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questa inclinazione per impadronirsi di una parte dei giornali. Ciò malgrado il numero di quelli che difendono lealmente le loro opinioni, è ancora più che bastevole a far prova della piena libertà, di cui la stampa gode nel nostro paese. In fine non c'è nessuno, nè giornali, nè società, nè privati, che si trovi impedito di dire sulla cosa pubblica tutto quello che vuole, e gli stessi abusi, che si deplorano, ne fanno aperta testimonianza.

Ma anche più libero della stampa è il diritto di associazione. Il quale pare a volte interpretato per modo, che una cosa illecita a pochi, cessi di essere tale, come appena sia fatta da molti uniti insieme. Pullulano società e circoli di ogni genere con tutti gli intendimenti possibili, non escluso quello di disfare la convivenza civile. Tratto, tratto, non soltanto la monarchia, ma la patria, la · proprietà, il matrimonio, la famiglia, sono dileggiate e vituperate da gente che annuncia la pace raccomandando il saccheggio, l'incendio, l'omicidio. Altre volte, in occasioni solenni, si portano in giro bandiere rosse ed emblemi, sui quali sta scritto: Circolo Socialista, Associazione Anarchica e cose simili, che pure vogliono dir qualche cosa in uno Stato, che professa di non volere nè socialismo, nè anarchia. Nondimeno gli agenti pubblici, come non sentono le parole, così non vedono gli emblemi contrari alle istituzioni dello Stato; e poichè, com'è naturale, tutto passa tranquillamente, sorge il dì dopo un concerto di lodi al Governo, che seppe così abilmente mantenere l'ordine pubblico.

Certamente può essere un'arte anche quella di avvezzar a congiurare alla luce del sole. Poi non vi ha dubbio che, quando i discorsi e gli emblemi si tramutassero in qualche cosa di più serio, il Governo saprebbe difendersi, come già fece in parecchie occasioni. Ma nondimeno questo continuo lasciar dire di voler fare ciò che dalle leggi è proibito, va a scapito dell'autorità di chi ha l'incarico di esigerne l'osservanza, e incoraggia i più audaci a tentar coi fatti ciò che poterono senza danno minacciar tante volte a parole. Quello che vi ha di male non è quindi il pericolo immediato, che non ci vuol molto a comprendere che non esiste, ma è l'abitudine che si fa nascere nelle popolazioni di violar la legge, anche sotto gli occhi dei rappresentanti del potere, senza timore, nonchè di incorrere la responsabilità della violazione, neppure di esserne impediti.

Quest'abitudine, di cui non molti sono in grado di farsi carico, perchè i suoi effetti non vanno a cadere sull'oggi, ma sul

domani, si allarga a poco a poco, e produce un'indisciplina e uno spirito di ribellione, che penetrando in tutti gli ordini della vita, serpeggia nascostamente e poi, quando meno si pensa, ricompare sotto forma di studenti che fischiano i professori, di muratori che percorrono devastando e saccheggiando le vie di Roma, di insulti e di tumulti contro un pacifico predicatore, di bombe in piazza Colonna e di sassate al presidente del Consiglio. Quando questi casi avvengono, non si pensa a tutto quello che s'è tollerato prima; non si pensa che la continua diminuzione del rispetto all'autorità li prepara, non consentendo quel risparmio di mezzi, ch'è parte essenzialissima dell'arte di governo, perchè senza di esso non c'è più vigilanza che basti. Che più? Una tolleranza di questo genere distrugge perfino quella libertà, a cui si crede, o si finge, di rendere omaggio, in quanto la libertà stessa non ha, nè può avere, altro fondamento che la legge. Fuori di questa, tutto diventa arbitrio, così per il potere, come per tutti gli altri. Ciò senza aggiungere che un governo, che non prevede gli effetti della incessante diminuzione di credito che gliene segue, si trova poi costretto a ricuperarlo da un punto all'altro con qualche atto risoluto, e allora, poichè nessuno vi era preparato e se l'aspettava, sembra avere operato contro la sua natura, e lo si incolpa di abuso, di violenza e per poco non anche di inganno.

