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Ben diversamente l'amico suo Guido. Egli era uscito da famiglia di nobiltà consolare, ma commerciante e ricchissima, e che le ricchezze raccolte avea messe in possedimenti di città e di campagna, occupando in quella con palagi case e botteghe la miglior parte del centro di Firenze, e sulle colline di Valdipesa e Valdelsa incastellandosi con feudale grandigia. Ben inteso, che anche i Cavalcanti ebbero più tardi la loro apoteosi genealogica, e relativa patente di nobiltà germanica, e parentado con la contessa Gualdrada, una cui figliuola avrebbe recato nei Cavalcanti « per dota <«< il castello di Montecalvi di Valdipesa, colle possessioni e colla giu<< risdizione degli uomini, » ecc. (1). Ma cosiffatti nobilitamenti germanici e feudali della vecchia cittadinanza e mercatura fiorentina non hanno documenti più autentici che i rumorosi esametri d'Ugolino Verino De illustratione urbis Florentiae. Certo è che nella costituzione del Comune artigiano, e conseguente sceveramento di Grandi da Popolo, la famiglia donde uscì Guido era rimasta coi Grandi: e fra quelli de' quali il duca d'Atene si fece ignobil corona, non mancarono i Cavalcanti. Tenevano parte guelfa, ed erano sottostati a tutti i rovesci di questa, compreso quello che parve dover portare la distruzione della parte medesima e della città, cioè la disfatta di Montaperti nel 1260, dopo la quale anche i Cavalcanti avevano esulato a Lucca. Rintegrate le sorti dei Guelfi col trionfo degli Angioini sugli Svevi, nel 66, rinsediate nella patria e nello stato quelle famiglie fuggiasche, a tutti i tentativi che in quello scorcio di secolo furono fatti per la pacificazione di Guelfi e Ghibellini, i Cavalcanti furono, dalla loro condizione d'una di tali famiglie delle più doviziose e potenți, condotti a partecipare, sia nei trattati e giuramenti e malleverie per siffatte paci, sia nei parentadi che a cementarle si solevano contrarre: in uno de' quali Guido, ancor fanciullo, andò fidanzato alla Bice figlioletta del magnanimo Farinata, e a suo tempo la condusse veramente in moglie, e n'ebbe figliuoli. Anche messer Cavalcante, padre di lui, ebbe moglie ghibellina; se, come pare, la madre del poeta fu dei nobilissimi conti Guidi o, come senz'altro li chiamava in Firenze il popolo, dei conti. Il che, del resto, era nella cittadinanza fiorentina, per la detta ragione di quei tentativi di pace, assai frequente ad accadere.

Men comune, certamente, era che tra quei fieri e opranti par

(1) Notizia di Guido Cavalcanti poeta; a pag. 177 delle Operette istoriche di ANTONIO MANETTI raccolte da G. MILANESI; Firenze, Le Monnier, 1887.

tigiani, in una vita a quel modo turbolenta e malsicura, si annidasse e discendesse per li rami la filosofia: ma egli è indubitato, che così appunto fu di messer Cavalcante e di Guido. Diremo dunque, che forse gli ozi, oggi di proscritto, domani di magnate in città democratica, fossero che indussero messer Cavalcante a filosofare: e forse il dispetto per quelli ordini di democrazia guelfa, che della propria devozione alla Chiesa faceva arma di stato, e la Curia queste devozioni politiche il meglio ch'ella sapesse sfruttava; il corruccio verso questo guelfismo al quale l'antica famiglia mercatantesca rimaneva fedele, ma contro cui si ribellavano i suoi nuovi umori magnatizi; questi ed altri cosiffatti sentimenti dovettero esser cagione, che cotesti gentiluomini filosofanti fossero filosofi poco, o almeno non quanto chiedeva il tempo, ortodossi. Alla filosofia di quelle « scuole de' religiosi », alle quali Dante, pel suo addottrinamento, come al proprio luogo da ciò, si rivolse; (1) a quella filosofia, che le verità cercate razionalmente voleva suggellate con l'autorità della rivelazione; essi preferirono i liberi procedimenti del puro aristotelismo interpretato dagli Arabi, il « gran Comento » d'Averroe (2) alla Somma dell'Aquinate. E ciò era più che sufficiente per guadagnarsi fra il popolo la paurosa nomea di « epicureo paterino »; con la quale infatti i chiosatori trecentisti, fedeli al linguaggio d'allora, e con esso esatti riproducitori dell'intenzione di Dante, caratterizzano il padre di Guido nel canto X dell'Inferno. (3)

Ma più vivace imagine di tale filosofante ci hanno in Guido stesso, salito per le Rime a tanto maggior fama che il padre, tramandata, quasi l'uno a gara dell'altro, i contemporanei o quelli che de'contemporanei raccoglievano oralmente la tradizione. Anche come « epicureo paterino » Guido è per essi troppo maggior cosa che messer Cavalcante: e tale superiorità un commentatore del Poema (4) curiosamente la formula press' a poco così, « il padre eretico per ignoranza, il figliuolo per iscienza. >

<< Uno giovane gentile, cortese e ardito, ma sdegnoso e solitario, «<e intento allo studio»: così lo ritrae Dino, (5) suo compagno di

(1) Convito, II, XIII.

(2) Inf., iv, 144.

