Slike stranica
PDF
ePub

parrà forse che non fosse questo il luogo per una trattazione di tale argomento, e non mancherà chi faccia rimprovero al Menghini di non essersi limitato alle notizie diligenti sulla vita e sulle opere del Bracciolini e sulla fortuna letteraria del mito di Psiche; ma noi non ci sentiamo in grado di sentenziare così capitalmente, poichè dall'esposizione mitografica dell'autore abbiamo imparate molte cose che nei libri italiani non si trovano mai; e quando un libro insegna molte cose, è inutile sottilizzare troppo sulla loro opportunità.

Un giudizio di F. De Sanctis smentito da un documento, memoria di F. D'OVIDIO. Napoli, 1889.

Questa memoria del prof. D'Ovidio, letta all'Accademia di scienze morali e politiche della Società Reale di Napoli, ha singolare importanza sotto due rispetti: prima perchè riguarda un giudizio del De Sanctis, spesso e volentieri ripetuto e ora dimostrato erroneo; poi per le considerazioni d'ordine generale, alle quali, traendone l'occasione da un fatto particolare, l'autore si solleva. Il fatto particolare è questo: il De Sanctis affermò una volta che il Monti non comprendeva il Leopardi, e che il felice poeta del primo regno d'Italia non si degnò pur di rispondere all'infelice recanatese, che gli aveva dedicate le sue prime canzoni. Invece il Monti rispose e comprese; rispose con una lettera, che mette conto di riferire, come uno dei più bei documenti di quell'animo nobilissimo. «È già poco meno d'un mese (scriveva il Monti da Milano nel 1819), che da Roma ebbi le vostre belle e veramente italiane canzoni; del caro dono delle quali il nostro Giordani mi avea già dato l'avviso. Io le ho lette e rilette con piacere incredibile: e non so vedervi altro difetto che l'averle voi intitolate a chi meno lo meritava. Lodo il vostro nobile proponimento di non dedicarle a verun potente: ma temo non vi torni a lode egualmente lo averle sacrificate a un meschino quale sono io. Pel vero amore che i vostri talenti m'ispirano io desidero che niuno vi biasimi di questa tanta gentilezza e benevolenza. Ben vi dico che dell'onor fattomi vi ringrazio, e che il core mi gode nel veder sorgere nel nostro parnaso una stella, la quale se manda nel nascere tanta luce, che sarà nella sua maggior ascensione? »

Così il poeta grande e glorioso incoraggiava, con animo raro in ogni tempo, un giovine; e certo lo aveva compreso: dunque l'affermazione del De Sanctis è smentita dai fatti. Ma non per questo, osserva a tal punto il D'Ovidio, si deve gridare la croce addosso al critico e

al suo metodo; non per questo si deve esagerare nello studio della storia letteraria l'importanza del documento scritto, della memoria parlante, indiscutibile. «Non vorrei che si fosse vinto anche troppo, esclama a ragione il D'Ovidio, e vedo che alle estasi oziose degli ammiratori fanatici del De Sanctis, irridenti le oneste fatiche della soda erudizione e della ricerca scrupolosa e cauta, son succedute le boriose pedanterie di certi eruditelli gretti e insipidi, che ogni documento esaltan come prezioso anche se non insegni nulla, ogni cosa inedita s'affrettano a pubblicare solennemente pur quando meriterebbe appena un cenno od uno spoglio, d'ogni affermazione più discreta e ragionevole esigono la prova materiale, e prendendo alla lettera un'espression figurata, che i fatti parlan da sè, non comprendono ch'ei parlano a chi ha orecchie per udirli, ossia acume per intenderli, coordinarli, integrarli con la riflessione e col ragionamento. » Savie parole, e degne che le meditino i nostri giovani eruditi, se non vogliono ridurre l'Italia tutta una accademia pedantesca, nella quale regni sovranamente la sterilità: la critica disgiunta dall'arte, l'indagine del fatto scompagnata dal sentimento del bello non possono produrre se non effetti tristissimi per la coltura letteraria del paese, che avrebbe bisogno d'essere invece rinsanguata e rafforzata.

