Ma di menar tutta mia vita in pianto, A parlar d'ira, a ragionar di morte. Or non parl' io, nè penfo altro che pianto. Neffun vive più trifto e giorni, e notti: Che piacer mi facea i fofpiri, e 'l pianto, Or avefs'io un sì pietofo ftile, Che Laura mia poteffe torre a Morte; Ch'aggiungan lei ch'è fuor d'ira,e di pianto, Che già forfe le piacque anzi che Morte SPO v. 1x. tolla, v. xa, al. eb'i panto piango. SONETTO CCLXXXVII ITe, rime dolenti, al duro faflo, Che'l mio caro tefero in terra afconde: Ch'è preffo omai : fiami all'incontro; e qual| SONETTO CCLXXXVIII S "Onefto amor può meritar mercede, E fe pietà ancor può quant'ella fuole, Mercede avrò, che più chiara che 'l fole, A Madonna, ed al mondo è la mia fede. Già di me paventofa, or fa, mol crede,, Che quello fteffo ch' or per me fi vole, Sempre fi volle; e s'ella udia parole, O vedea 'l volto, or l'animo, el cor vede: Ond' i' (pero che 'nfin al ciel fi doglia De' miei tanti fofpiri: e così mostra Tornando a me si piena di pietate: E fpero ch' al por giù di quefta spoglia Venga con me con quella gente noftra Vera amica di CRISTO, e d'oneftate. So. E. 10. al. e pur fatta. v. 13. al. incontra›v. 15. d. mergede. v. 16, al. può ancor • SONETTO CCLXXXIV. Idi fra mille donne una già tale, Ch' amorola paura il cor m' affalse Mirandola in immagini non falle Agli fpirti celefti in vifta eguale. "Jiente in lei terreno era, o mortale, Siccome a cui del ciel, non d' altro calfe. L'alma ch'arfe per lei si fpeffo, ed alfe, Vaga d'ir feco aperfe ambedue l'ale: Ia tropp' era alto il mio pefo terreftre: E poco poi m'ufcì'n tutto di vista; Di che penfando ancor m'agghiaccio,e torpo, belle, ed alte, e lucide finestre, J Onde colei che molta gente attrifta, Trovò la via d'entrare in si bel corpo! T CCXC. Ornami a mente, anzi v'è dentro, quella Ch' indi per Lete effer non può sbandita; Qual io la vidi in full'età fiorita Tutta accefa de' raggi di fua Atella. nel mio primo occorfo onefta, e bella Veggiola in fe raccolta, e sì romita; Ch'i' grido: Ell'è ben deffa; ancor è in vita: E'n don le cheggio fua dolce favella.. Taior rifponde, talor non fa motto: I', com'uom ch'erra, e poi più dritto eftima, Dico alla mente mia: Tu fe'ngannata: ai che 'n mille trecento quarant' otto Il di fefto d'Aprile, in l'ora prima Del corpo ufcio quel' anima beata. SONET TO CCXCI. Uefto noftro caduco, e fragil bene, ({ Ch'è vento,ed ombra,ed ha nome e Belu Non fu giammai, fe non in questa etati Tutto in un corpo; e ciò fu per mie pen Che Natura non vuol, nè fi convene, Per far ricco un, por gli altri in povertatt Or versò in una ogni fua largitate: Perdonimi qual è bella, o fi tene. Non fu fimil bellezza antica, o nova, Nè farà, credo; ma fu si coverta, Ch' appena fen' accorfe il mondo errant Tofto difparve; onde 'l cangiar mi giova La poca vifta a me dal ciele offerta, Sol per piacer alle fue luci fante. SONETTO CCXCII. Tempo, o ciel volubil, che fuggendo Inganni i ciechi, e miferi mortali; O di veloci più che vento, e ftrali, Or ab efperto voftre frodi intendo : Ma fcufo voi, e me stesso riprendo : Che Natura a volar v'aperie l' ali; A me djede occhi: ed io pur ne' miei mal Li tenni, onde vergogna, e dolor prende E farebbe ora, ed è paffata omái, Da rivoltarli in più ficura parte, E poner fine agl' infiniti guai. Nè dal tuo giogo, Amor, l'alma fi parte, Ma dal fuo mal; con che ftudio, tu 'I fai Non a caso è virtute, anzi è bell' arce. So. ■. 17, el. o ftrali, v. 21, al. diè gli occhi. |