Moftrimi almen, ch'io dica, Amor, in guifa, che fe mai percuote Gli orecchi della dolce mia nemica ; Non mia, ma di pietà la faccia amica. Dico: Se'n quella etate Ch'al vero onor fur gli animi si accefi, Poggi, ed onde paffando, e l' onorate In quei be lumi ond'io giojoso vivo; Non conven ch'i' trapaffe, e terra mute : Come a fontana d'ogni mia falute; Stanco nocchier di notte alza la tefta Ch'i' foftengo d'amor, gli occhi lucenti Mi fa di loro una perpetua norma: Senza lor a ben far non moffi un'orma: Così gli ho di me pofti in fu la cima Che 'I mio valor per fe falfo s'eftima. I'non poria giammai Immaginar, non che narrar gli effetti v. I. al. Moftrami, v. 12. al. compiutamense 24. al. foftegno, v. 30, al fan · Tutti gli altri diletti Di quefta vita ho per minori affai Com' Amor dolcemente gli governa, Senza volger giammai rota fuperna: Vo quel ch' effer non puote in alcun modo; Ch' Amor circonda alla mia lingua, quando Volgon per forza il cor piagato altrove: El fangue fi nafconde i' non fo dove; Nè rimango qual era, e fommi accorto Che quefto è'l colpo di che Amor m'ha mor Canzone, i' fento già ftancar la penna (to. Del lungo e dolce ragionar con lei, * Ma non di partar meco i genfieri miei, 21. farian SONET TO LIV. O fon già ftanco di penfar, si come E come vita ancor non abbandono Begli occhi ond'i' fui percoffo in quifa Ch'i medefmi porian faldar la piaga; E non già vertù d'erbe, o d'arte maga, O di pietra dal mar noftro divifa ; M' hanno la via si d'altro amor precifa, Ch'un fol dolce penfier l'anima appaga : E fe la lingua di feguirlo è vaga, La fcorta può, non ella, effer derifa. Quefti fon que' begli occhi che 1' imprefe Del mio Signor vittoriefe fanno In ogni parte, e più fovra il mio fianco : Quefti fon que begli occhi che mi ftanno Sempre nel cor con le faville accefe: Perch'io di lor parlando non mi stanco.. * SO v. 4 dea al. più gravi . v. q. al. Rancati » V. 25» at. sopra A SONETTO LVI. Mi riconduffe alla prigione antica, E diè le chiavi a quella mia nimica, Ch'ancor me di me fteffo tiene in bando a Non me n'avvidi, laffo, fe non quando Fu in loro forza, ed or con gran fatica (Chi'l crederà, perchè giurando il dica?) In libertà ritorno fofpirando E come vero prigioniero afflitto, Delle catene mie gran parte porto: El cor negli occhi, e nella fronte ho fcritto Quando fara del mio colore accorto, Dirai; S'i' guardo, e giudico ben dritto; Quefti avea poco andare ad effer motto P SONETTO LVII. ER mirar Policleto a prova fifo Con gli altri ch' ebber fama di quell' arte, Mill' anni, non vedrian la minor parte Della beltà, che m'ave il cor conquifo Ma certo il mio Simon fu in paradifo, Onde quefta gentil donna fi parte: Ivi la vide, e la ritraffe in carte Per far fede qua giù del fuo bel vifo. L'opra fu ben di quelle che nel cielo Si ponno immaginar, non qui fra noi Ove le membra fanno a l'alma velo. Cortefia fe: nè la potea far poi Che fu difcefo a provar caldo, e gielo, V. 4. tene SQ SONET TO LVIII. Uando giunse a Simon l'alto concetto Ch' a mio nome gli pofe in man lo ftile; Saveffe dato all' opera gentile Con la figura voce, ed intelletto; Di fofpir molti mi fgrombrava il petto Dell' immagine tua, fe mille volte S SONET TO LIX. Al principio rifponde il fine, e 'l mezzo Nè fo quanto fe meco il fuo foggiorno, CAN. v. 6. ha . v. IX. al. fapesse, v, 19. han mez |