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al popolo ivi raccolto, presenta il suo libretto a un censore o giudice che deve dichiarare se esso sia degno dell'illustre consesso, formato di seguaci d'una poesia corrotta e corruttrice e di uomini nobili disposti poco benevolmente verso l'arte che ha intenti morali ed educativi. Meravigliato, ma non smarrito della disapprovazione di quei gran savi, il poeta pensa e dice come il plauso fosse riservato per lo più ai carmi che fomentavano la corruzione dei costumi e alle declamazioni ampollose e futili (versi 1-43): seguita quindi mostrando più particolarmente quale valore avessero i versi dei nobili (v. 44-62), i giudizi popolari intorno alla poesia (v. 63-82), le prose degli oratori (v. 83-91), e reca in esempio i più ridicoli brani di composizioni poetiche, traendone occasione a deplorare il misero stato in cui erano cadute ai suoi tempi le lettere (v. 92-106). Ma via via che la censura di Persio si fa più efficace ed incalzante, cresce la indignazione di quei patrizi e di quei letterati: e però il poeta si allontana, dichiarandoli un consesso di ignoranti e manifestando quali giudici egli desideri alle sue satire (v. 107-134). Così questa prima satira, dichiarata ed intesa secondo l'esegesi ronchiniana, diventa una specie d'introduzione o di prologo alle altre cinque: la seconda sulle ipocrisie religiose, la terza sulla falsa istruzione dei giovini patrizi romani, la quarta sopra un protettore della plebe pieno di vizi, e le due ultime nelle quali Persio parlando di sè e del suo maestro fa un'ampia professione delle sue dottrine e dei suoi principii. Tutte insieme poi formano un bellissimo quadro delle condizioni morali di Roma nei primi secoli dell'impero, e per tal modo al valore letterario delle satire di Persio si congiunge l'importanza storica, accresciutasi senza dubbio per la più precisa e sicura interpretazione fattane ora dal professor Ronchini.

BIBLIOGRAFIA.

Gli incunaboli della R. Biblioteca universitaria di Bologna, catalogo di A. CARONTI, Compiuto e pubblicato da A. Bacchi della Lega e Lud. Frati.— Bologna, Zanichelli, 1889.

La genesi di questa importante opera bibliografica è briosamente narrata nella prefazione dovuta alla simpatica penna di Olindo Guerrini, che abbandonata la musa che rese famoso Lorenzo Stecchetti si è dato da parecchi anni agli studi eruditi e alla cura dei libri della biblioteca bolognese a lui affidata. Il Guerrini, accennate rapidamente le prime origini della libreria, messa insieme coi libri del naturalista Aldrovandi e del generale Marsili, tratteggia l'opera modesta ed utile del

primo bibliotecario vero

dell' Università bolognese, Andrea Caronti, il quale in lunghi anni di pazienti fatiche rifece il catalogo alfabetico, l'inventario e parte del catalogo a materie della sua biblioteca, e preparò i materiali per una speciale bibliografia delle edizioni del quattrocento: dei quali materiali giovandosi hanno ora, a consiglio del Guerrini, compiuto il lavoro due valorosi ufficiali della biblioteca, Alberto Bacchi della Lega e Ludovico Frati.

Chi conosce il vero stato degli studi bibliografici italiani sa come, non ostante l'incremento di questi ultimi anni, resti da fare ancora moltissimo specialmente per ciò che riguarda la cognizione e l'esatta descrizione degli incunaboli, cioè delle edizioni quattrocentine, che essendo le più vicine all'origine della stampa sono le più rare e preziose e insieme le più meritevoli di studio, perchè sono i documenti della diffusione dell'arte tipografica, la quale appena inventata corse da un capo all'altro della nostra penisola, nuovo e glorioso strumento all'espressione del pensiero del rinascimento. I lavori bibliografici sugli incunaboli italiani sono molti, e sono anche indicati in repertorii speciali, come quelli di E. Faelli e di F. Ferrari: ma pochi sono quelli che compiutamente ed esattamente informino su quella parte di materiale librario di cui si occupano. Di che principalissima ragione è nel fatto che manca ai più dei bibliografi, o mancò per il passato, la cognizione delle molte raccolte d'edizioni quattrocentine possedute dalle librerie pubbliche e private d'Italia: e sino a tanto che queste raccolte non siano state minutamente descritte in particolari cataloghi, sarà impossibile fare la storia piena e sicura dell'arte tipografica italiana nel secolo XV. A tutte le nostre biblioteche auguriamo adunque ufficiali così solerti e intelligenti come il Guerrini e i due compilatori del presente catalogo, i quali compiendo l'opera, di cui il Caronti aveva pur lasciato i primissimi elementi, hanno reso un vero servizio agli studi bibliografici.