È questo l'ordine di fatti, per cui non pochi si impensieriscono e vanno ripetendo quella sentenza volgare, che in Italia la libertà è troppa. E invero, per quanto l'offesa alla legge, sopportata da chi dovrebbe impedirla, non sia libertà, ma licenza, nulla di più naturale che il pubblico in grande non distingua le istituzioni dal modo in cui vengono interpretate e si fermi ne'suoi giudizi a ciò che accade di più appariscente nella vita giornaliera e sopra tutto gli si manifesta come un pericolo per la tranquillità dello Stato e per la sua. Però, prescindendo dall'uso che sappiamo o non sappiamo farne, ossia da ciò che ci mettiamo del nostro nel servircene, sulla qual cosa ritorneremo, questo per ora si può conchiudere, che le istituzioni politiche dell'Italia sono assai largamente liberali, sono tali da accontentare anche i più esigenti in materia di libertà, esclusi i soli che, qualunque cosa si facesse, non si chiamerebbero paghi mai.

II.

Se non che la libertà politica è certamente una parte importante della libertà, ma non è tutta la libertà. Poter scrivere una volta ogni tre o quattro anni un nome od alcuni nomi in un pezzo di carta e gettarlo in un'urna, o stampare senza permesso dei superiori un articolo sulla cosa pubblica, o pronunciare un discorso secondo l'animo proprio in un'adunanza, è qualche cosa, ma non è tutto. Se uno, suppongasi, godendo pure di questi diritti, fosse impedito di muoversi a volontà sua entro lo Stato, od anche di abbandonarlo per far fortuna o per suo piacere, se in caso di abuso da parte di un'autorità non gli fosse conceduto di ricorrere alla magistratura, se fosse malignato e guardato sinistramente da' suoi superiori, perchè ascolta la messa e va a confessarsi, se la sua casa potesse essere perquisita per sospetti senza ragione, o senza aver commesso un delitto egli potesse esser condannato a una pena o anche soltanto seccato umiliato dalle angherie e dalla vigilanza offensiva di una polizia irresponsabile, allora non gli sarebbe di consolazione grandissima la facoltà di scrivere la scheda, di pubblicare l'articolo o di fare il discorso. Non c'è compenso possibile alla mancanza di libertà personale. Poter fare, potere intraprendere, poter adoperare a talento le proprie facoltà, senz'altro limite che quello del rispetto dovuto agli stessi diritti altrui, ecco ciò che importa prima di tutto e sopratutto a ciascuno, perchè la libertà della propria persona stà a ciascuno più a cuore di quella dello Stato. Per parlare più chiaro, l'importante per ciascuno è che gli altri, le autorità che tengono il potere principalmente, osservino verso di lui scrupolosamente i loro doveri, perchè da questa osservanza deriva la sua libertà. Quella che consiste invece nell'esercizio di alcuni diritti, coi quali esercitiamo una certa influenza sulla cosa pubblica, viene dopo ed è secondaria; tutto il contrario di quello che comunemente si crede. È il contrario non solo per il valore massimo, che tutti dànno necessariamente a ciò che riguarda la persona loro propria in paragone colla cosa di tutti, non solo cioè psicologicamente, ma anche storicamente.

Le più grandi libertà, le più preziose guarentigie pubbliche vennero infatti, come mostra la storia, dopo la rivendicazione del rispetto dovuto alla libertà personale, o almeno ne furono più spesso un effetto, che non la causa, la quale consistette nel bisogno di premunirsi contro gli arbitri del potere. Così avvenne presso tutte

le nazioni che diventarono veramente libere, libere cioè dal fondo. dell'animo, e nelle quali perciò la libertà mise radice. Ciò è quanto dire, che questa troppo vantata libertà politica ne suppone alcune altre, sopra tutto la libertà amministrativa e la libertà civile, suppone cioè il contorno e la convenienza delle altre istituzioni e tutto un ambiente omogeneo, che la sorregga, l'alimenti e le dia valore. << Tutte le libertà sono necessarie, dice il Laboulaye, ma quello che contraddistingue il nuovo partito liberale si è di aver finalmente compreso, che le libertà politiche non sono per sè stesse nulla, e il popolo se ne disamora come di forme vuote e ingannevoli, se dietro ad esse non ci stanno quei diritti individuali e sociali, che costituiscono il fondo e la sostanza stessa della libertà. Non per altro che per avere disconosciuto questa verità, dal 1814 al 1848, due governi, che pure non mancavano di buone intenzioni, non riuscirono a far penetrare nei costumi quella libertà che li avrebbe salvati. » Parole d'oro e che meritano la più seria meditazione in un paese, che per una fatale somiglianza di lingua, di idee, di usanze, di leggi, vede rinnovarsi in sè stesso, per quanto a distanza di tempo e attenuati, gli avvenimenti della Francia!

