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titoli di capacità, quasi sempre per far piacere a qualcuno, mal pagati, non avevano la fiducia neppure del governo che li nominava, il quale anzi era ed è il primo a guardarli con diffidenza. Quindi tutti senza poteri e senza responsabilità; un esercito di comparse destinato a guardare e a riferire al governo centrale, cui solo spetta decidere. Di qui dall'uno all'altro, su per una scala più lunga di quella di Giacobbe, il potere che va a raccogliersi nel solo ministro; il quale se non è un autocrata, è bontà sua personale. È maraviglia, se poi, prescindendo da questa, di un potere così sterminato egli usa, più che per far giustizia, per far politica, prendendo a guida, invece che l'utile pubblico, la popolarità e i voti? È natura umana. Come resistere alla tentazione di servirsi di un potere senza confini, per far piacere agli altri e vantaggio a sè? Adoperare l'amministrazione per la politica, farla servire a fini indiretti, tenendo conto di interessi particolari, ma che di frequente appassionano gli uomini assai più che i generali, dei quali invece pochi si curano e che rimangono sacrificati, ecco dove lo conducono naturalmente gli ordini delle cose. Anche di animo delicato e nobile, chè, inutile dirlo, non ne mancano, assediato e premuto da ogni parte, convinto a poco a poco dell'impossibilità di resistere, finisce a darsi per vinto e si lascia trasportare dalla corrente. Di qui i tanti ministri, che alla prova riescono tutt'altra cosa da quello che si sarebbe presunto pel loro carattere; e di qui pure un'altra conseguenza singolare.

Gl'impiegati che accostano il ministro, non dipendendo dai voti, nè avendo nulla a sperare dalla popolarità, talvolta forse anche per una certa contrarietà di amor proprio a influenze, che non dovrebbero esservi, cercano di mettere un freno all'arbitrio rifugiandosi nella legge. Con questa resistenza la burocrazia rese tratto tratto preziosi servigi alla causa della giustizia. Ma ad onta di questo, o appunto per questo, essa può diventare un impedimento, o almeno un riscontro noioso e una seccatura. Perciò il ministro la guarda di solito con sospetto e, a lato degli impiegati in pianta, va formandosene di suoi propri, coll'ufficio di sottrarre le cose importanti, ossia le raccomandate, a chi dovrebbe averne, non solo la competenza, ma la responsabilità. Donde proviene che un gabinetto, il quale fino a non molti anni addietro si componeva di una o di due persone, ne comprenda ora dieci o dodici, con molta speranza di progressivo aumento, e un Ministero si divida. in due ordini di impiegati, quello dei fidi, legati personalmente

al ministro, e quello dei reprobi, o dei trasandati, gli uni destinati a far salti mortali in confronto cogli altri, con tutto lo strascico di malcontento, di querimonie, di svogliatezza e trascuranza sempre maggiore, che ne viene in questi di conseguenza.

Nè ciò basta. Per poca fiducia nei loro dipendenti, o colla buona intenzione di far riparo agli arbitri, o per difendersi in qualche maniera dalle pressioni che li assediano, i ministri si buttano a nominar commissioni. Di queste commissioni non fu ancora compilata una statistica, ed è male poichè ve ne sono di tutti i generi e il loro numero è sterminato e non fa che crescere. Intanto esse sono estranee all'organismo dell'amministrazione e contribuiscono a dissestarla, costano allo Stato un monte di danari, sottraggono agli impiegati le faccende più importanti, e che più servirebbero a occuparli e animarli, indeboliscono ancora in loro il sentimento già tanto debole della responsabilità, non poche volte sostituendo chi non fa a chi dovrebbe fare. Siccome poi queste commissioni si compongono quasi sempre almeno in parte di membri della Camera o del Senato, agli altri benefizi va aggiunto anche questo, che attirano il Parlamento ad ingerirsi nell'amministrazione, facendo una mistura del potere legislativo e dell'esecutivo, e rendendola in certa maniera legale. Ciò malgrado s'è arrivati a nominar commissioni di persone estranee ai Ministeri perfino per le promozioni degli impiegati, con quest'effetto che siccome esse non conoscono gl'impiegati stessi, sui quali devono decidere, sono costrette a riportarsi alle informazioni della amministrazione e quindi a fare soltanto ciò che suggeriscono loro quegli stessi, contro dei quali avrebbero per ufficio di tenersi in guardia e sventar gli abusi.

