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IL NUOVO MUSEO NAZIONALE DELLE ANTICHITÀ

IN ROMA

Con Decreto del 7 febbraio di questo anno il Ministro Boselli ha instituito in Roma un Museo Nazionale per le Antichità, diviso in due sezioni, ciascuna con sede propria; l'una nelle Terme di Diocleziano per le antichità urbane, l'altra nella villa di Papa Giulio III sulla Flaminia per i monumenti extra urbani.

La promulgazione di tale decreto sarà apparsa non solamente opportuna, ma necessaria a chiunque abbia seguito l'azione del Governo relativamente alle antichità in Italia e specialmente in Roma dopo il 1870.

Per parecchi anni, dal 1871 al 1875, in Roma non si fece altro che scavare: scavi al foro romano, all'arco di Tito, all'anfiteatro Flavio, alle terme di Caracalla; scavi alla Villa Adriana, al Palatino, scavi ad Ostia. Di cotesti scavi eseguiti dentro e fuori la cerchia urbana a spese dello Stato, al Governo sarebbe spettata la pubblicazione: ma dei monumenti che con gli scavi veniva ricuperando gl'incombea ad ogni modo l'obbligo della conservazione. Ma esso non possedeva un periodico archeologico in cui rendere conto delle scoperte e per fondarlo gli mancava quel nucleo di persone competenti, necessario, indispensabile sempre per dar vita a qualsivoglia pubblicazione periodica. Non solo, ma il Governo non avea in Roma neppure un Museo in cui raccogliere e custodire gli oggetti prodotti in luce dagli scavi od acquistati dai privati.

Il Bonghi quando nel 1875 fu Ministro della Pubblica Istruzione conobbe subito questi difetti e lacune dell'amministrazione archeologica in Roma e vi provvide con prontezza ed efficacia, instituendo

nel Ministero stesso la Direzione Generale delle Antichità. Costituita di parecchie persone tecniche, versate ciascuna in uno speciale ramo di archeologia, la Direzione formava per sè stessa, come appunto il Bonghi la voleva, un nucleo di archeologi, i quali, con l'aggregazione di altri cultori dei medesimi studi nella penisola, potevano dar vita ad una pubblicazione archeologica periodica. A capo della Direzione era stato inoltre chiamato un uomo dal quale l'Italia avea ricevuto luminose prove di capacità amministrativa e saggi non dubbi di una mente in alto grado organizzatrice.

Senza trascurare gli scavi ed i classici avanzi di Roma, anzi dando ad essi un impulso più vigoroso ed ordinato, la Direzione Generale rivolse il suo pensiero anche alle regioni italiane celebri per secolari scoperte e ad altre in cui nuovo e potente erasi ridestato il sentimento e l'amore per gli antichi monumenti. In tutte queste regioni avvenivano spesso rinvenimenti dovuti siano al caso, siano all'iniziativa dei Comuni, ed alla speculazione dei privati. Gli oggetti migravano per lo più all'estero, o ricettavansi nei magazzini degli antiquarî, sottraendosi in questo modo alla vigilanza e perfino alla conoscenza del Governo. Erano mali che il Conestabile avea già lamentato in un articolo inserito l'anno 1874 in questa medesima Rivista.

Ovviare a questi sperperi del patrimonio archeologico della nazione fu il primo pensiero della Direzione Generale. Nominando nei principali centri archeologici uno o più Ispettori con l'incarico di sorvegliare sugli scavi e riferire sui trovamenti, venne assicurata anzitutto la statistica più esatta dei monumenti che uscivano in luce e nello stesso tempo una estesa corrispondenza archeologica. Senza ambire al titolo di archeologi di professione gli ispettori possedevano, per maggior parte, una larga conoscenza dei monumenti locali ed una sufficiente cultura per intenderli e descriverli. Nel caso di scoperte nuove e clamorose la Direzione spediva persone di maggior competenza con l'incarico di riferire più in extenso, ed all'uopo ordinava piante, rilievi e disegni dei monumenti più interessanti. I rapporti degl'Ispettori, le relazioni degli archeologi venivano mese per mese regolarmente notificate. e pubblicate nelle Memorie dell'Accademia dei Lincei.

