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speciale, ma un innocente, che per errore o per abuso patisce il carcere, ha diritto di essere indennizzato. E come no? Lo Stato si sente in dovere di risarcire il cittadino, cui fece pagare oltre la misura di legge la ricchezza mobile, o al quale occupò nel fare una strada dieci metri di terra in più, che non si sia stimato, e se per errore o per abuso, lo priva della libertà, lo divide dalla sua famiglia, gli fa perdere i redditi della sua professione, o del suo mestiere, o l'avviamento del suo negozio, mette nell'indigenza i suoi figli, espone il suo nome al pubblico disprezzo, compromette il suo onore, la sua pace, la sua salute, quando poi riconosce di essersi ingannato, non ha neppur l'obbligo di dirgli: Scusate! Errori inevitabili! - Certamente. Ma prima di tutto pensate a non farne tanti, adoperando il più tremendo di tutti i poteri con quella saviezza e quella prudenza, ch'è la prima delle qualità in chi governa; poi degli errori vostri non fate pagare anche le spese materiali a chi non ne ha colpa e ne ha più che abbastanza di dover patire le conseguenze morali.

Ma lasciando l'avvenire e tornando al presente, i fatti sopraccennati non possono accadere se non dove un complesso di idee, di ordinamenti e di abitudini concorre a farli nascere. Come le piante non allignano se non in terreno confacente alla loro natura, così certi fenomeni sociali non si manifestano, se non in quanto si colleghino a tanti altri congeneri e corrispondano in certa maniera all'indole d'un paese. Senza di questo, dato che per qualche causa eccezionale potessero avvenire una volta, tornerebbero a sparir da sè. È quindi necessario di vedere come trovino le ragioni della loro vitalità nelle istituzioni e nel modo di vedere che li circondano.

Cominciamo, che l'Italia ha la fortuna particolare di possedere tre polizie, dove a tutte le altre nazioni pare abbastanza di averne due, una municipale e un'altra, e non più, dello Stato. A Londra, ch'è Londra, si accontentan di una. Questa nostra abbondanza rende difficile il contemperare i servizi, dividendo in pari tempo le responsabilità, e l'impedire quella vanità di predominio e quella gara di zelo, che mettono capo, senza che a volte si possa dir come, a un abuso. Perchè, certamente se uno viene arrestato arbitrariamente, si sa da chi, ma non si sa chi abbia sparso, o raccolto, o finto di raccogliere dopo avere sparso, le voci che diedero origine all'arresto. La voce è infatti per legge la guida, a non dire la giustificazione, di ogni cosa che si intra

prenda. Essa parte quasi sempre da un volgo, che in un paese serio dovrebb'essere più istruito, che ascoltato; è quella che fabbricò gli untori, meno lontani da noi che non si creda, e fabbrica ancora oggi i Crocifissi che voltan gli occhi, le Madonne che parlano, le acque che raddrizzano gli storpi, i medici che in tempo di cholera spacciano colle boccette misteriose gli ammalati poveri per liberarne i ricchi, le vecchie streghe abbattute più volte a colpi di bastone perfino in popolose città, gli Ebrei che scannano i bambini, il mal occhio dei guerci e gli spaventosi iettatori. Ma ciò che è peggio, la voce porta su le invidie di classe, gli odi personali, le malevolenze contro chi sia creduto star meglio, e in ciò, al tempo nostro è il pericolo dell' elevarla per legge a guida di un potere nelle cui mani sta la libertà civile. Da essa infatti si trova messo al coperto nella sua azione, sentendosi in certa maniera esonerato dall'obbligo, non già di trasandarla, poichè molte volte ha un valore, ma di vagliarla, ciò che permetterebbe di prevalersene dov'è ragionevole evitandone i danni dov'è fallace. Ma c'è assai di più.

