Slike stranica
PDF
ePub

E fua fama, che fpira

In molte parti ancor per la tua lingua, Prega che non estingua ;

Anzi la voce al fuo nome rischiari,

Se gli occhi fuoi ti fur dolci, ovver cari. Fuggi' fereno, e 'l verde ;

Non t'appreffar ove fia rifo, o canto,
Canzon mia, nò, ma pianto :

Non fa per te di ftar fra gente allegra
Vedova (confolata in vesta negra.

SONETTO

CCXXIX.

Otta è l'alta Colonna, e 'l verde Lauro,

R Che facean ombra al mio fianco penfero;

Perdut'ho quel che ritrovar non fpero ro. Dal Borea all'Auftro,o dal mar Indo al Mau. Tolto m'hai, Morte, il mio doppio tefauro, Che mi fea viver lieto, e gire altero; E riftorar no può terra, nè impero, Nè gemma oriental, nè forza d'auro, Ma fe confentimento è di deftino;

Che pofs' io più, fe no aver l'alma trifla Umidi gli occhi fempre, e 'l vifo china? O noftra vita, ch'è sì bella in vifta,

A

Com' perde agevolmente in un mattino
Quel che'a molt'anni a gran pena s'acquista!

CANZONE

XLI..

Mor, fe vuoi, ch' io torni al giogo antico,
Come par che tu moftri ; un' altra prova
Maravigliofa, e nova,

Per domar me, convienti vincer pria :
11 mio amato teforo in terra trova,
Che m'è nafcolo, end'io fon sì mendico;

E'

V. 5. nè cari. v. 23, al; leggermente. v. 25 al. gioco..

I

El cor faggio pudico

Ove fuol albergar la vita mia :
Es' egli è ver, che tua potenza fia
Nel ciel si grande, come fi ragiona,
E nell'abiffo: (perchè qui fra noi
Quel che tu vali, e puoi

Credo, che 'l fenta ogni gentil perfona)
Ritogli a Morte quel ch'ella n' ha tolto,
E ripon le tue infegne nel bel volto.
Riponi entrol bel vifo il vivo lume

Ch'era mia fcorta, e la foave fiamma
Ch' ancor, laffo! m'infiamma

Effendo (penta; or che fea dunque ardendo?
E non fi vide mai cervo, nè damma
Con tal defio cercar fonte, nè fiume;
Qual io il dolce coftume

Ond' ho già molto amaro, e più n'attendo';
Se ben me fteffo, e mia vaghezza intendo:
Che mi fa vaneggiar fol del penfero,
E gir in parte ove la ftrada manca;
E con la mente flanca

Cofa feguir, che mai giunger non fpero.
Or al tuo richiamar venir nos degno;
Che fignoria non hai fuor del tuo regno.
Fammi fentir di quell' aura gentile

Di fuor, ficcome dentro ancor fi fente:
La qual era poffente

Cantando d'acquetar gli sdegni, e l'ire;
Di ferenar la tempelto fa mente,

E fgombrar d'ogni nebbia ofcura, e vile';
Ed alzava 'l mio ftile

Sovra di fe, dov' or non poria gire.
Agguaglia la fperanza col defire;

E poichè l'a'ma è in fua ragion più forte:
Rendi agli occhi, agli orecchi il proprio ob-
Senza qual, imperfetto (bietto,
E'lor optar, e'l mio viver è morte.
Indarno or fopia me tua forza adopre;

I 2

Men

v. 7. al. Jente. v. 26. al. come di. v.38.al. fopra.

Mentre 'l mio primo amor terra ricopre. Fa ch' io riveggia il bel guardo, ch' un fole Fu fopra' ghiaccio ond' io folea gir carco. Fa ch' io ti trovi al varco

Onde fenza tornar pafsè 'l mio core.
Prendi dorati ftrali, e prendi l'arco ;
E facciamifi udir ficcome fole,

Col fuon delle parole

Nelle quali io'mparai che cofa è Amore. Muovi la lingua ov'erano a tutt'ore Difpofti gli ami ov' io tui prefo, e l'efca Ch'i' bramo fempre; e i tuo' lacci nafcondi Fra i capei crefpi, e biondi ;

