282 DEL TR. D'AMORE CAP. IV. E vidi a qual fervigio, ed a qual morte, Ed a che ftrazio va chi s'innamora.. Errori, e fogni, ed immagini (morte Eran d'intorno all'arco trionfale; E falfe opinioni in fulle porte. E lubrico fperar fu per le fcale; E dannofo guadagno, ed util danno; E gradi, ove più fcende chi più faie : Stanco ripofo, e ripolato affanno: Chiaro difnor, e gloria ofcura, e nigra: Perfida lealtate, e fido inganno : Sollecito furor, e ragion pigra : Carcer ove fi vien per trade aperte, Onde per ftrette a gran pena fi migra : Ratte fcefe all' entrar, all' uicir erte: Dentro confufion turbida, e mischia Di doglie certe, e d'allegrezze incerte. Non bolli mai Vulcan, Lipari, od Ifchia, Stromboli, o Mongibello in tanta rabbia: Poco ama fe chi 'n tal gioco s' arrifchia. In così tenebrofa, e ftretta gabbia Rinchiufi fummo; ove le penne ufate Mutai per tempo, e la mia prima labbia. E'ntanto pur fognando libertate L'alma, che gran defio fea pronta, e leve, Confolai con veder le cofe andate. Rimirando er'io fatto al fol di neve Tanti fpirti, e sì chiari in carcer tetro, Quafi lunga pittura in tempo breve: Che'l piè va innanzi, e l'occhio torna indietro. TRION. v, 2. al. A quale, v. 4. al- carro. v. 32. al. retro 283 TRIONFO DELLA CASTITA'. Uando ad un giogo, ed in un tempo quivi E degli uomini vidi al mondo divi ; Facendomi profitto l'altrui male In confolar i cafi, e dolor miei :: Che s'io veggio d' un arco, e d' uno firale Febo percoffo, e 'l giovane d'Abido, L'un detto Dio, l'altr'uom pure e mortale; E veggio ad un lacciuol Giunone, e Dido, Ch'amor pio del fuo sposo a morte spinfe, Non quel d'Enca, com'è 'l pubblico grido; b Non mi debbo doler s' altri mi vinfe Giovane, incauto, difarmato, e folo Duo leon fieri, o duo folgori ardenti, Per v. 5. al. Facendo mio. v. 23. al, costej, v. 24. al.prefta affai più. v. 28. via Per veder meglio, e l'orror dell' impres 1 cori, e gli occhi avea fatti di fmalto Quel vincitor, che primo era all' offela, Da man dritta lo ftral, dall' altra l'arco, E la corda all'orecchia avea già tefa. Non corfe mai sì levemente al varco Di fuggitiva cerva un leopardo Libero in felva, o di catene fcarco; Che non foffe ftato ivi lento, e tardo; Tanto Amor venne pronto a lei ferire Con le faville al volto ond' io tutt' ardo Combattea in me con la pietà il defire; Che dolce m'era sì fatta compagna ; Duro a vederla in tal modo perire. Ma virtù, che da' buon non fi fcompagna, Moftrò a quel punto bea, com' a gran torto Chi abbandona lei, d'altrui fi lagna: Che giammai schermidor non fu si accorto A chifar colpo; nè nocchier sì prefto A volger nave dagli fcogli in porto: Come uno schermo intrepido, ed onefto Subito ricoperfe quel bel vifo Dal colpo a chi l'attende, agro, e funefto. l'era al fin con gli occhi e col cor filo Sperando la vittoria ond' effer fole, E di non effer più da lei divifo ; Come chi fmifuratamente vole, C'ha fcritto innanzi ch'a parlar cominci, Negli occhi, e nella fronte le parole; Volea dir io: Signor mio, fe tu vinci, Legami con coftei, s'io ne fon degno; Ne temer che giammai mi fcioglia quinci: Quand' io 'l vidi pien d'ira, e di difdegno Si grave, ch'a ridirlo farian vinti Tutti maggior, non che'l mio baffo ingegno; Che già in fredda oneftate erano eftinti I do. v. 7. al. D'una fugace. v. 10. al. pronto venne. v. 12. al. ricoverfe. v. 26. E per non. v. 30. al. Polea dir jo : Signor fe su pur. . I dorati fuoi rali accefi in fiamma D'amorofa beltate, è'n piacer tinti. Non ebbe mai di vero valor dramma Cammilla, l'altre a gir ufe in battaglia Con la finiftra fola intera mamma: Non fu si ardente Cefare in Farfaglia Costra' genero fuo, com' ella fue Contra colui, ch'ogni larica (maglia & Armate eran con lei tutte le fue Chiare virtuti; o gloriofa fchiera ! E teneanfi per mano a due a due. Oneftate, e vergogna alla front' era; Nobile par delle virtù divine, Che fen coftei fopra le donne altera: E la concordia, ch'èsi rata al mondo, Tal venia contr' Amor, e'n si feconde v. 4. andar. v. 28. al. Torgli vid' io. "Com'uom ch'è fano,e'n un momento ammorba, Ch'io vidi, e dir non ofo: alla mia Donna Torno, ed all' altre fue minor compagne. Ell' avea indoffo il dì candida gonna; Lo fcudo in man, che mal vide Medusa : D'un bel diafpro era ivi una colonnar 'Alla qual d' una in mezzo Lete infufa Catena di diamante, è di topazio, Ch'al mondo fra le donne oggi non s'ufa, Legar i vidi, e farne quello ftrazio, Che baftò ben a mill' altre Vendette: Ed io per me ne fui contento, e fazio. Io non poria le facre benedette Vergini, ch' ivi fur, chiuder in tima; Non Calliope,e Clio con l' altre fette. Ma d' alquante dirò, che 'n fulla cima Son di vera oneftate, infra le quali Lucrezia da man deftra era la prima L'altra Penelopea: quefte gli strali, E la faretra, e l'arco avean spezzato A quel prótervo, e fpennacchiate l'ali? Virginia appreffo il fiero padre armato Di difdegno, di ferro, e di pietate; Ch'a fua figlia, ed a Roma cangid ftato, L'una, e l'altra ponendo in libertate: Poi le Tedefche che con afpra morte Servar la lor barbarica oneftaté: Giu V. I. accolto. v. 4. al. e tanto; v. 6. al. surze. v. 12. Vengo. v. 29. al. avean Spizzari. e la faretra allato. 36. al. Servaron ion. |