Il 13 novembre 1859, l'ultimo giorno dei pieni poteri e il più disgraziato fra quanti si levò il sole sopra l'Italia, entro un fascio di leggi di ogni genere, ne venne al mondo una anche sulla pubblica sicurezza. Questa legge, che per il complesso delle sue disposizioni e un certo colore, che la tingeva tutta, pareva preludere allo stato di assedio, conteneva fra l'altre anche questa: - Ogni persona dell'uno e dell'altro sesso, che prestasse l'opera sua per mercede, qualunque fosse la sua arte o mestiere, e sotto qualsivoglia titolo servisse o lavorasse nelle case dei privati, nelle manifatture, nelle botteghe o nei pubblici stabilimenti, doveva essere provveduta di un libretto, che le veniva consegnato dalla questura. (Art. 28). I muniti di libretto (e notisi quanti erano) non potevano intraprendere alcun viaggio, senza farvi apporre il visto dell'autorità di pubblica sicurezza, alla quale dovevano presentarsi entro 24 ore abbandonando il padrone, ed entro 3 giorni dopo aver trovato un padrone nuovo (Art. 31 e 32). Su questo libretto il padrone, da cui il servo o l'operaio veniva licenziato, o si licenziava, doveva inscrivere i diportamenti del licenziato. E fino a qui meno male, per quanto tutto ciò implicasse una vigilanza oppressiva e odiosa. Il curioso è che lo stesso padrone aveva il diritto di inscrivere nel libretto anche i crediti, che avesse avuto verso il servo o l'operaio, coll'effetto che il padrone nuovo

era obbligato a trattenergli il salario. « Accadendo, dice l'art. 36, che l'operaio o la persona di servizio risulti debitore verso i padroni precedenti, quegli che lo accetta al suo servizio, sarà tenuto di fare una ritenzione del quinto sul prodotto del lavoro, o sul salario, fino all'estinzione del debito, e di farne inoltre avvisati i creditori e di conservare il danaro ritenuto a loro disposizione. >> Parrebbe che bastasse; ma nonsignori; c'è anche una piccola appendice. «I padroni, seguita la legge, che ommettessero di fare simili ritenzioni, saranno tenuti in proprio verso i padroni precedenti, salva loro la ragione di rimborso verso la persona di servizio, o l'operaio. »

Ecco dunque una legge di pubblica sicurezza, che manda a rifascio, come se nulla fosse, tutti i principii di diritto civile. Lasciamo di considerare, che il caso di un padrone, che abbia crediti verso i servi e gli operai non è il più comune, mentre invece non è infrequente quello che abbia dei debiti, e per questo caso non è data al servo e all'operaio nessuna reciprocità verso il padrone. Il più curioso è che questo padrone si crea da sè stesso e da sè solo un documento, che fa piena prova del suo credito, e un documento tale, che trova, senza intervento di giudici, una esecuzione parata presso di un terzo, il quale terzo, senza nessun fatto suo proprio, diventa responsabile per il servitore che assume ed è obbligato a farsi sequestrante, depositario e amministratore dei suoi salari fino alla concorrenza della somma necessaria a pagare i suoi debiti. In altri termini un diritto personale si trasforma in un diritto reale che segue dovunque il servitore, il quale è come se portasse sulla schiena un'iscrizione ipotecaria, tanto che chi lo prende al suo servizio, lo prende diminuito di valore, come se fosse un campo, o una casa gravata da ipoteca. Se poi questi non ci abbada, o non se ne cura, pagherà del suo. Vedasi che qualità di idee giuridiche, appena da medio-evo, si andassero a ripescare e si propagassero in Italia proprio al momento in cui si pubblicava lo Statuto!

Alla legge del 13 novembre 1859 fu sostituita quella del 20 marzo 1865 tuttora in vigore, dalla quale questa disposizione disparve. Ve ne furono però conservate altre dello stesso valore, per esempio quella degli articoli 98 e 102. Se uno dall'autorità di pubblica sicurezza è indicato al giudice di mandamento come persona solita a mantener bestiame, che notoriamente non può mantenere, il giudice deve chiamarlo davanti a sè e ingiungergli di ridurne il numero dei capi nella misura che gli pare, assegnandogli

il termine entro il quale dovrà farlo. « Quando poi la persona ammonita, seguita la legge, non abbia nel termine stabilito nell'ordinanza di ammonizione, ridotto il bestiame come le fu ordinato, il giudice procederà immediatamente al sequestro del bestiame eccedente e farà quindi procedere alla vendita del medesimo all'asta pubblica. » Scusate se è poco! Sopra un sospetto della polizia, senza che sia stato commesso un reato, poichè in questo caso il processo sarebbe tutt' altro, un giudice, soltanto perchè gli è parso di ordinare, che il bestiame di un tale debba esser tanto e non più, gli entra in casa, gli porta via questo di più e lo fa vendere all'asta pubblica! I governi paterni di buona memoria non fecero mai altrettanto. Ma perchè fermarsi su questa china? Perchè restringere quest' inquisizione a chi mantiene bestiame? Perchè non estenderla al mercante, che tenendo una botteguccia di sapone, di spago e di candele, passa tutte le sere all'osteria, o all'impiegato che con tre o quattro lire al giorno manda sua moglie vestita di seta? Perchè non prescrivergli il numero e la qualità degli abiti, che dovranno usare egli e la sua famiglia e, in caso di disobbedienza, non entrargli in casa e rimetterlo sulla buona via, vendendogli all'asta i vestiti di sopra. vanzo? Trattasi di principii giuridici, di principii che per mezzo della legge devono formare la coscienza delle popolazioni. Se il principio è buono, perchè fermarsi così a metà, in luogo di allargarlo ai casi simili? Non sarebbe tanto maggiore il beneficio sociale, quanto più fosse estesa la sua applicazione?

