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Vedi oggimai, quant'esser dee quel tutto,
Ch'a così fatta parte si confaccia
S'ei fu sì bel com'egli è ora brutto,
E contra 'l suo fattore alzd le ciglia,
Ben de'da lui procedere ogni lutto.
O quanto parve a me gran meraviglia
11 Quando vidi tre facce alla sua testa! Αναθ
L' una dinanzi, e quella era vermiglia:
L'altre eran due che s'aggiungen a questaບກ່ອນ
Sovr' essol mezzo dì ciascuna spalla,
E si giungèno al luogo della cresta:
E la destra parea tra bianca e gialla:
La sinistra a vedere era tal, quali
Vengon di là ove'l Nilo s'avvalla.
Sotto ciascuna uscivan due grand' ali,
Quanto si conveniva a tant' uccello;
Vele di mar non vid' io mai cotali:
Non avean penne, ma di vispistrello
Era lor modo; e quelle svolazzava
Sì, che tre venti si movean da ello.
Quindi Cocito tutto s' aggelava.

Con sei occhi piangeva, e per tre menti
Gocciava il pianto, e sanguinosa bava:

I pregi di questa ingegnosa e terribil descrizione, che
è veramente di una nuova e rara bellezza, sfuggire non
posson certo allo sguardo dell'attento lettore , e bastereb-
ber soli a metter Dante alla testa degli Italiani poeti
se quell' alto posto di onore non fosse a lui per tanti al
tri titoli sì giustamente dovuto, otas phare iti

,

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CAPITOLO III.

Descrizioni ridenti e vaghe o dolcezza di versi.

Convinti

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Onvinti dunque abbastanza ci siam finora quanto il Poeta nostro luminosamente grandeggi così nelle patetiche e affettuose descrizioni, come nelle descrizioni di quel meraviglioso e di quell'alto terribil ripiene, in cui Milton il primo luogo forse otterrebbe, se Dante stato non vi fosse; vediamo ora come non meno grande egli sia nel descrivere oggetti vaghi ridenti e lieti , e le varie bellezze della Natura, e nell' artifizio incantatore di soavi e dolcissimi versi.

,

Di tali fregi adornato presentasi a noi primieramente quel pezzo del canto IV. dell' Inferno ove con vaghi tratti il Poeta dipinge la sede dei grandi uomini del Gentilesimo visitata da esso, e da Virgilio, in compagnia d' Omero, di Orazio, di Lucano, e di Ovidio; coi quali dic' egli di esser venuto

...

Al piè d'un nobile castello,
Sette volte cerchiato d'alte mura,
Difeso 'ntorno d'un bel fumicello.
Questo passammo, come terra dura:
Per sette porte entrai con questi savi:
Giugnemmo in prato di fresca verdura.
Genti v'eran con occhi tardi, e gravi,
Di grande autorità ne' lor sembianti
Parlavan rado con voci soavi.
Traemmoci così dall'un de' canti
In luogo aperto luminoso ed alto,
Sì che veder si potean tutti quanti.
Colà diritto sopra 'l verde smalto

Mi fur mostrati gli spiriti magni, ab
Che di vederli in me stesso n'esalto

Un'altra bella descrizione, anche di più ridenti immagini, e di più dolci e sonori versi fregiata incontrasi poi nel canto I.odel Purgatorio, ed è quella del luogo ove trovossi il Poeta colla sua guida, appena escito dalle tenebrose gole infernaliaal on

Dolce color d'oriental zaffiroyu
Che s'accoglieva nel sereno aspetto i
Dell' aer puro, infino al primo giro,

Agli occhi miei ricominciò diletto teismin
Tosto ch'io uscì fuor dell' aura morta 701
Che m'avea contristati gli occhi, e'l petto.
Lo bel pianeta, ch'ad amar confortasi sove
Faceva tutto rider l'oriente,

Velando i pesci, ch'erano in sua scorta
ArI misvolsi a man destra, e posi mentén Jaro.nl
Alli altro polo; e vidi quattro stelle ooh ooh

Heap Non viste mai, fuor ch' alla prima gente:
enGoder parea'l ciel di lor fiammelle:
O settentrional vedovo sito

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Poi che privato se di mirar quelle!

