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«È una povera creatura degna di miglior sorte, conchiudeva zio Leone ogni volta che leggeva una di quelle lettere e impostava un fascio di gazzette. »

Ah! sì. Bisognava avvertire Anna; essa in questa estrema congiuntura non troverebbe sicuramente nulla di pratico per allontanare il padre di suo figlio da un'altra donna: ma chi sa mai? per difendere la propria creatura non le parrebbe repugnante svelare il basso intrigo alla rivale. La maestrina aveva pur fatto così con lei, e si doveva sentire nel proprio diritto. Non v'era tempo da perdere, e zio Leone poche ore dopo era a Cornigliano.

Il tempo era tanto misurato da far temere che non si arrivasse a nulla; ma ci è il telegrafo anche a Cornigliano, e il nome di Dolores baronessa Espronceda non gli si era mai staccato dall'orecchio dopo averlo sentito una volta allo stabilimento in ogni modo tempo da buttare non ce n'era davvero, e Don Chisciottino, nell'appressarsi alla casetta nascosta nei pini, accomodò in mente un preamboletto che preparasse le donne alla gran notizia, la quale, passando per Agatona, avrebbe dovuto aver miglior fortuna. Cosi pensò o credette di pensare Don Chisciottino, ma forse gli mancava il coraggio di dare la prima botta a quella buona e disgraziata creatura.

Fortunatamente anche il preambolo era inutile, perchè Anna sapeva tutto; era stata informata dai giornali che Don Chisciottino non aveva nemmeno letto.

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Da quando? domandò zio Leone attonito ad Agata.

Da due settimane; Anna aveva pianto della prima pubblicazione, ne aveva pianto molto, tutta una notte da sola; poi aveva fatto leggere quei due nomi appaiati alla mamma per piangere insieme ancora un poco; poi, asciugate le lagrime, avevano voluto non pensarci più; ma Agatona ci pensava sempre e aveva una gran paura che Anna non sapesse levarselo dal capo... Cioè, no; credeva che proprio a lui, non pensasse più, ma bensì al padre di quella povera creatura abbandonata.

Agatona così dicendo metteva in faccia a Don Chisciottino un par d'occhi suggestivi; ma zio Leone non tradi il suo pensiero, seppur n'ebbe uno.

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- Dov'è Anna?

Eccola.

- Zio Leone! Zio Leone! gridò da lontano la ragazza appena

l'ebbe visto; rimase un pochino incerta se dovesse nascondersi, o presentarsi così, com'era, un po' discinta.

Vieni qua, ordinò amorevolmente lo zio, e Anna venne a lui, con la faccia arrossata, ma senza lagrime.

Non si parlò di Guglielmo per tutt'un'ora; ma zio Leone era sulle spine finchè non avesse interrogato il pensiero della digraziata. Agatona quel giorno aveva tante cosuccie a fare e non poteva tener compagnia a suo cognato.

Scusami, sai bene, devo pensare io a tutto, diceva ogni tanto

nel passare; vedo che voi discorrete...

Invece zio Leone e Anna non discorrevano affatto; egli interrogava brevemente, essa più brevemente rispondeva, poi tacevano molto.

A un tratto Don Chisciottino annunziò a bassa voce:

- Il matrimonio si compirà domani o doman l'altro; se ci è qualche cosa a fare, bisogna farlo subito sono venuto per questo. Anna girò verso di lui gli occhi buoni, interrogando.

tempo.

Non vuoi far nulla?

Che cosa potrei fare?

Difendere la tua creatura e te stessa; forse sei ancora in

Anna pensò un poco prima di rispondere, e la sua risposta fu ancora un'interrogazione:

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- Che ci guadagnerebbe mio figlio, che ci guadagnerò io?

E questa volta Don Chisciottino trovò una parola di risposta: nulla...; e subito ne trovò altre due che gli sfuggirono di bocca come se non egli ma il suo destino le avesse pronunciate.,. « ma allora...»

Si arresto. Nel gran silenzio che seguì, il destino continuò a dire all'orecchio di Don Chisciottino: « ma allora la proposta che tu hai fatto non va a male; se Guglielmo sposa la baronessa in municipio, addio speranze che egli possa dare il nome a suo figlio; e allora... se ti sei proposto per marito una volta, non potresti, a questo punto, rifiutarti di far davvero e allora... e allora non ti hai a mettere in capo che sia lei la prima a offrirsi; tocca a te rinnovare l'offerta, a costo d'un altro rifiuto. >>

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Don Chisciottino guardò di nascosto Anna, e gli piacque la

faccetta patita ma bella sempre, il corpicino non più snello come prima, ma elegante ancora, e si sentì incoraggiato a far l'eroe.

- Senti, Anna, disse con parola grave; se questo matrimonio cambia le tue idee, tu lo sai, io sarò sempre il compagno tuo, il padre della tua creatura.

Oh! lo so che tu sei tanto buono; balbettò Anna.

Dunque...

Anna alzò gli occhi pieni di lagrime e di pietà. - Vorrei dire di no, vorrei non essere egoista... - Dunque... si... Oh! gioia!...

Ah! Sì, una gioia indiavolata!

E da questo momento zio Leone si affannò a darne la dimostrazione. Egli era un po' maturo, è vero, ma se non aveva mai pensato a pigliar moglie, forse, anzi sicuramente, era stato perchè il suo destino lo legava ad Anna. Questo poteva ancora essere la verità: ma zio Leone, appena avviato nella via dei conforti da dare a quella tradita, trovò qualche bella e buona bugia, e non si fece scrupolo di farla servire di puntello al caso suo pietoso. Egli già aveva sempre sentito qualche cosa d'insolito ogni volta che si accostava alla nipotina; ora vedeva bene che cosa era stato; l'aveva sempre amata, di nascosto, senza nemmeno dirlo a se stesso - ecco.

