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menti che nelle Indie la crudele divisione degli uomini in caste è accetta anche a coloro che più ne patiscono, grazie alla generale credenza nella metempsicosi.

Pertanto i governi della Penisola non avevano da temere una rivoluzione spontanea e popolare, simile a quella di Francia: su ciò sono concordi le testimonianze molteplici di uomini d'ogni opinione, e i fatti successi stanno a confermarle. I riformatori e i novatori appartenevano quasi esclusivamente alla nobiltà, alle professioni liberali ed anche al clero; e poco o punto seguito avevano tra la gente di più umile stato. I loro voti, ispirati dalla filosofia umanitaria del secolo XVIII, si accesero d'insolito ardore, dinanzi allo spettacolo degli avvenimenti di Versaglia e di Parigi; ma agognando di modellarsi alla lor volta sugli esempi francesi, e pascendosi intanto degli ampollosi discorsi che di contrabbando passavano le Alpi, non però si formavano un determinato concetto del fine da conseguire o dei partiti da prendere.

II

La natura della guerra, prima latente e poi dichiarata, tra l'Europa e la Rivoluzione faceva si che, non solo nei due campi avversi, ma anche in ciascuno di essi, stessero a fronte e s'intrecciassero forze contrarie; nell'uno il sentimento conservatore e le cupidigie conquistatrici, incitate o tenute in freno dalle reciproche gelosie; nell'altro, il pensiero cosmopolitico del settecento, e l'amor patrio francese, ridestatosi e infervoratosi di vaste ambizioni; erano due principi opposti e discordi, quello universale e questo nazionale, quello ideale e questo positivo, accoppiati sotto il nome medesimo di rivoluzione; donde nacquero, e si protrassero fino ai di nostri, nelle menti degli uomini e nell'ordine dei fatti infinite dispute e inestricate confusioni. Per giunta poi in servizio di questo e di quello, or a vicenda or contemporaneamente, venivano adoperate tanto le vecchie arti diplomatiche quanto la novella propaganda giacobina.

A dir vero gli uffici del ministero francese degli affari esteri, per quanto disordinati e decimati dalle Assemblee politiche, s'industriavano, per opera dei commessi superstiti, a mantenere le forme tradizionali nelle relazioni cogli altri stati. Laonde le istru

zioni da quelli emanate e sottoscritte dai ministri, raccommandavano ai rappresentanti della Francia di astenersi da ogni proselitismo, e professavano massime di pace, d'ordine e di moderazione, rinnegando ed abbandonando alla vendetta delle leggi gl'individui, che, in paesi stranieri, promovessero resistenza alle autorità riconosciute. (1)

Ma le belle parole non bastavano contro l'eloquenza dei fatti, nè le forme diplomatiche celavano la sostanza delle cose. Fin dal novembre del 90 (in occasione dell'annessione d'Avignone) gli oratori della Costituente avevano contrapposto all'antico diritto regio un nuovo diritto nazionale, pur cercando di conciliarlo colla rinunzia solennemente fatta ad acquisti di dominii. La Francia, rappresentante della rivoluzione, doveva accogliere tutti i popoli che. rivendicatisi in libertà, si davano a lei, come già l'Assemblea, il 19 giugno di quell'anno, aveva riconosciuto per suoi quei cittadini d'ogni terra, europea ed anche asiatica, che il tedesco Anacarsi Clootz, oratore del genere umano, aveva menati al suo cospetto (2). Rotta poi la guerra coll'Impero e colla Prussia, gli animi s'esaltarono viemaggiormente in quelle idee e la propaganda apparve utile strumento di difesa e d'offesa. Non si trattava più d'aspettare l'invito degli oppressi; il 27 di novembre del 1792, votandosi l'unione della Savoia alla Repubblica, il Presidente della Convenzione, additava, la Libertà assisa sul Monte Bianco, donde questa sovrana del mondo, facendo la chiama delle nazioni rinasciture, stenderà le mani trionfali su tutto l'Universo. Ed aggiungeva poi, ricevendo una deputazione d'Inglesi e d'Irlandesi : << La monarchia è in Europa distrutta o agonizzante sui ruderi feudali; la dichiarazione dei diritti, posta accanto ai troni, è un fuoco divoratore che sta per consumarli. » Il celebre decreto emanato otto giorni innanzi, col quale si prometteva aiuto e fratellanza a tutti i popoli contro tutti i re, fu la sintesi d'una serie d'atti e di provvedimenti intesi a diffondere le nuove massime in ogni stato, e non meno tra i neutri che tra i guerreggianti. (3)

(1) Archivio degli affari esteri di Francia. Fonds de Naples. T. 121, 122, 123. Istruzioni di Dumouriez a Mackau, maggio e giugno 1792. — Istruzioni di Lebrun a Maret 18 giugno 1793.

