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SONETTO

P

CCLXXII.

Affato è tempo omai, laffo, che tanto Con refrigerio in mezzo'l foco viffi: Paffata è quella di ch'io pianfi, e scriffi Ma dafciato m' ha ben la pena, e'l pianto. Paffato è vifo sì leggiadro, e fanto;

Ma paffando, i dolci occhi al cor m' ha fiffi, Al cor già mio, che feguendo partiffi Lei ch' avvolto l' avea nel fuo bel manto Ella fene'l portò fotterra, e 'n cielo; Ov or trionfa ornata dell' Alloro, Che meritò la fua invitta oneftate. Così difciolto dal mortal mio velo, Ch'a forza mi tien qui, fufs' io con loro Fuor de fofpir fra l'anime beate. SONETT O CCLXXIII.

M Al tempo lieto gif pendola, trifta

Ente mia, che prefaga de' tuoi danni,

Si intentamente nell' amata vifta Requie cercavi de' futuri affanni: Agli atti, alle parole, al vifo, a i panni, Alla nova pietà con dolor mifta,

Potei ben dir, fe del tutto eri avvifta? Queft'è l'ultimo di de' miei dolci anni, Qual dolcezza fu quella, o mifer' alma, Come ardevamo in quel punto ch’i'vidi Gli occhi, i quai non devea riveder mai! Quando a lor, come a duo amici più fidi, Partendo, in guardia la più nobil falma, I miei cari penfieri, e 'l cor lafciai.

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v. 2. al. vifrigerio. v. 3. Paffato. v. 9.'l fe ne. v. 13. fofs' io v. 25. al. doven. v. 27. al. bella. v. 18. al. Ei mici.

SONET TO CCLXXIV.

T

Utta la mia fiorita, e verde etade

Paflava, e 'ntepidir fentia già il foco Ch' arfe'l mio cor; ed era giunto al loco - Ove fcende la vita, ch' al fin cade: Già incominciava a prender ficurtade La mia cara nimica a poco a poco De' fuei fofpetti; è rivolgeva in gioco Mie pene acerbe fua dolce oneftade: Preffo era' tempo dov' Amor fi fcontra Con Caftitate; ed agli amanti è dato Sederfi infieme, e dir che lor incontra. Morte ebbe invidia al mio felice ftato: Anzi alla fpeme e feglifi all' incontra A mezza via, come nimico armato.

SONETTO

era mai

CCLXXV.

Di tanta guerra; ed erane in via forfe; Se non ch' e' lieti paffi indietro torfe Chi le difagguaglianze noftre adegua: Che come nebbia al vente fi dilegua; Così fua vita fubito trascorfe

Quella che già co' begli occhi mi fcorfe;
Ed or convien che col penfier la fegua
Poco aveva a 'adugiar, che gli anni, e 'l pelo
Cangiavano i coftumi: onde fofpetto
Non foro il ragionar del mio mal feso.
Con che onefti fofpiri le avrei detto

Le mie lunghe fatiche, ch'or dal cielo
Vede, fon certo; e duolsene ancor meco !

So.

SONET TO CCLXXVI.

Ranquillo porto avea mostrato Amore

TAlla mia lunga, torbida tempesta
Fra gli anni dell' età matura, e'onefta,
Che i vizj (poglia, e vertù vefte, e onore.
Già traluceva a' begli occhi 'l mio core,
E l'alta fede non più lor molefta.
Ahi, Morte ria, come a schiantar se' presta
Il fratto di molt'anni in sì poche ore!
Pur vivendo veniafi ove depofto

In quelle cafte orecchie avrei parlando
De' miei dolci penfier l'antica foma;
Ed ella avrebbe a me forfe rifpofto
Qualche fanta parola fofpirando,
Cangiati i volti, e l' una, e l'altra chioma.

SONET TO CCLXXVII.

L

Acader d'una pianta, che fi fvelle,

Come quella che ferro, o vento fterpe, Spargendo a terra le fue fpoglie eccelle Moftrando al fol la fua fquallida fterpe; Vidi un' altra, ch' Amor obbietto fcelfe, Subbietto in me Calliope, ed Euterpe; Che'l cor m'avvinse, e proprio albergo felfe Qual per tronco, o per muro edera ferpe. Quel vivo Lauro, ove folean far nido

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Gli alti penfieri, e i miei fofpiri ardenti; Che de' bei rami mai non moffer fronda Al ciel traslato, in quel fuo albergo fido Lafcid radici, onde con gravi accenti E' ancor chi chiami, e non è chi risponda.

K 3

So.

v. 14. coma.

SONETTO CCLXXVIN.

I

Di miei più leggier che neffun cervo, Fuggir com'ombra ; e non vider più bene Ch'un batter d'occhio, e poche ore ferene, Ch' amare, e dolci nella mente fervo. Mifero mondo, inftabile, e protervo,

Del tutto è cieco chi'a te pon fua fpene; Che 'n te mi fu'l cor tolto; ed or fel tene Tal ch'è già terra,e non giugne offo a nervo. Ma la forma miglior, che vive ancora, E vivrà fempre fu nell'alto cielo,

Di fue bellezze ognor più m'innamora: E vo fol in penfar cangiando 'l pelo.

Qual ella è oggi, e 'n qual parte dimora;
Qual a vedere il fuo leggiadro velo..

SONET TO

CCLXXIX.

Ento l'aura mia antica; e i dolci colli

Veggio apparis, onde 'I bei lume nacque, Che tenne gli occhi mici,mentr'al Ciel piacque Bramofi, e lieti; or li tien trifti, e molli. O caduche fperanze, o penfier folli!

Vedove l'erbe, e torbide fon l'acque; E voto, e freddo 'l nido in ch'ella giacqne, Nel qual io vivo, e morto giacer volli; Sperando al fin dalle foavi piante,

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E da'begli occhi fuoi, che'l cor m'bann'arso, Ripofo alcun delle fatiche tante. Ho fervito a fignor crudele, e scarfo; Ch' arfi, quanto 'l mio foco ebbi davante ; Or vo piangendo il fuo cenere fparfo.

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SONETTO CCLXXX.

Mife l'aurate, e le purpuree penne;
Che fotto le fue ali il mio cor tenne,
E parole, e fofpiri anco ne elice?
O del dolce mio mal prima radice,

Ov'èl bel vifo onde quel lume venne
Che vivo, e lieto ardendo mi mantenne?
Sola eri in terra, or fe' nel ciel felice;
E me lafciato hai qui mifero, e folo,1,
Talchè pien di duol fempre al loco torno:
Che per te confecrato onoro, e colo
Veggendo a' colli ofcura notte intorno
Ode prendefti al ciel l'ultimo volo;
E dove gli occhi tuoi folean far giorno.

SONETT O

CCLXXXI.

Ai non vedranno le mie luci afciutte

M. Con le parti dell'animo tranquille

Quelle note ov' Amor par che sfaville, E pietà di fua man l'abbia conftrutte Spirto già invitto alle terrene lutte, Ch' or fu dal ciel tanta dolcezza stille; Ch' allo ftil onde morte dipartille Le difviate time hai ricondutte. Di mie tenere frondi altro lavoro Credea moftrarte; e qual fero pianeta Ne'avidiò infieme? ô mio nobil teforo. Chi 'ananzi tempo mi t' afconde, e vieta Che col cor veggio, e con la lingua onoro? E'a te, dolce fofpir, l'alma s'acqueta.

K 4

v. 4. al, ancor . v. 23. al. alto.

CAN

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