In quest'opera sono registrate e descritte 880 edizioni del quattrocento, la maggior parte uscite dalle officine di Bologna, Venezia e Firenze, ma molte anche stampate in altre città e all'estero: gli autori sono di ogni luogo e le opere d'ogni materia, ma prevalgono gli scrittori emiliani e i libri composti in lingua latina, come è naturale che sia in una raccolta appartenente alla biblioteca, che da due secoli è legata allo studio bolognese. Specialmente degli umanisti che vissero e insegnarono a Bologna nel quattrocento sono molte opere ed edizioni, di alcuni anzi la serie quasi intera: per esempio, di Filippo Beroaldi seniore, gran

latinista e maestro, troviamo registrate opere che invano si cercherebbero in altre biblioteche, libercoletti come l'orazione sulla felicità che servi di prolusione a un corso sulle Georgiche di Virgilio, e libroni come le Orationes et poemata, che è la raccolta più ricca degli scritti dell'erudito bolognese; così di Francesco Filelfo, di Giovanni Pico, di E. S. Piccolomini, di Bartolomeo Platina, di Leonardo Bruni e di molti altri. Della ricchezza di questa collezione può dare un'idea il fatto che vi si trovano undici diverse edizioni delle prediche del leccese Roberto Caracciolo, ciascuna delle quali è di per sè una preziosità bibliografica. Abbiamo dunque ragione di credere che i cultori di questi studi si uniranno a noi nel far plauso agli egregi autori di quest'opera e alla casa editrice Zanichelli, la quale senza risparmio di spese e pur troppo con poca speranza di materiali compensi ne ha assunta la pubblicazione, degna d'essere premiata assai più utilmente che col semplice consenso degli studiosi di bibliografia.

STORIA.

Storia critica della Rivoluzione francese, di Licurgo CapPELLETTI, Vol. III. - Foligno, 1889, Stab. tip. Pietro Sgariglia.

Il terzo ed ultimo volume di quest'opera va dalla morte di Luigi XVI alla fine della Convenzione; narra quindi l'A. in XXII capitoli le guerre esterne e le guerre civili, le contese delle fazioni, il governo del Terrore, e poi dei Termidoriani, le sollevazioni popolari, e tutte in somma le vicende di quel memorabile periodo, dove in meno di tre anni (dal 21 gennaio 1793 al 26 ottobre 1795) può dirsi racchiusa la materia di molti secoli di storia. Ne soltanto espone i fatti politici e militari, ma da notizia delle leggi, delle istituzioni, dei costumi, delle opinioni variamente dominanti; e dei principali uomini tesse rapidamente la biografia in modo da render ragione dell' indole e della condotta di ciascuno. Le opere che cita più spesso sono le storie generali del Martin, del Blanc, del Thiers, del Mignet, del Michelet, del Papi, del Sybel ecc.; ed inoltre molti lavori speciali come quelli del Campardon, dell' Hamel, del Lamartine, del Granier de Cassagnac, del Chateleauze, del Mortimer-Ternaux, del Filon, senza dire delle memorie e dei documenti contemporanei. Discute sia nel testo, sia nelle note le diverse opinioni; ed aggiunge ancora, ove occorre, in fine a qualche capitolo più lunghe note critiche, sulle sollevazioni del 31 maggio e del 2 giugno 1793, sul Terrore, sui supposti articoli segreti del trattato della Jaunaye. Il giudizio che dà

della Rivoluzione è quello stesso esposto dalla Stael, nelle sue celebri. Considérations, le quali furono il primo manifesto dell'opinione liberale su quel fatto storico e rimangono tuttavia sostanzialmente conformi al vero, sebbene non penetrino nella sostanza delle cose colla profondità del Tocque ville o coll'originalità del Taine. Il racconto procede sempre spedito, lim-pido, ben distribuito e ben proporzionato nelle varie parti; è tramezzato ma non sopraccarico di sobrie riflessioni e di particolari opportunamente scelti; sicchè la lettura ne riesce molto piacevole. In un'opera di sì lunga lena non si può far carico all'autore di qualche inesattezza di parola o di nome, nè di qualche altra tenue imperfezione; molto meno poi sarebbe giusto lamentare che non siasi giovato d'alcuni lavori ancorchè importanti, come son quelli del Rousset e del Chuquet sulle cose guerresche, la Vie de Merlin del Reynaud, i Papiers del Barthelemy editi dal Kaulek e la Paix de Bâle del Sorel per le diplomatiche. Bisogna piuttosto notare la diligenza con cui ha saputo raccogliere e sfruttare tanta copia di libri e d'informazioni, per desumerne, con retto criterio, una narrazione, scritta in italiano, della rivoluzione francese. Un indicealfabetico ed una tavola delle opere citate avrebbero accresciuto comodo e valore alla presente edizione.