Della vita e degli scritti di Giuseppe De Spuches principe di Galati per G. CHINIGò. 2a ediz. accresciuta. Messina, Capra, 1889,

[ocr errors]

Giuseppe de Spuches palermitano, vissuto dal 1819 al 1884, fu tra i poeti minori del nostro secolo uno dei più singolari, certo il più notevole datoci dalla Sicilia: studiosissimo degli esemplari classici, felice verseggiatore in lingua latina e anche nella greca, scrisse poesie italiane, nelle quali la naturalezza elegante e la nitidezza dello stile, ch'ei derivò dagli antichi, sono assai bene appropriate ai suoi sentimenti e pensieri di uomo moderno. Tra l'altre sue cose sono più comunemente noti due poemi, il Gualtiero e l'Adele di Borgogna: il primo, una lunga novella in ottava rima, sul gusto di quelle che il romanticismo mise di moda col Grossi e col Sestini, è mescolato di materia fantastica, l'amore di Romilda e Gualtiero, e di materia storica, la rivoluzione siciliana del Vespro, e fu giudicato leggiadrissimo nelle descrizioni e nel racconto e di verseggiatura pieghevole e spigliata; il secondo è un vero poema in diciotto canti di terzine, imaginosa rappresentazione delle lotte italiane nei tempi dei Berengari, splendido in molti tratti per una felice fusione dello stile virgiliano col colorito dantesco. Ma

l'opera alla quale più durevolmente è legato il nome del principe di Galati è la versione poetica delle tragedie d'Euripide, interpretate dallo scrittore palermitano con profondità e dottrina di filologo e genialità di vero poeta; tanto da lasciarsi indietro, a giudizio di buoni critici, la più famosa versione del Bellotti, che ha qua e là un andamento più solenne ma anche ha molto minore efficacia nell'espressione delle profonde passioni e più frequenti inesattezze nell'interpretazione del testo.

Queste ed altre cose intorno all'operosità letteraria di Giuseppe De Spuches ragiona largamente il signor G. Chinigò nel suo discorso, detto già pochi mesi dopo la morte dello scrittore palermitano in una accademia di Sicilia ed ora rimesso in luce non senza miglioramenti: il critico è qualche volta un po' troppo largo di lodi, e si trasforma qua e là in panegirista; ma in complesso dalle sue pagine viene fuori delineata con sufficiente rassomiglianza la figura del Principe di Galati, come uomo e come poeta; e perciò questo discorso si può tenere come la più utile biografia che noi abbiamo d'uno scrittore a torto quasi dimenticato fuor di Sicilia, mentre ebbe meriti letterari che giustificano le lodi dategli largamente dall' Emiliani Giudici, dall'Ambrosoli, dal Carducci, dal Mestica e da altri, non sospetti certo di parzialità regionale. Al discorso commemorativo del signor Chinigò accrescono interesse parecchie appendici, tutte relative al De Spuches: più importante di tutte la prima, dove è data una succinta bibliografia delle opere di lui, nè inconsiderabili le altre, nelle quali sono raccolte e pubblicate poesie e lettere inedite dello scrittore siciliano, non tutte forse egualmente meritevoli di vedere la luce, ma pur sempre utili a conoscersi come manifestazioni intime di quell'animo e di quell' ingegno nobilissimo.

FILOLOGIA CLASSICA.

Frammenti della melica greca da Terpandro a Bacchilide, riveduti, tradotti ed annotati per uso de'Licei e delle Università da L. A. MICHEParte I — Bologna, Ditta N. Zanichelli, 1889.

LANGELI

Il professor Michelangeli, già favorevolmente noto pei suoi dotti lavori su Anacreonte, non che per le traduzioni di Proclo e di due tragedie di Sofocle, si propone con questo libro d'avviare i giovani allo studio della Melica greca; laonde nella prima parte, ora pubblicata, offre un' accurata recensione dei frammenti di Terpandro, d'Alcinane, di Saffo e d'Erinna, accompagnando il testo con una traduzione fedele

e con copiose illustrazioni, che porgono il necessario aiuto ai meno esperti, ed opportune indicazioni pei più provetti. Così, oltre alle dichiarazioni filologiche, storiche, mitologiche ecc., non solo richiama ad ogni passo la bella grammatica dell'Inama e la metrica dello Zambaldi, ma rimanda altresì alle grammatiche del Krüger, del Kühner, del Meyer, del Bergmann, alle opere del Giese, dell'Ahrens e del Meister sui dialetti, a quelle di Rossbach-Westphall, di Schmidt, di Christ sulla metrica, ai trattati di sintassi del Bernhardy e del Madvig, alle storie letterarie del Müller, del Bernhardy, del Bergk, del Sittl, e del Flach. Facendo una revisione critica della lezione del Bergk (da cui in più casi si allontana per tornare alla volgata) egli raccoglie le varianti dei codici e discute i principali emendamenti proposti; in pari tempo ricorda la fonte onde proviene ogni frammento, recando tradotte le parole con cui ci è stato tramandato. Per ultimo v' ha unito un volgarizzamento, in versi barbari, mantenendo lo stesso numero di sillabe che nel testo e procurando di far rispondere gli accenti italiani alle arsi della metrica greca. Sono versioni fatte con singolare amore; ed alcune almeno assai felicemente riuscite, per esempio quelle in strofe saffiche. Non vi era fin qui alcuna antologia della lirica ellenica che potesse adoperarsi nei nostri licei; e d'altra parte quella del Bucholz non era sufficiente per lo studio universitario. Bisogna dunque esser grati al professor Michelangeli che si è accinto all'ardua impresa e confidiamo che potrà condurla a termine, poichè congiunge alla larga erudizione un vivo sentimento dell'arte; qualità ugualmente necessarie per iniziare i giovani a comprendere ed ammirare quei meravigliosi avanzi (come egli giustamente li chiama) della più spontanea ed eletta ispirazione lirica, rivestita della più semplice e venusta forma che sia comparsa al mondo.