Che'l mio voler altrove non s'invefca. Spargi con le tue man le chiome al vento: Ivi mi lega; e puomi far contento. Dal laccio d'or non fia mai chi mi fcioglia, Negletto ad arte, e'nnanellato, ed irto; Nè dall' ardente spirto

Della fua vifta dolcemente acerba,

La qual die notte, più che lauro, o mirto,
Tenea in me verde l'amorosa voglia;
Quando fi vefte, e spoglia

Di fronde il bofco, e la campagna d'erba.
Ma poi che Morte è ftata si fuperba,
Che (pezzò 'l nodo, ond'io temea fcampare,
Nè trovar puoi quantunque gira il mondo,
Di che ordifchi'l fecondo;

Che giova, Amor, tuo'ingegni ritentare? Paffata è la ftagion: perduto hai l'arme, Di ch'io tremava: omai che puoi tu farme? L'arme tue furon gli occhi onde l'accefe Saette ufcivan d'invifibil foco,

E ragion temean poco;

Che contra 'I ciel non val difefa umana 11 penfar, e 'l tacer; il rifo, e 'l gioco ; L'abito onefto, e 'l ragionar cortefe

Le

v. 12. i tuoi, v. 17. non fia. v. 19. dell'.v. 24. al. frondi.

Le parole, ch'intefe

Avrian fatto gentil d'alma villana ;
L'angelica fembianza umile, e piana,
Ch'or quinci, or quindi udia tanto lodarfi
E' federe, e lo ftar, che fpesso altrui
Pofer in dubbio, a cui

Doveffe il pregio di più laude darfi :
Con queft' arme vincevi ogni cor duro:
Or fe' tu difarmato ; i' fon fécuro.
;

Gli animi, ch' al tuo regno il cielo inchina,
Leghi ora in uno, ed or' in altro modo:
Ma me fol ad un nodo

Legar, potei; che 'l ciel di più non volfe.
Quell' uno è rotto; e 'n libertà non godo:
Ma piango, e grido: Ahi nobil pellegrina,
Qual fentenza divina

Me legd innanzi, e te prima difciolfe?
Dio, che si tofto al mondo ti ritolle,
Ne moftrò tanta, e sì alta virtute
Solo per infiammar noftro defio.
Certo omai non tem' io,

Amor, della tua man nove ferute.
Indarno tendi l'arco: a voto fcocchi:
Sua vertù cadde al chiuder de' begli occhi.
Morte m' ha fciolto, Amor, d'ogni tua legge;
Quella, che fu mia donna, al cielo è gita.
Lafciando trifta, e libera mia vita..

[blocks in formation]

v. 9. al. ed io. v. 14. al, e libertà, v. 24.al. Tua,,

SONET TO CCXXX.

L

'Ardente nodo, ov' io fui d' ora in oras Contando anni ventuno interi prefo, Marte difciolfe: nè giammai tal pefo Provai, nè credo ch'uom di dolor mora; Non volendomi Amor perder aacora, Ebbe un altro lacciuol fra l'erbe telo, E di nov'efca un altro foco accefo, Talchè a gran pena indi fcampato fora : E fe non foffe efperienza molta

De' primi affanni, i' farei prefo, ed arfo,Tanto più, quasto fon men verde legno: Morte m'ha liberato un' altra volta ;

E rotto'l nodo, e 'l foco ba fpento, e fparfo, Contra la qual non val forza, nè 'agegno.

SONETTO

L

CCXXXI.

A vita fugge, non s'arresta, un'ora, E la morte vien dietro a gran giornate. E le cofe prefenti, e le paffate

Mi danno guerra, e le future ancora ; El rimembrar, e l'aspettar m'accora Or quinci, or quindi sì, che 'n veritate Se non ch' ' ho di me steffo pietate, I' fare' già di quefti penfier fora. Tornami avanti, s'alcun dolce mai Ebbel cor trifto; e poi dall'altra parte Veggio al mio navigar turbati i venti. Veggio fortuna in porto, e ftanco omai Il mio nocchier, e rotte arbore, e farte, Ei lumi bei, che mirar foglio, spenti.

So.

v. 14. al. contra 'l quale. v.18. al· fanno. v. 27. al. rosto.

« PrethodnaNastavi »