Ci sarebbero tante altre cose a dire, ma queste bastano per poter domandare, se un ordinamento amministrativo di questo genere corrisponda a un regime di libertà. La libertà esigerebbe un potere diviso, con competenze ben determinate, fondamento a una ben determinata responsabilità individuale, guarentigie legali contro gli abusi. Qui invece abbiamo un potere accentrato, personale del ministro, con tutta la responsabilità in lui solo, che assorbe quella di tutti, e molte volte impossibilità di trovar giustizia; cioè in fine un potere arbitrario, patriarcale, che rappresenta un piccolo Stato a forme assolute, e idee, tradizioni, abitudini di altri tempi, che protraggono la loro vita, mal dissimulate e mal coperte dalle libertà politiche, nel nostro.

IV.

Ma veniamo alla libertà personale, una libertà che per ragioni ovvie deve a tutti star a cuore anche più dell'amministrativa. Premettiamo due osservazioni dirette a determinar meglio il nostro soggetto.

Il punto critico delle costituzioni degli Stati consiste nel modo, in cui contemperano le facoltà del potere governativo coi diritti dei cittadini. Dove il governo raccolga in sè troppe facoltà, vi potrà essere, almeno, per un po' di tempo, unità di intenti e di forze, ma non c'è libertà. Dove invece i diritti appartenenti all'individuo sieno tali, da riuscire di impedimento al governo, vi sarà libertà, ma a spese di quella coesione o di quel nesso civile, ch'è pure indispensabile alla prosperità dello Stato. Di qui la necessità di contemperare equamente le facoltà del governo col rispetto dovuto ai diritti dei cittadini. I governi però, per più secoli di seguito, cercarono di allargare le loro facoltà, perchè il potere somiglia ai danari, che chi più ne ha più ne vorrebbe avere. I popoli invece da cento anni in qua si adoperarono a restringerle; e ciò in due modi; prima di tutto rivendicando a sè una certa ingerenza nella cosa pubblica, ossia coi diritti politici; ma poi adoperandosi a stabilire delle guarentigie contro gli errori e gli abusi di quelle facoltà,` ch'era pure inevitabile di lasciare al governo, se si voleva ch'esso potesse adempiere a' suoi uffici. In questa seconda parte i popoli latini fecero molto meno, troppo meno che nella prima. Anzi, se nella prima trapassarono al di là, in questa seconda rimasero al di qua di quello che una libertà compatibilissima colla conservazione della forza necessaria ai poteri pubblici, avrebbe consigliato.

Parliamo più chiaro e veniamo a noi. Nel nostro paese il bisogno sempre più vivo di tranquillità e sicurezza e tuttavia il numero sempre assai grande di coloro, che compromettono l'una e l'altra, provocano assai di frequente lagnanze contro l'improvvida mitezza delle leggi e l'indulgenza dei magistrati. Ora è senza dubbio indispensabile, che la repressione sia tale per legge che valga, per quanto è possibile, a tutelare la società, e i magistrati la osservino senza inopportune e pericolose compassioni. Così per esempio quella gran lezione che credemmo di poter dare alla Francia, alla Germania, all'Inghilterra, agli Stati Uniti, abolendo la pena di morte, noi che abbiamo sei, sette, otto volte più omicidi di loro, avremmo fatto, a mio modo di vedere, da gente savia

nel risparmiarcela. Similmente è da dire di tante attenuanti, di tante mezze responsabilità, di tante forze irresistibili, di tanti indebolimenti cerebrali, che una volta non c'erano e ora ci sono, e che i giurati abboccano dalla difesa con troppa facilità. Ma non per questo è da andare da un'esagerazione in un'altra. La necessità di punire i malfattori non deve indurre a far buon mercato delle guarentigie dei galantuomini. Non è da riscaldarsi, nè da far confusioni, gridando che chi parla contro gli abusi indebolisce l'autorità. Gli abusi non hanno mai sostenuto l'autorità; essa non vive che di giustizia. Chi non ammette questa massima non ha diritto di parlare di libertà.

Ed ora veniamo ai fatti.