III.

Anche in Italia va, per un concorso di cause, scemando il fa⚫scino, che le libertà politiche avevano in altri tempi, e cresce il numero dei convinti che, per dare a queste libertà una base solida e accordarle con le altre istituzioni, si sarebbe richiesto un ordinamento generale del paese non poco differente da quello che abbiamo.

Fatta l'Italia, sarebbe stato consentaneo a prudenza, e alcuni tra i più autorevoli lo consigliarono, di introdurvi tali ordini che, in luogo di imporre a forza un'unificazione prematura, l'avessero preparata. Poichè la natura non procede per salti, resta sempre deluso il legislatore, che presume di costringerla a cangiamenti immediati. Pur provedendo all'unità, non si poteva dimenticare che le regioni d'Italia erano in generale fino al di prima Stati, differenti di storia, di leggi, di condizioni economiche, di costumi, di civiltà e perfino di lingua, e nessuno al mondo avrebbe avuto tanta sapienza da trovare una legge nella quale o l'una, o l'altra, o parecchie non si fossero sentite a disagio. Appunto perciò nulla per allora di più ragionevole che un temperamento, fosse pure passeggero, con cui senza compromettere l'unità politica del paese, ma anche

senza interrompere la catena dei tempi, si fosse resa possibile una certa equa libertà di moto conforme agli interessi e alle abitudini locali, sulla quale si sarebbe fondata quella della nazione.

Queste regioni avrebbero infatti dovuto avere le loro diete elettive con certi poteri e certi diritti determinati, e soltanto sopra di esse ci sarebbero stati la Camera (con elezioni a doppio grado) e il Senato (nominato dal Re) per le cose di interesse generale e importanti all'unità e alla forza del paese. Le città sedi delle diete avrebbero avuto un governatore con poteri proporzionati alla sua dignità e al suo ufficio e fino dall'origine ne sarebbe venuta un'amministrazione decentrata, elastica, larga, sottratta in molta parte alle influenze parlamentari, e in grado di provvedere a un'infinità di cose minori, senza gl'interminabili scribacchiamenti e i ritardi e le confusioni d'oggi. Ci sono altri Stati al presente che si governano così. Sarebbe giovato imitarli con una forma di passaggio fra l'assoluto separatismo di prima e la rigida unificazione succedutagli immediatamente, tanto più che nel consigliarlo alle ragioni storiche si univano le geografiche, perchè l'Italia è lunga quant'è larga da un mare all'altro l'Europa, e la sua estensione stessa rende doppiamente difficile e doppiamente dannosa la centralizzazione.

Ciò malgrado, contemporaneamente, o quasi, alle libertà politiche, si allargarono all'Italia gli ordini amministrativi del Piemonte, mentre, se non era facile soprassedere alla prima cosa, sarebbe stato facilissimo evitar la seconda; tanto più che se l'una era desiderata, non si desiderava punto l'altra, e i più comprendevano che ciò ch'era adatto a un piccolo paese, non si conveniva ad uno tanto più grande. Si tagliò a bocconcelli con divisioni minutissime tutto il territorio; si istituirono i capi-luoghi di mandamento nella maggior parte di Italia ignoti; si regalarono a tutti, stuzzicando le vanità di campanile, autorità e uffici, di cui prima nessuno aveva sentito la necessità; si nominò un nuvolo di nuovi impiegati, mentre tutti trovavano già esuberanti i vecchi e le comunicazioni tanto più facili consentivano di risparmiarne ancora. Infine ponevasi fino da allora il fondamento al sistema, che esagerato poi via via ebbe conseguenze sempre peggiori e contro il quale stiamo travagliandoci e dibattendoci indarno oggi.

Tutti questi impiegati avrebbero dovuto servire almeno a diminuire gli incomodi degli amministrati. Il più curioso e doloroso è invece che ne segui l'opposto. Improvvisati alla rinfusa, senza

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