Cosi sorsero le Notizie, le quali, accolte da principio con aspet tazione poco benevola, conquistarono in seguito sempre più il favore dei dotti. Tutti indistintamente i cultori di studi archeologici che sono in Italia vi hanno più o meno assiduamente collaborato, sia, spontaneamente, sia per invito della Direzione, pubblicando rapporti e memorie quali più e quali meno estese. Tutte le scoperte archeologiche, siano di grande o di piccola entità avvenute dalle

Alpi alla Sicilia in questi ultimi quattordici anni, trovansi nelle Notizie registrate o descritte o commentate od illustrate.

Quella pubblicazione che uscita nel 1876 con appena duecento pagine, dopo soli due anni già duplicava, poi triplicava ed in seguito quadruplicava il volume, è la più ampia, fedele ed esatta espressione del movimento archeologico in Italia in questi quasi tre lustri, movimento costante, progressivo, via via crescente e che affida a bene sperare dell'ingegno italiano anche in questo ramo di studi.

Questo risveglio generale nell'amore e nello studio delle antichità fu in parte conseguenza necessaria di quel bisogno di ope. rare proprio delle giovani nazioni, ma, in parte maggiore, effetto dello impulso straordinario dato dalla Direzione Generale agli scavi, alle scoperte ed alla fondazione, da essa così efficacemente promossa, di Musei nazionali provinciali e comunali.

Imperciocchè non bastava scoprire e descrivere i monumenti, occorreva tutelarli e conservarli nei centri della regione in cui erano apparsi e quali documenti di storia locale. Di qui la necessità di vasti Musei con vetrine ampie in cui disporre gli oggetti secondo l'indirizzo odierno degli studi, il quale impone di tenere riunita tutta la suppellettile raccolta nelle singole tombe e con l'ordine stesso con cui venne estratta dalla necropoli. Senonchè non tutti i Comuni erano in grado di provvedere Musei, il cui allestimento, acquisto di materiale, e personale di custodia richiedeva spese considerevoli. Perciò il Governo ha saggiamente operato largendo sussidi ad alcuni piccoli comuni, iniziando con altri più doviziosi le pratiche per l'impianto dei Musei a tutela del patrimonio archeologico scavato nella propria regione. Risultato di questo provvido lavorio amministrativo furono la fondazione e l'incremento dei Musei di Este, di Bologna, di Firenze, di Concordia, di Chiusi, di Orvieto, di Viterbo, di Reggio di Calabria, di Taranto, di Termini Imerese, di Siracusa, di Cagliari e di Sassari.

Ma ciò che si era fatto nelle provincie a più forte ragione urgeva compiere nella capitale, in cui più che altrove era lamentata la mancanza di un grande Museo nazionale. Fin dal 1875 il Bonghi, allora ministro, aveva cercato d'impiantare uno anzi più musei nazionali, in Roma. Con decreto 29 luglio di quell'anno avea dichiarato nazionale il Museo Kircheriano da pochi anni tolto ai Gesuiti, ed istituiti i Musei preistorico, italico, epigrafico, tutti nazionali e tutti collocati nei corridoi annessi all'antica raccolta Kircheriana. Con febbrile attività, che in lui è seconda natura, e spinto dal desiderio di dare all'archeologia italiana un indirizzo non soltanto amministrativo, ma anche scientifico, il

Bonghi avea inoltre fondato la scuola archeologica italiana e fatto raccogliere un grande materiale per una Galleria di gessi delle opere dell'arte antica.

Delle due ultime istituzioni ritornerò a parlare nel corso e sulla fine dell'articolo.

Per ciò che riguarda i Musei, l'idea del Bonghi, eccellente in sè, presentava difficoltà insormontabili all'attuazione. Le celle dei Gesuiti strette e basse, quantunque convertite mediante arcate in lunga galleria, si prestavano male per un Museo, Anche prese tutte 'insieme e concatenate fra loro apparivano meschine e senza sfogo. I Musei debbonsi creare non solo per il presente, ma anche e specialmente per l'avvenire: perciò vogliono essere suscettibili di ampliamento e di aggiunte. Il Kircheriano vi si rifiutava. Aggiungasi l'oscurità invincibile dei corridoi intermedii. In quel tempo io era in Roma e mi ricordo dei tentativi fatti per incastrare in quei corridoi le iscrizioni di Ostia e quelle urbane degli Statilii allora acquistate. Non si potevano leggere: perciò si dovette rinunziare all'idea della raccolta epigrafica.