Anna alzava gli occhi pietosi e sorrideva appena.

Non dica così, zio Leone.

<< Non dire così » correggeva Don Chisciottino; e lo zio lasciamolo stare; qui non ci sono più zii e nipoti, ci è Leone soltanto per amar Anna. Ma perchè dubiti delle mie parole? tu non credi quanto ti ho amato, perchè non immagini neppure quanto ti amerò.

Oh! questo si; almeno egli si era proposto d'innamorarsi davvero, e senza perdere tempo, e tanto da perderne la testa, da procacciarsi almeno quello stordimento che è la salute degli eroi del suo genere.

Agatona ebbe un po' di requie per assaporare la sua parte di consolazioni; quando Don Chisciottino si provò a chiamarla mamma essa rise e s'inteneri tutt'insieme, e continuò per un poco a piangere ridendo.

Zio Leone, dopo un simile sfogo di parole, di lagrime, di bugie

ebbe un gran bisogno di tornare a Milano, perchè aveva lasciato molte cose in tronco, e ora ce n'erano altre da avviare.

- Così presto! Sei arrivato appena !

Sì, ma si era fatto molto, e moltissimo rimaneva a fare, perchè, se credeva al proprio sentimento, era meglio far presto la cosa. Non era il parere di Anna?

No, veramente Anna preferiva lasciar passare almeno una settimana... perchè?... non sapeva nemmeno lei; perchè zio Leone avesse ancora tempo a riflettere... Dubitare che zio Leone si potesse pentire, che orrore!... E poi... per un'altra cosa... e che cosa? Zio Leone non insistette troppo a farsela spiegare avendola subito intesa. Anna voleva essere ben sicura che Guglielmo fosse divenuto lo sposo della baronessa Espronceda, prima di acconsentire a dare un altro padre alle sua creatura.

-Non parta oggi, rimanga con noi.

- Rimani, corresse Don Chisciottino; ebbene, sì, rimango.

Ma fu una fatica da bue fare il desinare e passare la serata a quattr'occhi con la fidanzata, scavando sempre il medesimo solco bugiardo nel vuoto. Non vedeva l'ora d'andare a letto per essere solo a pensare al proprio eroismo. Tutta notte il lume della sua candela disegnò sull'erba nera la sua vetrata, e quando volle affacciarsi alla finestra vide sull'aiuola del giardino un'altra vetrata immobile. Forse Anna pure non aveva sonno.

Fra le cose che rimanevano a fare ce n'era una difficile sopra ogni altra: piantare Lucietta, piantarla in bel modo, con maniere amabili, con un bel paio di bugie che le toccassero il cuore senza farle male. Questo sì, posto che Lucietta non si staccava da lui, come egli aveva sperato, questo sì era omai inevitabile.

Nel gran silenzio di quella notte buia Leone pensò a una a una le frasi fatali, poi le scrisse; le cancellò, ne pensò altre, e le scrisse ancora. In ultimo venne nella determinazione di dire la cosa nuda nuda e spiegare il caso suo fatale; ridesse Lucietta, tanto meglio; egli si sentiva forte nel sagrifizio di rinunziare alla donna che aveva amato quanto... quanto?... tanto. Del resto Lucietta non sarebbe abbandonata del tutto; egli le serberebbe sempre un po' d'affetto casto, e le verrebbe sempre in aiuto come per lui fosse possibile. E scrivendo queste ultime parole la sua mano incideva forte le parole, perchè quella era proprio la verità.

Al primo lucore dell'alba, Don Chisciottino spense il lume, e, entrato in letto come un eroe stanco morto, ebbe la fortuna di pigliar sonno.

(La fine al prossimo fascicolo).

S. FARINA.

LA POLITICA MONETARIA ITALIANA

E LA CRISI DI TORINO

La crisi bancaria di Torino non fu che un episodio malinconico e particolare della storia del mercato monetario italiano dall'abolizione del corso forzoso in poi: fu lo scoppio acuto, violento, di uno stato generale di depressione che da parecchi anni perdura nelle condizioni del credito italiano. Il fenomeno locale deve quindi essere studiato in relazione al malessere generale dell'organismo economico e monetario del paese. La presente crisi avrà almeno giovato a richiamare la pubblica attenzione sugli errori finora commessi e sulle conseguenze loro, nella speranza che si adotti alfine un indirizzo economico e monetario che ci conduca verso quella prosperità vera e reale da cui ci allontaniamo ogni giorno più.

Già sul finire del 1887 il direttore del Tesoro, commendatore Cantoni, nella sua memoria (XXI) presentata alla Commissione permanente per l'abolizione del corso forzoso, avvertiva che le cagioni della depressione delle nostre condizioni monetarie sono di due specie: le une di carattere transitorio, le altre di carattere permanente. È da questa affermazione che ci conviene prendere le mosse come quella che è ad un tempo esatta ed autorevole.

Chi esamini le condizioni del nostro paese in questi ultimi anni non tarderà a persuadersi che la depressione pressochè permanente, di cui esso soffre, si è manifestata sotto tutti i tre aspetti: della produzione, della finanza e del credito. Queste diverse forme, se non di crisi, di depressione economica, sono intimamente colle

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