(3) Vedi il Commento dell'Ottimo I, 172-73: e cfr. quello recentissimo, ma condotto criticamente sulle antiche autentiche testimonianze, di TOMMASO CASINI; Firenze, Sansoni, 1889; 1, 64.

(4) BENVENUTO DA IMOLA (ed. VERNON-LACAITA), I, 343: « errorem, quem < pater habebat ex ignorantia, ipse conabatur defendere per scientiam. » (5) II, xx.

Parte Bianca, e con lui seduto in alcuno de'magistrati dove Grandi e popolari potevano insieme sedere. «Era, come filosafo, uomo ver<<tudioso in molte cose: se non ch'era troppo tenero e stizoso »; scrive Giovanni Villani, (1) registrandone la morte con queste altre parole, che erano le riserbate ai lutti più sentiti dalla cittadinanza: << di lui fu gran dannaggio. » E Filippo Villani, dandogli luogo tra i Fiorentini illustri, e ricordata l'intrinsichezza sua con Dante: (2) « fu <<< delle liberali arti peritissimo; uomo ricercatore e speculativo, e di << non ispregevole autorità nella filosofia naturale, se alla opinione << del padre seguace d'Epicuro non avesse alcun poco acconsentito: << costumato, del resto, e grave, e d'ogni lode e onoranza degno. > E prima di lui, in termini assai somiglianti, il Boccaccio: «uomo << costumatissimo e d'alto ingegno, » (costumato, intendevano, in cosiffatte etopeie, adorno di belli e signorili costumi) « buon loico <<< ed ottimo filosofo naturale. » Così nel Commento all' Inferno. (3) E nel Decamerone: (4) « un de' migliori loici che avesse il mondo, <<< e ottimo filosofo naturale; leggiadrissimo e costumato e parlante << uomo molto... ». E poi, traendolo il novelliere in iscena, allorchè « alcuna volta speculando, molto astratto dagli uomini diveniva,» noi lo vediamo (quale anche il Sacchetti lo rappresenta, (5) giocare a scacchi meditabondo, e intanto un ragazzaccio gli conficca, senza ch'e'se ne accorga, la guarnacca alla panca) lo vediamo, come figura d'uom vivo, uscire dalle sue case e corti d'Orto San Michele, e giù per lo Corso degli Adimari, tutto solo, schivando le rumorose brigate, venirsene di consueto infino a San Giovanni; e colà trattenersi volentieri tra le sepolture del vecchio cimitero, dove riposano il padre suo e Farinata ghibellino che ha salvata la patria a'Guelfi; e sogguardarlo la gente volgare, che dice cercar egli, là fra quelle testimonianze del nulla umano, « se provar si potesse che Dio non fosse, e se l'anima insieme col corpo finisca; ed egli, de'volgari non curandosi, ai gentiluomini che di questo suo straniarsi dietro a' propri pensieri il motteggiano, rispondere con parole di arguto disprezzo; e scavalcando una delle arche, piantarli colà tra i morti, essi men vivi che i morti: Amleto fiorentino, a cui il mistero del

(1) VIII, XLI.

(2) Vite d'uomini illustri fiorentini; Firenze, 1826; pag. 61. Traduco dall'originale latino. Il volgarizzamento antico ha qualche omissione.

(3) Lezione XL.

(4) VII, IX.

(5) Novelle, LXVIII.

l' << essere o non essere» si affaccia pauroso, non fra le nebbie grigie ed immote del settentrione e della barbarie, ma alla luce del più bel sole d'Italia e de'tempi nuovi, quando tutto intorno a lui è un risvegliarsi di cose morte che ricercan la vita, negli ordini del pensiero e dell'azione, nella parola de'volghi e ne'concepimenti dell'arte, negli intelletti e ne'cuori. La « filosofia naturale » lo attira ed avvolge nelle sue spire scolastiche, alienandolo così dalla confortatrice metafisica del mondo spiritale ed eterno, come dagli operosi contrasti della vita civile, dalla quale, egli magnate, accetta, anzi si compiace, d'esser respinto. Tutto il suo contrario è Dante: «filosofo teologo, » egli si solleva alle visioni dello spirito, del di sopra, del di là; come uomo poi, volenteroso assumitore della democrazia statuale, scrive il proprio nome su' ruoli delle Arti e de' magistrati popolari, pur conservando il sentimento della propria altezza anche gentilizia; e, popolana la sua città, vuole egli essere, ed è, cittadino di questa.

IV.

A siffatto tenor di vita di Guido, a questo suo contegno, fra i cittadini, di gentiluomo filosofo, schivo e sdegnoso; a' suoi dispregi e violenze di magnate; a' suoi odii e rancori di famiglia e personali; si hanno testimonianze di contemporanei preziose: se ne hanno dal suo Canzoniere medesimo. Nel quale (1) le rime amorose per la Giovanna o Primavera, quelle per la tolosana Mandetta, e se per altre, hanno quasi sempre mescolato, alla malinconica gentilezza del dolce stil nuovo (2), qualche « spiritello » (per

(1) Adopero e seguo l'edizione fattane da P. ERCOLE nel suo pregevolissimo Studio storico-letterario Guido Cavalcanti e le sue Rime, che ho già avuto occasione di citare.

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ripigliare il linguaggio di cotesti poeti) più vivace o più lamentoso o più acre, o qualche fantasia che tien quasi del tragico (1); e l'amore vi è quasi sempre sconfortato, e «sbigottito », e quasi

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