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Ma Ella si paleserà subito, facendo conoscere al pellegrino mistico lo scopo della sua venuta.

Nell' Empireo Dante, passati i primi minuti di stupore e di gioia d'essere pervenuto dal

o demeritando tende alle due Felicità; è la simbolizzazione dell'intelletto possibile (Virgilio e Beatrice) dell'umanità (Dante) in atto nel suo doppio potenziarsi in azione (Virgilio) ed in contemplazione (Beatrice) in questo suo tendere, è, infine, la visione utopistica dell' umanità e dell'uomo che raggiunge le due Felicità, (Divina Foresta ed Empireo) con le guide necessarie (Impero e Chiesa).

II.

l'umano al divino, dal finito all'eterno, guarda Virgilio e Beatrice come simboli dell'Impero all' intorno la meraviglia di luce della candida rosa dei Beati e racconta:

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Bea

e della Chiesa.

È merito di Luigi Valli, discepolo ed am miratore del Pascoli, d'avere approfondito quella ch'egli chiama geniale intuizione del Pascoli, cioè i parallelismi nella Commedia della Croce e dell'Aquila a cui ha dedicato un suo volume Il Segreto della Croce e dell'Aquila stampato l'anno scorso coi tipi dello Zanichelli.

Per il Valli Beatrice simbolizza: La sapienza santa che contempla Iddio, e nella quale si assommano le virtú rivelatrici e salvatrici della Croce (pag. 101).

Virgilio rappresenta « l'umanità redenta soltanto dall'Aquila, che viene in soccorso di quella che è redenta soltanto dalla Croce (pag. 102) cioè Dante, ch'è nella selva, l'umanità redenta dalla virtú della Croce, ma a cui manca la virtú dell'Aquila.

Quindi l'Impero da un canto, che conduce alla Felicità temporale e d'altro canto la Chiesa che conduce alla Felicità celeste.

A pag. 140 e seg. il Valli da un passo della Monarchia (III, 16) in cui si legge che la Provvidenza ha dato agli uomini due fini: la beati

Questo parallelismo mette in evidenza da un canto che nella Commedia si hanno come duetudine di questa vita che si raffigura nel Purgafini: quello della vita attiva (Virgilio - Beatrice) e quello della contemplativa (Beatrice · Bernardo); e d'altro canto, come ho fatto in tendere anche dalle singole osservazioni fatte sulla nuova simmetria, nel Paradiso terrestre si vede il buono, nell' Empireo l'ottimo.

Con questa dottrina del buono e dell'ottimo, si comprende come Virgilio e gli altri sospesi che ebbero solo uso di vita attiva, anelino alla vita contemplativa ch'è ottima.

Dunque la Divina Commedia è il poema del singolo e dell'umanità intera; è la tragedia dell'umanità che libera nel suo arbitrio, meritando

torio, specialmente nel Paradiso terrestre, e la beatitudine della vita eterna con cui s'intende il Paradiso celeste, che alla vita eterna non si può giungere senza la Chiesa, come alla felicità. temporale non si può giungere senza l'Impero, ne conclude che l'Impero è necessario per giun. gere al Paradiso celeste, e continua: « nella Monarchia, il fine della Felicità terrestre ed il fine della Felicità celeste sono rappresentate in certo modo, come tini diversi che si trovino al termine di due strade parallele o divergenti [Ad has quidem beatitudines, velut ad diversas conclusiones, per diversa media venire oportet.

Mon., III, 16 (15)]. La Divina Commedia, invece, li rappresenta come due fini che si trovino sulla stessa linea, l'uno dopo l'altro, di maniera che non si possa giungere al secondo, al Paradiso celeste, se non attraverso il primo, il Paradiso terrestre, e di maniera quindi che la guida necessaria per condurre al primo, si debba riconoscere come indispensabile al conseguimento del secondo ». Perciò Dante, nella Visione utopistica, rappresenta nell' Empireo l' umanità redenta dall'Aquila e dalla Croce.