(2) A. SOREL. L'Europe et la rev. Deux. partie I. III. 77 e seg. (3) F. MASSON. Le département des affaires étrangères pend. la rev., VII,

273 e seg.

Del rimanente, le pure e disinteressate dottrine, figliuole legittime della filosofia di quel secolo, erano state soltanto un' apparizione fuggevole, all'alba della rivoluzione. Spostato il principio della sovranità, riformati gli ordini sociali, mutato il linguaggio e i costumi politici, rimasero pur sempre le stesse le passioni nazionali, cioè la sete di dominio, l'umor battagliero, lo spirito avventuroso e cavalleresco, salvo chè crebbero d'intensità, per la più viva e più larga fiamma d'amor patrio che divampò nei cuori ed anche per l'impulso che vi dette il fanatismo della fede repubblicana. I giacobini francesi procedevano insomma di pari passo coi monarchi europei; dacchè gli uni e gli altri, propugnando la causa propria, riputavano giusto di ricavarne un qualche utile. (1) Tanto i primi emissarii, quanto gli agenti segreti istituiti dal Robespierre nel settembre del 93 (allorchè la Repubblica non aveva quasi più altre relazioni che coi Cantoni svizzeri e cogli Stati Uniti d'America) volsero le principali loro mire sull'Italia, proponendo di conquistarla e di sfruttarla, ossia, per usare le parole del Sorel, di mettre en coupe reglée les richesses de ce pays. (2) Vi fu in quel tempo quasi una gara generale d'ideare disegni per la liberazione d'Italia; ne venivano da consoli, come l'Hénin, da rappresentanti diplomatici come il Sémonville, il Cacault e il Caillard, da semplici cittadini come il Borde, ed anche da anonimi corrispondenti; in ciascuno s' indicava la miglior via da seguire e i non gravi ostacoli da superare, si vantavano i vantaggi politici e i guadagni materiali dell'impresa; nè per lo più si teneva alcun conto dei popoli da emancipare: uno fra gli altri, trovasi imaginato nell'aprile del 94 dal giovane general Bonaparte, che due anni appresso doveva con tanta sua gloria effettuarlo e che era allora protetto dai Robespierre. (3)

(1) V. l'Art. I governi d'It. e la riv. fr. inN. Antologia 1o dicembre. (2) A. SOREL. Op. cit., loc. cit. e quattro articoli in Revue des deur mondes 15 luglio, 1 e 15 agosto 1884, e 15 agosto 1889, che sono capitoli anticipatamente pubblicati, del suo 3o vol.

(3) Archivio della guerra di Francia « Armée du Midi », in SYBEL, op. cit. I, iv, 56. e 670.- Archivio degli affari esteri di Francia, Fonds de Naples, T. 123, n. 198 e 201, e T. 124, n. 33. Corresp. de Nap. I (ed imp.) I, 33 e seg. n. 24, 27 e 28.

III.

Non si possono conoscere tutti coloro che con veste officiale o senza, per amor di lucro o per zelo democratico, si mescolarono nelle cose nostre; ma da quel che si sa è lecito asserire che in ogni moto della Penisola deve ritrovarsi, palese od occulta, la mano della Francia. Naturalmente nelle provincie ad essa più prossime, tanto per la situazione geografica, quanto per le istituzioni sociali e politiche, la somiglianza dei bisogni suscitava somiglianza di desiderii. Però gli abitanti della Savoia, i quali probabilmente non si sarebbero mai ribellati, di moto proprio, ai loro antichissimi signori, si affratellarono nel settembre del 92 cogl'invasori che parlavano la loro medesima lingua e promettevano loro i benefizi dell'uguaglianza e della libertà.

