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So mille volte il di ingannar me fteffo:
So, feguendo 'l mio foco, ovunque fugge;
Arder da lunge, ed agghiacciar da preffo.
So com' Amor fopra la mente rugge,

E com' ogni ragione indi difcaccia;
E fo in quante maniere il cor fi Arugge.
So di che poco canape s'allaccia

Un' anima gentil quand'ella è fola,
E non è chi per lei difefa faccia.
So com' Amor faetta, e come vola;
E lo com' or minaccia, ed or percote
Come ruba per forza, e come invola g
E come fono inftabili fue rote;

Le fperanze dubbiofe, e 'l dolor certo
Sue promeffe di fè come fon vote.
Come nell'offa il fuo foco coperto,
E nelle vene vive occulta piaga;
Onde morte è palese, e'ncendio aperto..
In fomma fo come inceftante, e vaga,
Timida, ardita vita degli amanti,
Con poco dolce molto amare appaga.
E foi coftumi, ei lor fofpiri, e i canti,
E' parlar rotto, el fubito filenzio,
El breviffimo rifo, e i lunghi pianti
E qual'è 'l mel temprato con l'affenzio.

v. 2. al. ovunche, v. 9. al. Se non v'è. v. 16: ak saverto, v. 39. com'è. v. 21, Ch'un .

DEL

278

DEL.

TRIONFO D'AMORE

CAPITOLO QUARTO.

Ofcia che mia fortuna in forza altrui

Pebbe fofpinto, e tutti incifi i nervi

Di libertate, ov' alcun tempo fui; Io, ch'era più falvatico, che cervi, Ratto domefticato fui con tutti

I miei infelici, e miferi confervi. E le fatiche lor vidi, e i lor lutti, Per che torti fentieri, e con qual'arte All' amorofa greggia eran condutti. Mentre ch'i'volgea gli occhi in ogni parte, S'i' ne vedeffi alcun di chiara fama, O per antiche, o per moderne carte; Vidi colui che fola Euridice ama,

E lei fegue all' inferno, e per lei morte Con la lingua già fredda la richiama, Alceo conobbi a dir d'amor si fcorto; Pindaro: Anacreonte; che rimesse Avea fue Mufe fol d'Amore in porto. Virgilio vidi; e parmi intorno aveffe

Compagni d'alto ingegno, e da traftullo, Di quei che volentier già 'l mondo eleffe. L'un era Ovidio, e l'altr' era Catullo, L'altro Properzio, che d'amor cantaro Fervidamente, el' altr' era Tibullo. Una giovane Greca a paro a paro Co' nobili poeti gia cantando ; Ed avea un fuo ftil leggiadro, e raro. Così or quinci, or quindi rimirando,

Vidi

v. 9. al. gregge, v. 15, al, ancor le chiama.

Vidi o una fiorita, e verde piaggia Gente, che d' amor givan ragionando. Ecco Dante, e Beatrice; ecco Selvaggia Ecco Cin da Pistoia; Guitton d' Arezzo Che di non effer primo par chira aggia Ecco i duo Guidi, che già furo in prezzo; Onefto Bolognese; e i Siciliani,

Che fur già primi, e quivi eran da fezzo. Sennuccio, e Francefchin; che fur si umani, Com'ogni uom vide:e poi v'era un drappello Di portamenti, e di volgari strani. Fra tutti il primo Arnaldo Daniello Gran maestro d'amor, ch'alla fua terra Ancor fa onor col dir polito, e bello. Eranvi quei ch' Amor sì leve afferra, do; L'un Pietro;e l'altro;e'l men famofo Arnal. E quei, che fur conquifi con più guerra ; 1' dico l'uno. e l'altro Raimbaldo,

Che cantar per Beatrice in Monferrato: El vecchio Pier d'Alvernia con Giraldo, Folchetto, ch'a Marfiglia il nome ha dato, Ed a Genova tolto; ed all'estremo

Cangiò per miglior patria abito, e stato. Gianfrè Rudel, ch'uso la vela, e 'l remo A cercar la fua morte, e quel Guglielmo, Che per cantar ha 'l fior de'fuoi di feemo. Amerigo, Bernardo, Ugo, ed Anfelmo; E mille altri ne vidi a cui la lingua Lancia, e fpada fu fempre, e feudo, ed al mej E poi convien che 'l mio dolor diftingua: Volfimi a' noftri; e vidi 'l. buon Tomaffo Ch'ornò Bologna, ed or Melfina impingua.. O fugace dolcezza, o viver laffo! Chi mi ti tolse sì tosta dinanzi,,

Sen

V.T. al. gente ir per una verdè piaggia. v.2, al'.. pur d'amor vulgarmente. v. 7. al. Ciciliani. V. 14. al. col fuo dir Brano. v. 19 cantar pur v. 29. al. sarga.