Storia della Repubblica partenopea, di GIOVAN GOFFREDO PAHL, trad. da BENEDETTO MARESCA. Trani, tip. dell' Ed. V. Vecchi e C., 1889.

Questa storia fu pubblicata nel 1801 a Francoforte sul Meno sotto il nome di Geschichte der parthenopeischen Republik. L'autore era un curato del Wurtemberg, che dette alla luce ben 53 volumi, oltre ad un centinaio di articoli, e che, colla sua penna feconda, mirava a destare il sentimento nazionale germanico in odio all'invasione delle dottrine e delle armi francesi. Tenendo dietro agli avvenimenti del suo tempo, che raccoglieva in un periodico intitolato Nationalcronik der Teusschen, non si lasciò sfuggire il drammatico episodio dei casi di Napoli: e ne compilò la narrazione giovandosi principalmente del Coup d'oeil rapide sur· les opérations de la campagne de Naples del Bonnamy, degli Euröpaischen Annalen del Posselt, non che di altre informazioni e di documenti comparsi su giornali. Non ha conosciuto 1 Rapporto del Lomonaco al cittadino Carnot, nè ha potuto vedere le opere del Cuoco e della Williams uscite in quel medesimo anno 1801. Ma non ostante la scarsità delle fonti, pone molto studio nella ricerca del vero, e, tuttochè professi opinioni conservatrici, fa prova d'una certa imparzialità nei giudizi. Così non tace che un'amnistia generale sarebbe stata, a suo avviso, l

miglior modo di por termine alla guerra civile e di spengere l'ardore degli animi infiammati: attribuisce per altro il contrario partito prevalso, ai consiglieri del buon Re Ferdinando; e, dopo aver detto che tutti gli onesti, devoti alla dinastia, lamentavano in segreto che si sostenesse la buona causa coi mezzi propri dell'usurpazione e della tirannide, aggiunge che il Re stesso e la Regina soffrivano in modo indicibile alla vista del sangue sparso e della miseria onde erano colpiti molti innocenti, senza però potere impedire i provvedimenti reputati indispensabili dai loro ministri.

L'importanza di questo lavoro sta non tanto nelle notizie, quanto negli apprezzamenti; poichè, come giustamente osserva il dotto traduttore, è esso stesso un documento sincrono ed una fra le prime manifestazioni della opinione media del partito monarchico europeo, circa i fatti napoletani. Quindi bisogna render grazie al solerte marchese Maresca, già benemerito degli studi storici per tante preziose pubblicazioni, d'aver preso cura di tradurre e di dar fuori la presente narrazione, come aveva fatto l'anno scorso stampando la memoria di Amedeo Ricciardi che fu la prima storia e la prima espressione del sentimento dei patriotti, intorno a quei medesimi avvenimenti. Accresce pregio al volume una sobria avvertenza dell'editore che contiene opportuni ragguagli sulla vita e le opere di Giovan Goffredo Pahl, tratti dalle sue Memorie postume.

Nouvelles lettres inédites de C. Cavour par AMÉDÉE BERT, recueillies et publiées avec notes historiques. Turin, Roux, 1889.

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Questo nuovo epistolario del grande ministro piemontese si compone di circa mezzo migliaio di lettere scritte fra l'anno 1836 e il 1861: dal tempo, cioè, in cui, coi viaggi nella Svizzera, Francia e Inghilterra, cominciò a formarsi la mente del Cavour, all'anno per l'Italia funesto, della sua morte. Queste lettere sono indirizzate all'amico Emilio De la Rüe. Le due famiglie De la Rüe e Cavour, benchè di condizione diversa, essendo la prima una famiglia di banchieri, mentre i Cavour appartenevano all'alta aristocrazia del Piemonte, aveano stretto grande dimestichezza fin dal tempo dell'entrata della madre di Camillo, la contessa Sellon, in casa Cavour. I De la Rüe erano ginevrini come la Sellon, ed avevano, fino dal passato secolo, aperto una casa bancaria in Genova. Ivi il giovane Cavour li imparò a conoscere nel 1830, quando vestiva ancora la divisa di ufficiale del genio, e contrasse amicizia con Emilio suo coetaneo.

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