CCXXVII.

Ignor mio caro, ogni penfier mi tira Devoto a veder voi, cui sempre veggio: La mia fortuna (or che mi può far peggio?) Mi tiene a freno, e mi travolve, e gira. Poi quel dolce defio, ch' Amor mi fpira, Menami a morte, ch'i' non me n'avveggio; E mentre i mie' duo lumi indarao cheggio, Dovunqu'io fon, di e notte fi fofpira, Carità di fignore, amor di donna

Son le catene ove con molti affanni Legato fon, perch'io fteffo mi Arinfi. Un Lauro verde, una gentil Colonna, Quindici l'una, e l'altro diciott' anni Portato ho in fenoje giammai non mi feinfi

IL FINE DELLA PRIMA PARTE...

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E' il bel vido; oime il foave guardo, Oimè il leggiadro portamento alrero; Oimè il parlar, ch' ogni afpro ingegno e fero Faceva umile, ed ogni uem vil gagliardo; Ed oimè il dolce rifo ond' ufcì'l dardo, Di che morte, altro bene omai non fpero: Alma real digniffima & impero,

Se non foffi fra noi fcefa si tardo. Per voi conven ch' io arda, e'a voi refpire: Ch' 4' pur fui voftro: e se di voi fon privo; Via men d' ogni fventura altra mi dole. Di fperanza m' empiefte, e di defire, Quand' io partj dal fommo piacer vivo: Ma 'l vento ne portava le parole.

ufcio. v. 9. al. convien .

CAN

1

C

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HE debb' io far? che mi configli, Amoret
Tempo è ben di morire;

Ed ho tardato più ch'i' non vorrei

Madonna è morta, ed ha feco 'l mio core:
E volendol feguire,

Interromper convien queft'anni reis
Perchè mai veder lei

Di qua non fpero, e l'aspettar m'è aoja,
Pofcia ch'ogni mia gioja

Per lo fuo dipartire in pianto è volta ;
Ogni dolcezza di mia vita è tolta.
Amor, tu fenti ond'io teco mi doglio
Quant'è'l danno aspro, e grave ;
Elo che del mio mal ti pela e dole
Anzi del noftro: perch' ad uno scoglie
Avem rotto la nave,

Ed in un punto n'è scurato il fole.
Qual ingegno a parole

Poria agguagliar il mio dogliofo ftato?
Ahi orbo mondo ingrato

Gran cagion hai di dover pianger meco;
Che quel ben, ch'era in te, perdut' kai fece.
Caduta è la tua gloria; e tu ñol vedi,
Nè degno eri mentr' ella

Viffe quaggid, d'aver fua conofcenza,
Ne d'effer tocco da' fuoi fanti piedi:
Perchè cofa sì bella

Dovea' ciel adornar di fua presenza.
Ma io, laffo! che senza

Lei nè vita mortal, nè me ftefs' amo ;
Piangendo la richiamo;

Questo m'avanza di cotanta fpene
E quefto folo ancor qui mi mantene.

Oimè, terra è fatto il fuo bel vifo,

1

*. 17. al ofcurate, v. 18. al. o parete, v. an dover.

Che folea far del cielo,

E del ben di lafsù fede tra noi.
L'invifibil fua forma è in Paradifo
Difciolta di quel velo,

Che qui fece ombra al for degli anni fuoi,
Per riveftirfen poi

Un'altra volta, e mai più non fpogliarfi;
Quand' alma, e bella farfi

Tanto più la vedrem, quanto più vale
Sempiterna bellezza, che mortale.
Più che mai bella, e più leggiadra donna
Tornami innanzi, come

Là dove più gradir fua vifta fente:
Queft'è del viver mio l'una colonna :
L'altra è fuo chiaro nome,

Che fuona nel mio cor si dolcemente.
Ma tornandomi a mente,

Che pur morta è la mia fperanza viva
Allor ch'ella fioriva;

Sa ben Amor, qual io divento: e fpero Vedal colei, ch'è or si preffo al vero. Donne, voi che mirafte fua beltate,

E' angelica vita,

Con quel celefte portamento in terra:
Di me vi doglia, e vincavi pietate,
Non di lei, ch'è falita

A tanta pace, e me ha lafciato in guerra;
Talchè s'altri mi ferra

Lungo tempo il cammin da feguitarla;
Quel ch' Amor meco parla,

Sol mi riten, ch'io non recida il nodo :
Ma e' ragiona dentro in cotal modo:
Pon freno al gran dolor, che ti trasporta;
Che per foverchie voglie

Si perde 'l cielo, ove 'l tuo core aspira,
Dov'è viva colei ch' altrui par morta;
E di fue belle fpoglie

Seco forride, e fol di te fofpira;

Rime Petrarca.

V. 2. là sử.

E fua

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