Che l'effermi contefa Quella benigna angelica falute, Deftar folea con una voglia accefa: E le braccia gentili, E gli atti fuoi foavemente alteri Torre d'alto intelletto Mi celan quefti luoghi alperi, e feri Vederla anzi ch' io mora: S'erge la fpeme, e poi non fa ftar ferma; • Ma ricadendo afferma Di mai non veder lei che 'l ciel' onora ; E dov' io prego, che 'l mio albergo fia. Canzon, s'al dolce loco La Donna noftra vedi; Ch' ella ti porgerà la bella mano, Non la toccar ma reverente a piedi 12, al giopenit. v. 14. lochi. v. 18. Sorge', V. 32. prego. v. 28. al, riverente SONETTO XXX. Nè mare, ov ogni rivo si disgombra; Nè di muro, o di poggio, o di ramo ombra Ne nebbia,che'l ciel copra,e'l mondo bagni Ne altro impedimento, ond' io mi lagni; Qualunque più l'umana vifta ingonibra; Quanto d'un vel,che due begli occhi adom E par che dica, Or ti confuma,e piagni. (bra: E quel lor inchinar, ch'ogni mia gioja Spegne, o per umiltate, o per orgoglio: Cagion farà che 'nnanzi tempo i moja; E d'una bianca mano ancor mi doglio; Ch'è ftata fempre accorta a farmi neja E contra gli occhi miei s'è fatta fcoglio SONETTO I Nemos Aderbegli occhi XXXI. Ne' quali Amore, e la mia morte alberga Ch'i' fuggo lor, come fanciul la verga E gran tempo è ch' io prefi 1 primier falto. Da ora innanzi faticofo, ed alto Loco non fia dove i voler non s'erga; Per non fcontrar chi i miei fenfi difperga "Laffando, come fuol, me freddo fmalto Dunque s'a veder voi tardo mi volfi, Per non ravvicinarmi a chi mi ftrugge Fallir forfe non fu di fcufa indegno. Più dico:Che 'l tornare a quel ch' uom fugge: E'l cor che di paura tanta fciolfi: Fur della fede mia non leggier pegno B6 6. al.Qualunche. v.7. duo. v. 10. al. onefta. te. V. ii. al. temp 30. 12. anco. v 18.al primo, v. 19. od alto. v.12.al. Lasciande.v.23. al,tarde SONETTO XXXII. Amore, o Morte non da qualche ftroppio E s'io mi fvolvo dal tenace vifco, Mentre che l'un con l'altro vero accoppio; 1' farò forfe un mio lavor si doppio Tra lo ftil de moderni, el fermon prifco, Che paventofamente a dirlo ardifco ) Infin' a Roma n'udirai lo fcoppio. Ma però che mi manca a fornir l'opra Alquanto delle fila benedette.* Ch' avanzaro a quel mio diletto Padre; Perchè tien' verfo me le man sì ftrette Contra tua ufanza? i' priego che tu l'opra: E vedrai riufcir cofe leggiadre. SONETTO XXXIII. UANDO dal proprio fito fi rimove L'arbor'ch'amo già Febo in corpo umano, Sofpira, e fuda all' opera Vulcano Per rinfrescar l'afpre faette a Giove: Il qual' or tona, or nevica, ed or piove Senza onorar più Cefare, che Giano: La terra piagne, e 'l Sol ci fta lontano, Che la fua cara amica vede altrove. Allor riprende ardir Saturno, e Marte Crudeli ftelle, ed Orione armato Spezza a trifti nocchier governi, e farte Eolo a Nettuno, ed a Giunon turbato. Fa fentir, ed a noi, come fi parte Il bel vifo dagli Angeli afpettato v. 3. al. svolgo. v. 10. al. alquante. v. 13. prego v. 15. al. propie. v. so. Senza. v. 36. al. Maligne SONETTO XXXIV. MA poi che 'l dolce rifo umile e piano Più non afconde fue bellezze nuove Le braccia alla fucina indarno move L'antichiffimo fabro Siciliano: Ch' a Giove tolte fon l'arme di mano Temprate in Mongibello a tutte prove Nel bel guardo d' Apollo a mano a mano, Difperfe dal bel vifo innamorato › Per cui lagrime tante fon già sparte a SONETTO XXX V. L figliuol di Latona avea già nove I Volte guardato dal balcon fovrano Per quella ch' alcun tempo moffe in vano I fuoi fofpiri, ed or gli altrui commove: Poi, che cercando ftanco non feppe, ove S'albergaffe, da preffo, o di lontano; Moftroffi a noi qual' uom per doglia infano, Che molto amata cofa non ritrove; E così trifto ftandofi in difparte Tornar non vide il vifo chè laudato Saràs io vivo, in più di mille carte: E pietà lui medefmo avea cangiato, an Si, ch'e' begli occhi lagrimavan parte Però l'aere ritenne il primo ftato C. SQ M f. Da poi. v.4. al. antiquissimo, v, 10.al ficuro e fanz1, v. molte v. 26, al. piata SONETTO XXXVI. A farla del civil fangue vermiglia Pianfe morto il marito di fua figlia Raffigurato alle fattezze conte: E' paftor ch'a Golia ruppe la fronte Pianfe la ribellante fua famiglia, E fopra' buon Saul cangiò le ciglia: Ond' affai può dolerfi il fiero monte Ma voi, che mai pietà non difcolora, E ch'avete gli schermi sempre accorti Contra l'arco d'amor, che 'ndarno tira; Mi vedete ftraziare a mille morti: Nè lagrima però difcefe ancora Da' be voftr'occhi; ma disdegno, ed ira. SONETTO XXXVII. Il mio avverfario ; in cui ved felon Gli occhi voftri, ch'amore, e 'l ciel onora Con le non fue bellezze v innamora, Più che 'n guifa mortal, foavi e liete. Per configlio di lui, Donna, m'avete Scacciato del mio dolce albergo fora; Mifero efilio! avvegnach' io non fora D'abitar degno ove voi fola fiete. Ma s'io v'era con faldi chiovi fiffo, i Non devea fpecchio farvi per mio danno A voi ftella piacendo, afpra e fuperba Certo fe vi rimembra di Narciffo; Quefto, e quel corfo ad un termine vannos Benchè di si bel fior fia indegna l'erba SQ. v. 1. Quei.v.4. al. Raffigurare le v. 7. al. cam... al cui.v M. 11. al Contro all'. v. 12, al, Iẞraziar mi vedete i via, ql, fejev, 24. dovea |