Alcuni avvertono, che leggi strampalate e arbitrarie ne ha di molte anche l'Inghilterra. Verissimo; ma sono del mille e trecento, mille e quattrocento, mille e cinquecento, e non del 1865. Altri considerano, che la legge non viene osservata. Sta bene. Ma giova far leggi, che la stessa autorità giudiziaria, custode della legalità, debba per il minor male, astenersi dall'osservare? Quale peggior esempio di quello che viene da lei di non obbedir la legge?

Ma un'altra disposizione, osservata invece anche troppo, è quella che riguarda l'ammonizione. Sopra informazioni segrete ricevute dalla questura, o dai carabinieri, il pretore cita uno a comparire dinanzi a sè, e gli dice, che egli è in sospetto di essere un ozioso, o un vagabondo, o un omicida, o un ladro, o un ricattatore, o un manutengolo o altro simile (articolo 70, 11, 105 e 106). L'incolpato non trova modo di difendersi, poichè la difesa è tanto più difficile, quanto più l'accusa è indeterminata, e non si addu

cono nè testimonianze, nè altre prove. Perciò quasi sempre, quando uno è stato chiamato, viene anche dal pretore, che non va in cerca d'impicci colla pubblica sicurezza e coi carabinieri, ammonito. L'ammonizione poi è una pena tutt'altro che lieve. Essa porta con sè l'obbligo di risiedere in un dato luogo fissato dal giudice, di aver sempre indosso la carta di permanenza, di non allontanarsi senza avvertirne la pubblica sicurezza e senza un foglietto di via, di presentarsi all'autorità nei giorni indicati in questo foglio, di non comparire in un dato luogo, di non uscire in determinate ore dalla propria abitazione, di non portare armi o bastoni, di non frequentare determinate persone ed altre simili norme, dice la legge (articolo 80); ossia ad arbitrio di Sua Eccellenza, direbbe la grida. Inoltre l'aminonizione è un marchio e costituisce un indizio di reità per qualunque imputazione successiva. Mi appellerò, dice l'incolpato, che si sente venire addosso questa bagattella. Non signore, non v'è appello, risponde il pretore, lei è ammonito, io so il perchè, ho dentro di me le mie ragioni, e non è da parlarne più.

Ora, che in molti paesi, e pur troppo in provincie intiere d'Italia, l'abitudine di dar sfogo all'odio, all'invidia, e a tutti i sentimenti malevoli sia causa di un numero straordinario di delitti, non si potrebbe negare. Si può anche ammettere, che a farvi riparo non bastassero i mezzi soliti. Ma in tutti gli Stati più colti, in Francia, in Austria, in Germania, in Inghilterra, se una provincia sofferse di mali eccezionali, si cercò di provvedere con una legge speciale e passeggera a quella e non si mise sotto disposizioni arbitrarie durevoli tutta la nazione. Non si offende infatti impunemente la coscienza giuridica di tutto un popolo; perchè o questa coscienza si avvede, e s'irrita e si ribella, con detrimento del rispetto dovuto alle leggi e all'autorità, o subisce indifferente e si abitua, e rimane sviata da quel sentimento del giusto, che è la conquista più preziosa della civiltà e la guarentigia meno incerta dell'ordine e della pace sociale.

Dopo un'esperienza di 23 anni, nei quali non si risparmiarono le critiche più severe e i più acerbi biasimi, si sarebbe dovuto sperare che un'istituzione di questo genere, riprovevole in sè e fomite di gravi e provati abusi, sparisse dalle nostre leggi. Pur troppo invece essa ricompare nella legge del 23 dicembre 1888, che andrà in vigore il primo del prossimo gennaio. Ricompare certamente per alcuni rispetti attenuata; ma alcune guarantigie, che

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