2. Di che vanno fuperbi in vifta i fiumi Ch'allor fia un di Madonna fenza'l ghiaccio Dentro, e di for fenza l'ufata nebbia ; Ch'i vedrò, fecco il mare, e laghi, e fiumi. Mentre ch' al mar difcenderanno i fiumi, E le fere ameranno ombrofe valli; Fia dinanzi a' begli occhi quella nebbia. Che fa nafcer de miei continua pioggia Enel bel petto l'indurato ghiaccio Che trae del mio si doloroй venti Ben debb' io perdonare a tutt'i venti, Per amor d'un che 'n mezzo di duo fiumi Mi chiufe tra'l bel verde, e'l dolce ghiaccio, Tal, ch' i' dipinfi poi per mille valli L'ombra ov'io fui che nè calor, nè pioggia, Nè fuon curava di spezzata nebbia. Ma non fuggio giammai nebbia per venti, Come quel di; nè mai fiume per pioggia; Ne ghiaccio quando 'l Sol apre le valli 8. fenza ghiaccio, v. 9. for fenza . v. 12. al fiere. v. 21. al mai calor v. 23. E non fuggì a D SONETTO LI EL mar Tirreno alla finiftra riva Dove rotte dal vento piangon l' onde, Subito vidi quell' altera fronde Di cui conven che 'n tante carte fcriva : Amor, che dentro all' anima bolliva Per rimembranza delle treccie bionde Mispinse: onde in un rio che l'erba afconde, Caddi, non già come perfona viva Solo, ov' io era tra bofchetti e colli, Vergogna ebbi di me ch' al cor gentile Bafta ben tanto; e altro fpron non volli. Piacemi almen d'aver cangiato ftile Dagli occhi a' piè; fe del lor' effer molli Gli altri asciugasffe un più cortese Agrile. SONETTOLII. 'ASPETTO facro della terra voftray Mi fa del mal paffato tragger guai, Gridando: Sta fu, mifero, che fai? E la via di falir al ciel mi moftra. Ma con quefto penfier' un' altro gioftraE dice a me: Perchè fuggendo vai? Se ti rimembra, il tempo paffa omai Di tornar a veder la Donna noftra. Io, che 'l fua ragionar intendo allora, (colta M'agghiaccio dentro a guifa d'uom ch'af -Novella che di fubito l'accora: Poi torna il primo, è questo dà la volta: Qual vincerà, non fo: ma infino ad ora Combattur hanno, e non pur? ùna vòlta SO. v."9al.wo, v. 11. al.Bastò, w12. al. almene aver. v. 18. al. da følir. v. 24. in quifa SONETTO LIII. EN fapev'io che natural configlio, BAN, Vontra di te giammai non valle: Tanti lacciuol, tante impromeffe falfe, Tanto provato avea tuo fero artiglio Ma novamente ( ond' io mi maraviglio) Dirol come perfona a cui ne calfe E che notai là fopra l'acque falfe Tra la riva Toscana, e l' Efba, e'l Giglio, 'fuggia le tue mani, e per cammino Agitandom'i venti, e'l cielo, e l'onde Mandava sconofciuto, e pellegrino; Quand' ecco i tuoi miniftri (i' non fo donde:) Per darmi a diveder, ch'al fuo deftino Mal chi contrafta, e mal chi fi nasconde. L CANZONE XVII. Affo me, ch'i' non fo in qual parte pieghi La fpeme, ch'è tradita omai più volte: Che fe non è chi con pietà m' afcolte; Perchè fparger al ciel sì fpeffi prieghi? Ma s'egli avvien, ch'ancor non mi si nieghi Finir anzi il mio fine Quefte voci mefchine; Non gravi al mio fignor, perch'io 'l ripsegħi Di dir libero un di tra l'erba, ei fiori: Drez & Faifon es qui eu aiant emdemori. Ragion'è ben, ch'alcuna volta io canti: Però ch' ho fofpirato si gran tempo; Che mai non incomincio affai per tempo Per adeguar col rifo i dolor tanti. Es v. 3. al. promeffe. v. 4. al. fiere. v. 7.77 pigvas v. 17. al. pietate ascolto. v. 23. erbe . v. 28. al, adeguar E s'io poteffi far ch' agli occhi fanti O me beato fopra gli altri amanti ! Curi; che 'l Ciel non vole; Al qual pur contraftando i' fon già laffe; Onde, come nel cor m'induro, e'nnafpro, Così nel mio parlar voglio effer alpro. Che parlo? o dove fono e chi m'inganna Altri, ch'io fteffo e 'I defiar foverchio? Già s'i' trafcorro il ciel di cerchio in cerchio, Neffun pianeta a pianger mi condanna. Se mortal velo il mio veder appanna■ Che colpa è delle ftelle, O delle cofe belle? Meco fi fta chi dì, e notte m'affanna Poi che del fuo piacer mi fe gir grave La dolce vifta,el bel guardo foave Tutte le cofe di che'l mondo è adorno, Ufcir buone di man del Maftro eterno: Ma me, che così a dentro non difcerno Abbaglia il bel che mi fi moftra intorno E s'al vero fplendor giammai ritorno L'occhio non può ftar fermo ; Così l'ha fatto infermo ན་ Pur la fua propria colpa; e non quel giorno Ch'i' volfi inver l'angelica beltade Nel dolce tempo della prima etade. CAN v. 4. Blafoura . v. 5. fanza. v. 6. priega. al. glia N. 17. al, o chi v.34, al, propio P CANZONE XVIII ERCHE' la vita è breve E l'ingegno paventa all'alta imprefa Là dov'io bramo, e là dov'effer deve Pigro da fe, ma'l gran piacer lo fpronag Tien dal fuggetto un'abito gentile ; Levando, il parte d'ogni penfier vile: Quanto mia laude è ingiuriofa a voi: Ch'i' vidi quel che penfier non pareggia, Altri che voi, so ben, che non m'intende; Forfe ch' allor mia indegnitate offende. Non tempraffe l'arfura che m'incende; Si frale oggetto a si poffente foco; Non è proprio valor che me ne fcampi. Ma v. 9 al; gran defio, v. 12, al; ali, vi 32% al., · • bletto. |