E qui non sfuggirà certamente all' accorto lettore quanto quest'ultima apostrofe, e questo metaforico epiteto di Settentrionale dato al nostro emisfero, perchè privo di quelle quattro stelle simboleggianti le cardinali virtù, sia veramente poetico, ed in altissimo grado sentenzioso e

sublime

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Vedasi in seguito nel canto X. della cantica stessa con quanta verità, e maestria dipinga il Poeta un intaglio che alla sua vista presentossi nel salire il monte del pure gatorio, allorquando ei dice:

Lassù non eran mossi i piè nostr' anco,
Quand' io conobbi quella ripa intorno вя

Che

Che dritto di salita avea mancosi
Esser di marmo candido, ed adorno isto
D'intagli sì, che non pur Policleto,
Ma la Natura li avrebbe scorno
L'angel, che venne in terra col decreto

- Della molt' anni lagrimata pace,

Ch'aperse 'l ciel dal suo lungo divieto,лент
Dinanzi a noi pareva sì veraceboala soloti
Quivi intagliato in un atto soave,
Che non sembrava immagine che tace.
Giurato si sarìa, ch'ei dicess' ave;

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Però ch' ivi era immaginata quella d Ch' ad aprir l'alto amor volse la chiave Ed avea in atto impressa estal favella, I Ecce ancilla Dei sì propriamente, Come figura in cera si suggella ichib In egual modo merita un distinto posto tra le vaghe poetiche descrizioni della Divina Commedia l'altra che chinde il canto XVIII. della seconda cantica, ove quella dolce estasi, che il rapido passaggio di molti e varj pensieri entro di lui produsse, l'Alighieri in tal modo vivacemente esprime :

Poi quando fur da noi tanto divise
Quell'ombre, che veder più non potersin basup
Nuovo pensier dentro da me si mise:
Dal qual più altri nacquero e diversi;
E tanto d'uno in altro vaneggiai,
Che gl'occhi per vaghezza ricopersi,

AG

109 El pensamento in sogno trasmutai.gee ni Nè bello meno, o di versi men fluidi e men sonori adornato è quell' altro pezzo, ove il Poeta descrive la visione ch'ei finge d'aver avuta prima di entrar nel paradiso terrestre, nella quale sotto il nome di Lia, e Rachela la vita attiva, e la contemplativa vengon da lui

di

simboleggiate. In questo pezzo dopo aver egli esposto che, per esser gia stanco, messo erasi a riposare sopra un di quei scaglioni, in compagnia di Stazio, e di Virgilio, soggiunge posciare ros being isicol

Poco potea parer lì del di fuori;

Ma per quel poco vedev' io le stelle,
Di lor solere e più chiare e maggiori.
Sì ruminando, e sì mirando in quelle,
Mi prese 'l sonno, il sonno che sovente
Anzi che'l fatto sia, sa le novelle.
Nell' ora credo, che dall'oriente
Prima raggið nel monte Citerea,
Che di fuoco d'amor par sempre ardente,

Giovane e bella, in sogno mi parea,
Donna veder andar per una landa
Cogliendo fiori; e cantando dicea:
Sappia qualunque il mio nome dimanda
Ch'io mi son Lia, e vo movendo 'ntorno
Le belle mani a farmi una ghirlanda.
Per piacermi allo specchio, qui m' adorno;
Ma mia suora Rachel mai non si smaga
Dal suo miraglio (9), e siede tutto giorno:
Ell'è de' suoi begli occhi veder vaga,
Com' io dell' adornarmi con le mani:

Lei lo vedere, e me l'ovrare appaga.

Ma al di sopra di tutti i soavi ridenti e bei pezzi descrittivi del sommo nostro Poeta, che finora abbiam rilevati, collocar devesi quello del paradiso terrestre, e della simbolica donna ivi da lui trovata, che comincia il canto XXVIII. del Purgatorio; squarcio ove dir non sapreb

(9) Smagarsi è voce antiquata, che in questo luogo corrisponde a scostarsi, rimoversi. La parola miraglio è adoprata dal Poeta in vece di specchio, ed è tratta dal mirail Provenzale.

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