Ma pur ammettendo l'esistenza di questa che possiamo chiamare contiguità dei due fini nella Commedia, che dobbiamo attribuire a ragioni di carattere religioso, alla tradizione letteraria dei viaggi mistici, e a ragioni estetiche di fondere in una sola narrazione il viaggio per i tre regni, resta sempre dimostrato lo sforzo del Poeta di fare marcare anche nella Commedia l'idea della distinzione dei due fini. Anzi vedremo come appunto questi due fini nella Commedia siano di stinti e subordinati, il primo al secondo.

A tal proposito mi piace riportare alcune osservazioni su Virgilio e Beatrice che Francesco Ercole, fa nella sua lunga introduzione « Sulla genesi e sul contenuto della Monarchia di Dante » alla recente traduzione di questa del Siragusa ' per trarre dalle sue critiche qualche conclusione.

A pagina LVII si legge : « l'affermazione che il Virgilio della Monarchia non attenda nessuna Beatrice è da respingersi, ove con essa voglia dirsi che nella Monarchia la ragione umana sia concepità come sufficiente anche ad intendere i documenta revelata ».

Questa osservazione è esattissima e a provarla basterebbe, come dice l'Autore, il « ricorso al testo ».

E nella medesima pagina dopo alcune righe: « L' Impero deve, non ubbidienza nel proprio campo, ma reverenza alla Chiesa, come la ragione deve, non ubbidienza nel proprio campo, ma reverenza alla fede. Ond'è vano cercare nell'imperniarsi della Commedia sui due simboli distinti e subordinati, Virgilio e Beatrice, l' indizio d'un preteso ritorno di Dante ad una concezione medievale della subordinazione alla teologia della filosofia, che sarebbe stata superata nel trattato politico. Anche nella « Commedia »

Il trattato della Monarchia di Dante, nuovamente tradotto ed annotato, Palermo, R. Sandron 1923.

Virgilio basta da solo, senza l'aiuto di Beatrice, a condurre Dante sin sulla soglia del « Paradiso Terrestre », cioè alla felicità terrena come tale: e, viceversa, anche nella Monarchia, Virgilio non potrebbe, da solo, condurre Dante alla felicità ultraterrena, cui è guida la Chiesa »; in altri termini l'Autore dice: tanto nella Monarchia che nella Commedia l'Impero basta da solo a condurre l'umanità alla felicità temporale, ma è necessaria la collaborazione della Chiesa per condurre l'umanità all'eterna felicità.

L' Ercole chiama i due simboli distinti e subordinati, ma, immediatamente dopo nega questa subordinazione col dire che Virgilio basta da solo, senza l'aiuto di Beatrice a condurre Dante alla felicità terrena.

Ciò non risponde a verità per la Commedia. Virgilio dopo essere apparso a Dante nell'oscurità della selva, dopo d'aver pronunziato la sua profezia dell'avvento del Veltro ed aver detto a Dante i luoghi per cui passerà, gli svela, per incorarlo alla fatica, d'essere stato comandato a ciò da Beatrice:

.... donna mi chiamò beata e bella
Tal che di comandare io la richiesi.
Inf., II, 53.

ed alcuni versi dopo:

Io son Beatrice che ti faccio andare. Id., 70.

Qui si sente quasi l'accento di comando.
Ed ancora :

Tanto m'aggrada il tuo comandamento,
Che l' ubbidir, se già fosse, m'è tardi.
Id.,
79.

Invece Virgilio dicendo:

E venni a te, cosí com'ella volse,
Id., 118.

dimostra che la sua volontà è subordinata a quella di Beatrice. Anche Dante vuol fare confermare questo con le sue parole:

O pietosa colei che mi soccorse

E te cortese ch' ubbidisti tosto
Alle vere parole che ti porse!
Id., 133.

Vere parole perché Beatrice è la Chiesa, la quale ha avuto le rivelazioni da Dio,

Indi l'Impero comincia il suo compito sotto la guida dei veraci comandamenti della Rivelazione.

In Virgilio che comparisce a Dante e si mette in viaggio c'è già la reverenza che si traduce in atto come obbedienza, ma ch'è volontaria in quanto deriva da quella.