Sono appena due anni, il 28 novembre 1886, un ministro di grazia e giustizia, in una circolare ai Procuratori generali, ai Procuratori del Re e ai giudici istruttori del regno, notificò, e si potrebbe anche dire denunziò ad essi e al paese, che in un solo anno, nel 1885, era stata ordinata ed eseguita la cattura di 51,720 imputati; ma di questi ben 24,185, circa la metà, erano stati catturati << in buona parte senza sufficiente giustificazione. » La cosa parve enorme prima di tutto per sè, poi perchè un ministro non avesse trovato altro modo di rimediarvi che quello di portarla in pubblico, poi anche perchè se ne facesse colpa all'autorità giudiziaria, che invece manifestamente erasi adoperata ad attenuare le conseguenze di quella degli altri. Inoltre dai computi stessi del ministro appariva manifesto, che la cifra era esagerata. Nei famosi 24,185 si comprendevano infatti anche 4009 cui era stata conceduta la libertà provvisoria, una concessione che non può esser fatta se non dai giudici e non significava quindi punto che l'arresto fosse stato arbitrario. Per giunta a ingrossar la cifra entravano 5866, dei quali la cattura era stata revocata per provvisoria scarcerazione, ciò che non significa che l'arresto non avesse avuto le sue ragioni.

Però, levati questi e levati quelli, fatte cioè tutte le debite deduzioni e rettifiche, restavano ancora ben 15,210 individui, quasi il terzo della cifra totale, la cattura dei quali era stata revocata dall'autorità giudiziaria per dichiarazione di non esservi luogo a procedere, o perchè la Camera di Consiglio non l'aveva approvata. Perciò o non esisteva un fatto punibile, o non c'erano a carico dell'imputato bastanti motivi per arrestarlo. In queste condizioni, poichè l'autorità giudiziaria difficilmente revoca ciò che fu Vol. XXIV, Serie III

1 Novembre 1889.

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fatto da lei stessa, 15,210 persone erano state arrestate dalla polizia. Per un paese così stracarico, secondo alcuni, di guarentigie liberali, bisogna convenire che non c'è male. Non c'è male anche perchè si sarebbe dovuto credere, che lo scandalo suscitato dalla circolare, nella quale probabilmente il ministro aveva parlato a suocera, perchè nuora intendesse, a qualche cosa avrebbe dovuto servire. Ma così non avvenne. Appena un anno dopo, l'on. Crispi, ministro dell'interno, credette di dover parlare direttamente ai prefetti e ai colonnelli comandanti i carabinieri, e nella circolare 7 agosto 1887 raccomandò l'osservanza del Codice di procedura penale, ricordando i casi in cui l'arresto può essere eseguito senza mandato dell'autorità giudiziaria, richiamo evidentemente inutile, quando la legge fosse stata osservata.

Una delle prove, e non l'ultima, della nostra scarsa attitudine alla libertà è la poca importanza, che parecchi attribuiscono a queste cose. Quei 15,210, dicono, non saranno stati già fior di roba. Ma prima di tutto chi lo sa? Che ci fossero alcune migliaia di innocenti non c'è dubbio intanto, perchè per alcune migliaia non esisteva il fatto punibile. Come si mette uno in carcere, se non esiste neppure il fatto? Assicuratevi prima che il fatto avvenne, poi penserete a chi possa averlo commesso. Ma poi non si tratta tanto di persone, sebbene anche le persone che patiscono senza motivo c'entrino pure moltissimo, quanto di principii, e dei principii più preziosi e più sacri, conquistati a forza di studio e di battaglie dalla società moderna. Supposto pure, che non si trattasse di fior di roba, ciò che ripetesi sempre non è, torneremo agli arresti in bianco? Ci sembrerà un progresso cacciar dentro alla rinfusa innocenti e rei, salvo a discernerli con tutto il comodo poi? E anche di giunta ci battezzeremo per liberali? Liberali di che? Della libertà altrui? Difendersi dai malfattori! -- Sta bene; difendersi a oltranza, senza pietà, molto più vigorosamente, che non si soglia far oggi; ma senza esser miti coi rei, per poi ricattarsi sugli innocenti, senza far confusioni, senza chiamar difesa gli errori e gli abusi, pensando nel proprio animo: Non cadono sopra di me. Questo piccolo e gretto egoismo non è inspiratore di pubbliche libertà.

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Per me, dico il vero, non so liberarmi da una vecchia fissazione. Io credo verrà giorno, in cui lo Stato sarà tenuto a risarcire i danni dei carcerati innocenti. Non è vicino probabilmente, ma prima o dopo verrà. Si dovranno fare molte distinzioni, si determineranno con prudenza i casi, si richiederà una sentenza

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