Senza 'l qual non fapea mover un paffo? Dove (e' or, che meco eri pur dianzi? Ben è'l viver mortal, che sì n' aggrada, Sogno d'infermi, e fola di romanzi Poco era fuor della comune strada

Quando Socrate, e Lelio vidi in prima: Con lor più lunga via convien ch' io vada. O qual coppia d'amici! che nè 'n rima Poria, nè 'n profa ornar affai, ne 'n verfi'; Se, come dee, virtù nuda fi ftima. Con quefti duo cercai monti diverfi

Andando tutti e tre fempre ad un giogo: A quefti le mie piaghe tutte aperfi. Da coftor non mi può tempo, nè luogo Divider mai; ficcome fpero, e bramo; Infin al cener del funereo rogo. Con coftor colfi 'l gloriofo ramo,

Onde forfe anzi tempo ornai le tempie In memoria di quella, ch'i' tant' amo Ma pur di lei, che 'l cor di pensier m'empie, Non potei coglier mai ramo, nè foglia, Si fur le fue radici acerbe, ed empie: Onde, benchè talor doler mi foglia, (chi Com'uom,ch'è offefo; quel che con queft'oc. Vidi,m'è un fren,che mai più non mi doglia. Materia da coturni, e non da focchi, Veder prefo colui ch'è fatto Deo Da tardi ingegni, rintuzzati e fciocehi. Ma prima vo' feguir, che di noi feo: E poi dirò quel che d'altrui foftenne. Opra non mia ma d' Omero, o d'Orfec. Seguimmo il fuon delle purpuree penne De' volanti corfier per mille toffe, Finchè nel regno di fua madre venne. Ne rallentate le catene, of (coffe;

Ma ftraziati per felva, e per montagne, Talchè 'neffun fapea in qual mondo foffe. Giace

9. affai ormar. v. 10. Siccome dì, v. 30. poi feguire.

Giace oltra ove l'Egeo fofpira, e piagne,
Ua'ifoletta delicata, e molle

gat.

Più ch'altra che 'l fol fcalde, o che'l may ba Nel mezzo è un'ombrofo, e verde colle Con si foavi odor, con si dolci acque, Ch'ogni mafchio penfier dall'alma tolle. Queft'è la terra, che cotanto piacque

A Venere; e'a quel tempo a lei fu facra Che 'I ver nafcofo, e sconosciuto giacque: Ed anco è di valor si nuda, e macra, Tanto ritien del fuo primo effer vile; Che par dolce a' cattivi, ed a' buoni acra. Or quivi trionfo fignor gentile

Di noi, e d'altri tutti, ch'ad un laccio Prefi avea dal mar d'India a quel di Tile. Penfier in grembo, e vanitate in braccio : Diletti fuggitivi, e ferma noja:

Rofe di verno, a mezza state il ghiaccio Dubbia fpeme davanti, e breve gioja: Penitenza, e dolor dopo le fpalle: Qual nel regno di Roma, o 'n quel di Troja. -rimbombava tutta quella valle

D'acque, e d'augelli, ed eran le fue rive Bianche, verdi, vermiglie, perfe, e gialle. Rivi correnti di fontane vive

Al caldo tempo fu per l'erba fresca El'ombra folta, e l'aure dolci eftive. Foi quando verno l'aer fi rinfresca, Tepidi foli, e giuochi, e cibi, ed ozio Lento, che femplicetti cori invefca. Era nella ftagion, che l'equinozio Fa vincitor il giorno, e Progne riede Con la forella al fue dolce negozio. O di noftra fortuna inftabil fede!

In quel loco, in quel tempo, ed in quell'ora, Che più largo tributo agli occhi chiede; Trionfar volle quel che 'l vulgo adora : E vidi

v. 2. al. dilicata. v. 10. al. Ed è ancor. v. 37. al, ombre Spelle.

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