Virgilio è in apparenza la sola guida di Dante nel viaggio per i due regni del peccato, ed Egli lo sa, come di fatti dice a Dante per togliergli dal petto ogni viltà:

Poscia che tai tre donne benedette
Curan di te nella corte del cielo.

Id., 124.

Le Tre Donne, specialmente Beatrice, colei che ha parlato direttamente a Virgilio, sono ricordate dai due Poeti lungo il viaggio, quasi a ricordare la loro presenza spirituale. Esse che sono state carità in quanto hanno voluto la salvezza di Dante, sono anche la fede e la speranza che sostengono le sue forze nelle parti piú fa ticose del mistico viaggio. La luce delle tre virtú teologali FEDE, SPERANZA e CARITÀ simbolizzate la prima in Beatrice, la seconda in Lucia e l'ultima in Maria, ma simultaneamente, come ho accennato, in ciascuna, illumina Dante e Virgilio fin dai primi passi.

Veda il lettore il canto X° dell' Inferno al verso 130.

Nel canto XII Virgilio placa Chirone, centauro, anzi ne ottiene aiuto per passare il Flegetonte, in nome di Beatrice la cui virtú lo assiste nel viaggio:

.. Ben è vivo, e sí soletto
Mostrargli mi convien la valle buia:
Necessità il ci' nduce, e non diletto.
Tal si partì da cantare Alleluia,

Che mi commise quest' officio nuovo;
Non è ladron, né io anima fuia.
Ma per quella virtú, per cui io muovo
Li passi miei per sí selvaggia strada
Danne un de' tuoi,

.

(v. 85).

Questi versi non hanno bisogno di commento.

Nei versi 88-90 del canto XV dell' Inferno, vibra dalle parole di Dante il desiderio di giungere a Beatrice, sua speranza.

Ometto, per brevità, di citare i numerosi ricordi di Beatrice nel Purgatorio. Virgilio è, ripeto, solo di persona, ma virtualmente è subordinato ed aiutato da Beatrice. Virgilio da solo non si sarebbe imposto « quest'officio nuovo », è stata Beatrice a spingervelo.

Allegoricamente ciò significa: che « l'anima umana, la quale è colla nobiltà della potenza ultima, cioè ragione (principio di vita attiva) partecipe della natura divina» che «la divina luce, (Beatrice) come in angelo, raggia in quella »1 e che l'Impero per portare l'umanità alla felicità. terrena ha bisogno della Chiesa.

1

L'Ercole nei luoghi citati s'è lasciato trasportare dall'entusiasmo per Dante, il cui pensiero nella «< Monarchia » parve rasentare piú dạ vicino l'eresia come ben dice, in un altro passo della stessa introduzione « nel sostenere la diversità dei due fini e nell'abbattere quel famoso paragone del sole e della luna con l'autorità papale ed imperiale ».

Se le ultime parole con cui si chiude la Monarchia non contengono alcuna svalutazione o attenuazione della tesi sostenuta nel testo del Trattato hanno invece, come ho dimostrato, la massima importanza per la Commedia.

Il Dante della Commedia ha modificato la tesi sostenuta nel trattato politico, togliendo il parallelismo dei due poteri, che urtava contro la tradizione cattolica, e subordinandoli; inoltre nell'architettare il Poema che secondo Lui doveva redimere l'uman genere, volle ritornare alla tradizione per esser letto da tutti, il che non sarebbe avvenuto se fosse stato tacciato d'eresia.

Conv., III, 2.

GAETANO SCARLATA.

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ZUM TEXT VON DANTES BRIEF AN DIE ITALIENISCHEN KARDINAELE

Der Brief an die italienischen Kardinäle ist das am mangelhaftesten überlieferte Stück von Dantes lateinischen Schriften und erschien demgemäss in den älteren Ausgaben in einer wenig einladenden, ja eher abschreckenden Textverfas sung, derart dass noch vor einem Jahrzehnt ein bewährter Forscher die Meinung äusserte, es fiele ihm schwer zu glauben, dass Dante so krauses Zeug zusammengeschrieben haben solle. Solche Urteile müssen verstummen angesichts der mustergültigen Edition Paget Toynbees (1920), welche wie wenig andere den Philologen mit Vertrauen zum Fortschritt seiner Wissenschaft zu erfüllen geeignet ist, und welche den folgenden von Arnaldo Monti und Ermengildo Pistelli den Weg wies.