Le satire di Aulo Persio Flacco interpretate dal prof. AMADIO RONCHINI. – Parma, Adorni, 1889.

Chi abbia, anche superficialmente, studiato un poco le sei satire del poeta di Volterra, monumenti singolarissimi della letteratura romana nel tempo dell'impero, si sarà certo avveduto della continua divergenza nelle opinioni e nel modo d'intendere dei diversi commentatori che si sono succeduti dopo il Rinascimento, affaticandosi con opera industre a togliere di mezzo le difficolta gravissime offerte a ogni passo dalle satire di Persio. È proprio il caso di ripetere per codesti commentatori il detto di Cicerone, interpres eget interprete, poichè tutti, anche i dottissimi Isacco Casaubon e Ottone Jahn, invece di chiarire l'oscurissimo testo, l'hanno

in più luoghi reso più aspro e forte; nè a toglier le difficoltà valsero meglio i molti traduttori, specialmente italiani, poichè si direbbe quasi che, anche i migliori, e tra essi sovrano Vincenzo Monti, gareggiassero con Persio nell'avvolgere il pensiero in forme astruse e inesplicabili. Le ragioni di questa, diciamo così, insufficienza dell'esegesi moderna, rispetto a un autore vissuto in tempi e luoghi dei quali pur conosciamo così bene la storia anche nei minimi particolari, sarebbero parecchie, né qui c'è bisogno di esporle: basterà osservare che i più degli interpreti non considerarono forse abbastanza il movimento quasi sempre drammatico delle satire del volterrano, per cui certi scorci di pensiero e di frase ricevono un particolar valore dalla relazione in cui sono messi o non messi con altre idee ed espressioni vicine o lontane: di guisa che chi si lasci sfuggire cotali rapporti o non ne abbia pronta la percezione, non riesce ad intendere più oltre delle singole parole, e gli sfugge lo sviluppo logico del componimento.

Movendo, press' a poco, da questo concetto e aiutato da una cognizione profonda della lingua e dello stile satirico latino, il prof. Amadio Ronchini ha tentato una nuova interpretazione di Persio, la quale ci pare destinata a segnare il principio d'un nuovo momento nella storia della varia fortuna del poeta volterrano: poichè è la prima volta ch'esso ha trovato un interprete che non ha bisogno d'interprete, ed è perciò la prima volta che si presenta ai lettori certo di essere inteso. Che l'esegesi del prof. Ronchini sia perfetta in ogni sua parte nè diremo noi, nè altri potrebbe pretenderlo, poichè in questa specie di lavori non si miete mai tanto attentamente che non resti pur sempre qualcosa da spigolare: ma nell'insieme crediamo che vinca e si lasci di gran lunga addietro tutte le precedenti, sia per la più esatta separazione delle parti dialogiche, sia per l'acuta spiegazione dei sensi sospesi o interrotti e delle allusioni e dei repentini mutamenti di tono e di pensiero, sia infine per il largo commentario, nel quale via via si rende ragione grammaticale e filologica d'ogni passo difficile. Specialmente degna di considerazione ci è parsa l'esegesi della prima satira, ribelle sinora ad ogni tentativo di interpretazione, tormento dei commentatori e dei traduttori. Il prof. Ronchini, data una più esatta spiegazione del prologo, dove il poeta dichiara di trovarsi in cammino verso un'adunanza di letterati per leggervi i suoi versi, meritevoli di lode non tanto per i pregi della forma quanto per l'intendimento morale, considera la prima satira come la drammatica rappresentazione di ciò che avviene in quell'adunanza. Persio, introdottosi nell'ampia sala piena di letterati pronti a declamare i loro scritti

« PrethodnaNastavi »