Non diversa propensione dimostrò, ma in minor grado, la cittadinanza nizzarda; mentre l'aristocrazia, in quelle e nelle altre provincie, si serbò quasi tutta fedele alla casa sabauda, e il De Maistre per non prestare giuramento alla Repubblica, si lasciò confiscare le proprietà dai Francesi. Animate dal culto dell'onore che (come affermava il La Bruyère sotto Luigi XIV) tien luogo d'amor patrio negli stati retti a monarchie assolute, le famiglie gentilizie erano assuefatte a prodigare il sangue e gli averi ad ogni chiamata del sovrano. Pur troppo anche fra loro s'era infiltrata la corruttela, che era il tarlo dell'amministrazione piemontese; e ne fa gravi e autorevoli lagnanze il Costa de Beauregard, nel suo bel libro Un homme d'autrefois; ma esso pur offre uno splendido, e non unico, esempio delle virtù cavalleresche di cui dette prova la nobiltà, in quel temporaneo tramonto della fortuna subalpina. Disgraziatamente essa non possedeva l'intelligente pieghevolezza e la generosità civile del patriziato britannico; emula infelice, nella favella e nei costumi, della nobiltà francese, era, al pari di quella, invisa alla borghesia, la quale in Piemonte, forse più che in ogni altra regione d'Italia, veniva su ricca e gagliarda, e pretendeva aver parte nello stato. Il Gherardini, ministro cesareo, freddo e sagace osservatore, narra molteplici fatti che sin dal 90 davano indizio d'un sordo fermento: dispute e duelli per le cose di Francia, torbidi nell' Università di Torino, tumulti nelle campagne e leghe di villaggi contro il pagamento delle decime e dei

pesi feudali; poi libelli anonimi, affissi incendiarii, società segrete. Tanto era, a suo giudizio, l'odio contro l'aristocrazia, da rendere accetta perfino l'anarchia francese. Il che è tutto dire; perchè i Piemontesi non avevano simpatia pei loro vicini d'Oltralpe, e nemmeno coi Savoiardi non erano mai vissuti in grandissimo accordo. (1) Ma quella sentenza non era vera se non rispetto ad uno scarso manipolo di congiurati, gli uni ammiratori dei Girondini, e gli altri dei Terroristi, i quali nel 93 e 94 accomunarono i loro sforzi, per volontà del Tilly, console di Francia a Genova, a cui allora facevano capo tutti i novatori italiani; erano medici, negozianti, proprietari, alcuni nobili, ed anche preti e frati; e macchinavano di aprire il varco ai Francesi e di dar loro in mano la cittadella e l'arsenale di Torino; scoperti (e non senza la delazione d'uno dei loro capi) nello stesso anno 94, furono giudicati da un'apposita delegazione; due giovani incontrarono coraggiosamente l'estremo supplizio; altri ebbero altre pene; altri (fra i quali lo storico Carlo Botta) andarono assolti per difetto di prove; parecchi erano scampati colla fuga. Ufficiali senza soldati, costoro non facevano assegnamento se non sulla venuta dei fratelli d'Oltralpe; dacchè in Piemonte la brama d'abbattere i privilegi feudali, per quanto più diffusa e meglio determinata che altrove, non bastava a cancellare dagli animi il sentimento d'indipendenza avvalorato dalla tradizionale fedeltà alla Casa di Savoia. (2)

Ed una conferma ne dette il popolo appunto in quel tempo, dopo la perdita di Savoia e di Nizza; poichè se non rispose alla chiamata del Principe col glorioso fervore del 1706, dimostrò tuttavia un buon volere, lodato persino dallo stesso rappresentante imperiale (3), ed oppose per quattro anni al nemico una valorosa resistenza che, a quanto si disse, meglio regolata e condotta, avrebbe potuto fare indietreggiare l'istesso Bonaparte.

Anno 1790; GheAnno 1791: Id. a id., 12

(1) Archivio di Stato di Vienna. Berichte aus Turin, rardini a Kaunitz, 26 maggio, 4, 10 e 12 giugno febbraio, 7 marzo e 2 giugno. Humbourg a Kaunitz, 11, 18, 24 giugno, 2, 8, 16 e 22 luglio - Anno 1792: Id. a id., 28 e 31 marzo. Kaunitz, 4 e 11 aprile; ed a Cobenzl, 10 ottobre e 19 dicembre Id. a Thugut, 17 aprile, 4 luglio e 25 settembre.

Gherardini a

Anno 1793:

(2) Carte dell'archivio di Torino e di archivi privati in BIANCHI, St.

della mon. piem. II, xiv, 238 e seg.

(3) Gherardini a Cobenzl, 17 ottobre e 14 novembre 1792.

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