Da ich meiuen Ausgaben des Traktats De vulgari eloquentia und der Monarchia eine solche der Briefe Dantes wollte folgen lassen, habe ich mich seit Jahren um Besserung ihres Wortlauts bemüht. Wie Paget Toynbee an Dr. C. B. Heberden, so hatte ich dabei einen scharfsinnigen und selbstlosen Helfer an dem seinen Freunden unvergesslichen Studienrat Dr. Max Voigt-Berlin (†), dem ich die besten der nachfolgenden Vorschläge und Anregungen verdanke. Dieselben beanspruchen keineswegs alle endgültige Lösungen zu sein, wollen aber als wohlüberlegt reiflich nachgedacht sein, zugleich eine Mahnung, dass der Brief noch genug Dunkelheiten und Rätsel bietet. Zum mindesten werden sich die Restituierungen der Interpunktion der einzigen Handschrift, des Codex Medic. XXIX 8 der Laurentiana von Boccaccios Hand, durchsetzen.

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IT6, P2, M p. 262, punetali; B puctalis. Paul Lehmann - München schlägt vor profetali ← prouetali puetali, Paul Piur Charlottenburg prouidentiali. Ich schlage vor preeminenti als das im kurialen Kanzleistil übliche Attribut von specula. Specula bedeutet Thron' schlechthin; apostolice sedis speculapäpstlicher Thron' schon im Liber diurnus (ed. Sickel, Vindobonae 1889, p. 56 Z. 16). In eminenti sedis apostolice specula constituti' beginnt wie viele andere z. B. eine Bulle Calixti III an den Bischof von Plock 1196 (gedr. Kodeks dyplomatyczny ksiestwa Mazowieckiego ed. Lubomirski. W. Warszawie 1863, p. 1). In eminenti rerum speculo et fastigio mundane dignitatis constituti.... In eminenti specula domino disponente constituti....' beginnen zwei Urkunden Kaiser Friedrichs II. vom Jahr 1216, 'In eminenti Romani imperii culmine constituti........' ein dritte von 1218 (gedr. Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Friderici II. I 2, 1852, p. 437, 476, 575). Alle päpstlichen Universitätsprivilegien von 1347 bis 1405 beginnen mit der Arenga In suprema dignitatis apostolice spe

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cula....' (s. Pommersche Jahrbücher VII, 1906, p. 17-18).

II. T 9 et P 2, M p. 262 et is, B Et. Ich schlage vor qui.

III. T 15, P 3 ter de caritate interrogatum et dictum est, B ter de carite interogatum dictum est. Mit M und Moore ziehe ich vor ter de caritate interrogato dictum est.

IV. T 20-22, M p. 264 Nos.... Romam.... cum Ieremia, non lugenda (lugendo M postvenientes, sed post ipsa (ipsum M dolentes, viduam et desertam lugere compellimur; B... cum ieremia ñ lugenda post uenientes f3 post ipo dolentes, uidua... P verstehe ich nicht. Ich restituiere B ipso (ablat. comparat.) und ändere post (p") in plus (pl3), potius (poo) oder prius (p1o), schreibe also Nos.. Romam.. cum Ieremia, non lugendo postvenientes, sed plus ipso dolentes, viduam et desertam lugere compellimur' wir müssen mit Ieremias die verlassene Witwe Rom beweinen, ihm in Trauer nicht nachstehend, sondern mehr als er Schmerz empfindend.'

V. T 23-25, P 4, M p. 264 266 § 3 Piget, heu! non minus quam plagam lamentabilem cernere heheresium, quod impietatis fautores, Iudei, Saraceni, et gentes sabbata nostra rident. B & Schreibung.... cernerei.... heresium pietatis.... folgend interpungiere ich nach cernere und ziehe den ersten Satz Piget.... cernere (Cursus tardus) zum vorhergehenden § 2 als dessen Schluss und beginne § 3 Heresium impietatis fautores.... Die Heresium fautores könnten hier die Saducäer sein resp. ihre averroistischen Nachfolger, welche die christlichen Engel mitsamt der Unsterblichkeit leugneten.

