Fummo alcun tempo; ed or fiam giunte a ta Per tornar all'antico fuo ricetto : (le, I'per me fono un'ombra: ed or t'ho detto Dicendo: Non temer ch'i' m' allontani ; Intorno intorno alle mie tempie avvolfe. Canzon, chi tua ragion chiamaffe ofcura, Di: Non ho cura; perchè tofto fpero, Ch' altro meffaggio il vero Farà in più chiara voce manifesto. Non m' ingannò, quand' io partii da lui. SONET TO XCIV. Uelle pietofe rime in ch' io m'accorfi Del veftro ingegno, e del cortefe affetto, Ebber tanta virtù nel mio cofpetto, Che ratto a quefta penna la man porfi, Per far voi certo, che gli eftremi morfi Di quella ch'io con tutto'l mondo aspetto, Mai non fentii; ma pur senza fofpetto Infin all'ufcio del fuo albergo corfi: Poi tornai 'ndietro, perch' io vidi fcritto Di fopra al limitar, che 'l tempo ancora Non era giunto al mio viver prefcritto; Bench'io non vi leggeffi il dì, nè l'ora. Dunque s'acqueti omai 'l cor voftro afflitto, E cerchi uom degno, quando sì l'onora. CAN v. 5. al. brieve. v. 19. Div.39. Ebben tanto vigor. v. 22. al. Per farvi.v, 28. al. corse al mio. vedi, Amor, che giovinetta donna Tuo regno fprezza, e del mio mal non cuE tra duo ta' nemici è sì fecura. (ra; Tu fe' armato, ed ella in treccie e'n gonna Si fiede, e fcalza in mezzo i fiori, e l'erba, Ver me fpietata, e contra te fuperba. 1' fon prigion: ma se pietà ancor ferba L'arco tuo faldo, e qualch' una faetta Fa di te, e di me, fignor, vendetta. SONETTO XCVII Iciaffett'anni ha già rivolto il cielo (fi Droiche a prima arfi,e giammai non mi fpen Ma quando avven ch'al mio stato ripenfi, Sento nel mezzo delle fiamme un gelo. Vero è'l proverbio, ch' Altri cangia il pelo Anzi che 'l vezzo; e per lentar i sensi Gli umani affetti non fon meno intenfi: Ciò ne fa l'ombra ria del grave velo. Oimè laffo! e quando fia quel giorno Che mirando 'I fuggir degli anni miei Efca del foco, e di si lunghe pene? Vedrò mai 'I di che pur quant' io vorrei Quell' aria dolce del bel vifo adorno. Piaccia a queft'occhi, e quanto fi conve ne SO. SONETTO Q XCVII. Uel vago impallidir che 1 dolce rife D'un'amorofa nebbia ricoperfe, Con tanta maeftade al cor s'offerfe Che li fi fece incontro a mezzo 'l vio Conobbi allor, ficcome in paradifo Vede l'un l'altro; in tal guifa s'aperfe Quel pietofo penfier ch' altri non fcerfe: Ma vidil' io, ch' altrove non m'affifo. Ogni angelica vifta, ogni atto umile (ve, Che giammai in donna ov'amor foffe, apparFora uno fdegno allato a quel ch'i'dico. Chinava a terra il bel guardo gentile ; E tacendo dicea com'a me parve) Chi m'allontana il mio fedele amico? SONETTO XCIX. Mor, Fortuna, e la mia mente fchiva A Di quel che vede, e nel paffato volta, M'affliggon sì, ch' io porto alcuna volta Invidia a quei, che fon full'altra riva .. Amor mi ftrugge 'l cor; Fortuna il priva D'ogni conforto; onde la mente stalta S'adira, e piange; e così in pena molta Sempre conven che combattendo viva. Nè fpero i dolci di tornino in dietro: Ma pur di male in peggio quel ch'avanza, E di mio corfo ho già paffato il mezzo. Laffo, non di diamante, ma d'un vetro Veggio di man cadermi ogni fperanza, E tutt'i miei penfier romper nel mezzo. SE CANZONE E'l penfier, che mi frugge, XXVI: Cosi veftiffe d'un color conforme : Ch' avria parte del caldo; E defteriafi Amor là dov' or dorme: Foran de' miei piè laffi Per campagne, e per colli: Che non fia foco, e fiamma. E di faver mi spoglia, Parlo in rim' afpre e di dolcezza ignude Ramo, nè 'n fior, nè 'n foglia Moftra di fuor fua natural virtude Miri ciò che 'l cor chiude, Amor, que' begli occhi Ove fi fiede all' ombra. Se'l dolor che fi fgombra, Avven the 'n pianto, o 'n lamentar traboc L'un a me nuoce, e l'altro Altrui; ch'io non lo fcaltro. Dolci rime leggiadre, Che nel primiero affalto ( chi; D' Amor ufai, quand'io non ebbi altr'arme, Quefto mio cor di fmalto, Ch' almen, com'io folea, poffa sfogarme? Un che Madonna fempre Dipinge, e di lei parla; E v. 6. al. defteriefs. v. 18, al. nè fior, nè foglia. A voler poi ritrarla, (pre: Per me non bafto, e par ch' io me ne ftem. Laffo, così m'è fcorfo Che dir non fa, ma 'l più tacer gli è noja; A dire e vo che m❞ oda La mia dolce nimica anzi ch' io moja. Nel fuo bel vifo e folo, E prefta a miei fofpir sì largo volo, Come tu m' eri amica. Ben fai, che si bel piede Non toccò terra unquanco, Come quel, di che già fegnata fofti: Col tormentofo fianco A partir teco i lor penfier nascosti, De' bei veftigi fparfi Ancor tra' fiori, e l'erba : Che la mia vita acerba Lagrimando trovaffe ove acquetarfi . Ma come può s'appaga L'alma dubbiofa, e väga. Ovunque gli occhi volgo, Trovo un dolce féreno, Penfando, Qui percoffe il vag lume- Aggia radice ov' ella ebbe in c‹ ›ftume E talor far un feggio Frefco, fiorito, e verde: |