Pofta a bagnar un leggiadretto velo CANZONE XI. PIRTO gentil, che quelle membra reggi Dentro alle qua' peregrinando alberga Un fignor valorofo, accorto, e faggio; Poi che fe' giunto all' onorata verga, Con la qual Roma, e fuo'erranti correggi; E la richiami al fuo antico viaggio; lo parlo a te, però ch'altrove un raggio Non veggio di virtù, ch'al mondo è (penta; Nè trovo chi di mal far fi vergogni . Che s'afpetti non fo, nè che s'agogni Italia, che fuoi guai non par che fenta; Vecchia, oziofa, e lenta Dormirà fempre, e non fia chi la fvegli? Le man l'avefs' io avvolte entro i capegli. Non fpero che giaminai dal pigro fonno Mova la tefta per chiamar ch'uom faccia; Si gravemente è oppreffa, e di tal foma. Ma non fenza deftino alle tue braccia, Che fcuoter forte, e follevarla ponno, E' or commeffo il noftro capo Roma. Pon man' in quella venerabil chioma Securamente, e nelle treccie fparte Sì, che la neghittofa efca del fango. 1', che di e notte del fuo ftrazio piango, Di mia fperanza ho in te la maggior parte: Che fe'l popol di Marte Doveffe al proprio onor' alzar mai gli occhi, Parmi v. 6. al. pellegrinando V. 9. fuoi 22. sanza. v. 23. al. follevarlo. v. 26. al. al. arditamente. v.27. nighittofa. v.29. al. mie Speranze. v. 31, Devesse, al. primo, Parmi pur ch'a' tuoi dì la grazia tocchi. L'antiche mura ch' ancor teme ed ama, E tremal mondo, quando fi rimembra Del tempo andato, e'ndietro fi rivolve; E i faffi dove fur chiufe le membra Di tai che non faranno fenza fama, Se l'univerfo pria non fi diffolve; E tutto quel ch' una ruina involve, Per te fpera faldar ogni fuo vizio. O grandi Scipioni, o fedel Bruto, Quanto v' aggrada, s'egli è ancor venuto Romor laggiu del ben locato offizio! Come cre, che Fabbrizio Si faccia lieto, udendo la novella! E' dice, Roma mia farà ancor bella. E fe cofa di qua nel ciel fi cura; L'anime che lafsù fon cittadine, Ed hanno i corpi abbandonati in terra; Del lungo odio civil ti priegan fine, Per cui la gente ben non s'afficura; Onde cammin' a' lor tetti fi ferra, Che fur già si devoti, ed ora in guerra Quafi fpelunca di ladron fon fatti; Tal, ch' ai buon folamente ufcio fi chiude; E tra gli altari, e tra le ftatue ignude Ogn' imprefa crudel par che si tratti. Deh quanto diverfi atti! Nè fenza fquille s'incomincia affalto, Che per Dio ringraziar fur pofte in alto. Le donne lagrimofe, e 'l vulgo inerme Della tenera etate, e i vecchi ftanchi C'hanno fe in odio, e la foverchia vita; E i neri fraticelli, e i bigi, e i bianchi Con l'altre schiere travagliate, enferme Gridan': O fignor noftro, aita, aita. E la povera gente sbigottita Ti v. 6. fanza. v. 11, fe gli è. v. 17. là fu. v. 19. pregan. v. 22. divoti. v. 23. al. Spelon. che. v. 24. a buon, v, 28. fanza. v. 31 al. età Ti feuopra le fue piaghe a mille a milk, Le voglie che fi mostran sì infiammate; Ogni foccorfo di tua man s'attende Ch'a gli animofi fatti mal s'accorda. Dir: Gli altri l' aitar giovane, e forte; Quefti in vecchiezza la fcampò: da morte. Sopra 'l monte Tarpeo, Canzon, vedrai Un V. I. fcopre. v. 2. farian. V. 16, avian. V. 20. al. per tua man. v. 22, al. Marade volte avviene v.33.al. invidiosa. v. 35. alla fcampai Un cavalier, ch' Italia tutta onora ; Con gli occhi di dolor bagnati, e molli ERCH'al vifo d'Amor portava infegna, Pofle una pellegrina il var Ch'ogni altra mi parea d'onor men degnas E lei feguendo fu per l'erbe verdi Udi dir alta voce di lontano; Ahi quanti paffi per la felva perdi! Allor mi ftrinfi all' ombra d' un bel faggio Tutto penfelo; e rimirando intorno Vidi affai perigliofo il mio viaggio: E torna' indietro, quafi a mezzo il giorno. Q UEL foco ch' io penfai, che foffe spento Dal freddo tempo, e dall'età men fresca; Fiamma e martir nell' anima rinfresca. Non fur mai tutte spente, a quel ch' io veggie Ma ricoperte alquanto le faville: E temo, no fecondo error fia peggio. Per lagrime, ch'io fpargo a mille a mille Convien che'l duol per gli occhi fi diftille Dal cor, c' ha feco le faville, e l'efca, Non pur qual fu, ma pare a me che crefca. Qual foco non avrian già fpento, e morto L'onde, che gli occhi tristi verfan fempre? Amor v. 3, al. unqua. v. 9. al. peregrina. v. 10. al. amor, v. 18. al. fuffe. v. 19. al. tempo dell' età, v. 28. avrien Amor (avvegna mi fia tardi accorto > SONETTO XLIII. SE E col cieco defir che'l cor distrugge, Contando l'ore non m'ingann' io fteffo: Ora mentre ch'io parlo, il tempo fugge, Ch'a me fu infieme, ed a mercè promeffo. Qual ombra è sì crudel, che 'l feme adugge, Ch' al defiato frutto era si preffo? E dentro dal mio ovil qual fera rugge? Tra la fpiga, e la man qual muro è meffo? Laffo, nol fo: ma si conofeo io bene, Che per far più dogliofa la mia vita Amor m' adduffe in si giojofa fpeme: Ed or di quel ch' io ho letto, mi fovvene, Che 'nnanzi al dì dell' ultima partita Uom beato chiamar non fi convene SO. . 6. defio. mi ftrugge,"v. 9, al. merzè. v. 11. difiato |