VI. P 6 B Nec adimitanda recenseo. Diese Kürze bedarf m. E. keiner Erweiterung, weder durch Zusatz von vobis wie bei T 38, noch weniger durch die Fassung Nec ad imitandum recenseo vobis exempla (Witte, Moore, M). Bestechende Einfachheit empfiehlt E. Walsers Vorschlag Nec admiranda recenseo.

VII. T 42-44, P 6, M p. 270 robis columbas in templo vendentibus, ubi que pretio mensurari non possunt, in detrimentum hinc inde commorantium venalia facta sunt. Ich emendiere Bs comuranciu in commutantium: .... zum Schaden der hin und her schachernden...,' beider Teile, der Verkäufer und Käufer.

VIII. §5 ist die Abwehr einer seitens der Kurie gern gegen unberufene Kritik ins Feld geführten Parallele aus dem alten Testament;

er klingt wie die Antwort auf den Anfangssatz zweier Bullen Gregors IX vom 26. Mai 1233 und 10. Mai 1238: Si quam graviter Oza percussus fuerit, eo quod arcam sacri federis sacrilegis presumpsit manibus attrectare, debita meditatione pensares, sacrosanctam ecclesiam offendere nullatenus attemptares (Les régistres de Grégoire IX publ. par Lucien Auvray I 745 n. 1328, II 1003 n. 4326). Es ist ungehörig, dass T und M die Nachahmung dieses § durch Cola di Rienzo nach der gänzlich veralteten Ausgabe Gabriellis zitieren, statt nach der vortrefflichen von Burdach und Piur. Der Briefwechsel des Cola di Rienzo (= Vom Mittelalter zur Reformation. Forschungen zur Geschichte der deutschen Bildung hrsg. von Konrad Burdach II. Bd:), 3. Teil, Berlin 1912, p. 382.

IX. T 82 ist B (filias sanguis suce) näher bleibend zu schreiben filie sanguissuge; vgl. Oraculum Cyrilli ed. Piur 1. c. Index s. v.

1

X. T 103 6, P 20-21, M p. 288-290 ist zu schreiben: pariat pudor in nobis penitudinem, primogenitam suam, et huic (hoc B, hec edd.) propositum emendationis aggeneret, quod (Quod edd.) ut gloriosa longanimitas foueat et defendat. Die doppelte Emendation von Max Voigt, die neue' Satztrennung in Uebereinstimmung mit B s Interpunktion, ut im Sinn von utinam.

XI. T 124-9, P 25, M p. 294 ist zu schreiben: Tu quoque, Transtiberine, sectator factionis (septator sactors B alterius, ut ira defuncti antistitis in te velut ramus insitionis in trunco non suo frondesceret. Quod si (quasi TPM triumphatam Carthaginem nondum exueras, illustrium Scipionum patrie potuisti hunc angulum (animum B edd) sine ulla tui iudicii contradictione preferre? Der Angeredete der Vokativ Transtiberine entspricht dem vorhergehenden Vrse ist nicht Kardinal Francesco Gaetani, wie Toynbee und Monti irrig wiederholen, sondern, wie die deutsche Forschung seit Jahrzehnten festgestellt

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Das Wort penitudo, dem erst Rostagno an dieser Stelle zu seinem Recht verholfen, stand nicht nur in den Wörterbüchern, sondern lebte in der Sprache des lateinischen Mittelalters. So schloss der heilige Bernhard von Clairvaux seinen letzten Sermo de dedicatione ecclesiae: preteritorum penitudo peccatorum et futurorum expectatio premiorum' (S. Bernardi opera ed. Mabillon 1690, I 1084). Vgl. z. B. auch die von G. Levi, Bonifazio VIII e Firenze (S. A. aus dem Archivio della Società Romana di storia patria V 1882), p. 101 edierte Bulle Bonifaz' VIII.

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