Egual sorte era serbata al Museo italico. Dovea essere una mostra dei monumenti caratteristici delle varie regioni d'Italia, Valle del Po, Etruria, Umbria, Lazio, Campania, Sannio, Piceno, Sicilia, Sardegna; vi doveano essere rappresentate tutte le classi di monumenti, sepolcri, sarcofagi, pitture murali, dipinti vasculari, statue in bronzo, in marmo, in tufo, piccoli bronzi, ori, iscrizioni, templi, mura, nuraghi, ecc. A quei monumenti che non si sarebbero potuti ottenere in originale avrebbero supplito i modelli, le pitture, i gessi, i disegni. Ma frattanto si avrebbe avuto la storia monumentale di tutta l'Italia antica dalle Alpi alla Sicilia, dall'età più remota fino all'impero romano. Idea bella, ma essa pure non realizzabile. Donde si sarebbero avuti i monumenti originali che doveano costituire il nucleo principale? Si sarebbero ricercati con gli scavi da eseguirsi nelle varie località, oppure si sarebbero tolti ai Musei che li possedevano? La prima via era lunga e mal sicura, la seconda impraticabile.

Le raccolte comunali e provinciali non avrebbero mai accon sentito ad uno spoglio, fosse pure parziale, dei proprii monumenti per arricchire il Museo della capitale. E neppure le governative. Se n'era già avuta la prova nel 1875 quando una testa colossale di Tito rinvenuta in Roma negli scavi per la costruzione del Ministero delle Finanze, era stata inviata al Museo di Napoli per accoppiarla con altra di Vespasiano pure colossale e proveniente siinilmente da Roma. In compenso si erano avute da quel Museo alcune iscrizioni dei fratelli Arvali che ne completavano altre di

Roma ed anch'esse governative. Si trattava dunque, come si vede, di un semplice scambio di oggetti di proprietà governativa e fra Istituti nazionali. Ciò nondimeno dapprima il giornalismo di Roma, poscia quello di Napoli ed alla fine amendue in coro gridarono alla spogliazione, agli arbitrii, ecc.

Questi fatti doveano persuadere il Governo della poca convenienza di formare un museo romano con i monumenti sporadici tolti a questa od a quella raccolta provinciale o comunale od anche governativa.

Riconosciuta l'impossibilità di effettuare il progetto dei Musei epigrafico ed italico nel Collegio Romano, il Governo pose ogni cura affinchè le antichità che già possedeva e quelle che mano mano si sarebbero avute dagli scavi, fossero almeno efficacemente tutelate. A questo fine utilizzò tutte le località di cui poteva disporre. Quegli oggetti che più attiravano l'attenzione del pubblico e dei dotti furono esposti in quelle stanze del Museo Kircheriano meno disadatte a Museo: gli altri che non si potevano meglio custodire vennero rinchiusi in magazzino.

Ma si comprende che tale provvedimento era o dovea essere soltanto provvisorio, tanto più che gli scavi venivano sempre più aumentando il numero dei monumenti governativi. Ricordo fra questi le statue di Vestali rinvenute presso l'atrio di Vesta al foro romano: gl'importanti trovamenti avvenuti pochi anni prima delle pitture e degli stucchi che ornavano le pareti di un'antica casa patrizia del primo secolo dell'impero sulla riva del Tevere presso gli orti della Farnesina e che felicemente distaccate nell'estate 1879 erano poi state collocate in due stanze dell'orto botanico. Pochi anni dopo, a breve distanza da quella casa, eransi trovate due statue in marmo maggiori del vero, una maschile e l'altra femminile, un busto marmoreo femminile, tre urne scolpite, monumenti tutti che ornavano il sepolcro di Sulpicio Platorino. Nuove statue si erano avute da altri scavi praticati nel suolo urbano e fuori di Roma: due colossali in bronzo rinvenute nel gettar le fondamenta del nuovo teatro drammatico nazionale; una statua di Dioniso in marmo uscita dalla Villa Adriana di Tivoli, una statua in marmo di Ermafrodito trovata negli scavi per il teatro Costanzi, ed acquistata dal Governo, nonchè una serie numerosa di sculture minori, di busti, di cippi, d'iscrizioni.

Tutti questi monumenti statuari, alcuni dei quali veramente insigni, di cui in pochi anni il Governo era entrato in possesso, imponevano all'amministrazione l'obbligo, a cui ora più non poteva sottrarsi, di creare un Museo in cui essi fossero degnamente col

Vol. XXIV, Serie III 1 Dicembre 1889.

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