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Al Padre, af Figlio, allo Spirito Santo,
Comincid, gloria, tutto 'l Paradiso,
Sì che m' innebbriava il dolce canto.
Cid, ch'io vedeva, mi sembrava un riso
Dell Universo, perchè mia ebbrezza.
Entrava per l' udire, e per lo viso song
O gioja! o ineffabile allegrezza!

O vita intera d'amore, e di pace!
O senza brama sicura ricchezza!

Tutto è vago, tutto è grandioso in questo incomparabile pezzo, che può francamente con Orazio chiamarsi insigne, recens, et adhuc indictum eve alio, ma in ispecial modo quell' immagine del riso dell Universo è tanto originale e sublime, che quasi a me mancano i termini onde poterla degnamente encomiare. In generale in questo altissimo squarcio Dante quasi se medesimo supera, ed in esso dir non saprebbesi se l'elevatezza dei pensieri, e delle immagini, o l'armonia incantatrice dei versi principalmen te grandeggi.

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Uanto ingegnosi e poetici siano i contrasti che l'Alighieri presenta nelle descrizioni di tal genere i due squarci della Divina Commedia, che riporterem qui appresso, più che bastanti deggiono esser, per quanto io credo, farcelo chiaramente conoscere. Il primo, che trovasi nel canto I. dell' Inferno, è del seguente tenore: Tempera dal principio del mattino,

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E'l sol montava in su con quelle stelle
Ch' eran con lui, quando l'amor divinoовая О
Mosse da prima quelle cose belle; drous siming slich

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Sì ch'a bene sperar m'era cagione, STIA
Di quella fera la gajetta pelle, Cionico

L'ora del tempo, e la dolce stagione;
Ma non sì, che paura non mi desse
La vista, che m'apparve, d' un leone ou
Questi parea che contra me venesser EVEная
Con la test' alta, e con rabbiosa fame,cin 0
Sì che parea che l'aer ne temesse

Osservisi come la vaghezza, e l'armonia de' sette primi versi, ove si parla della Lonza simboleggiante la lussu ria, venga dal Poeta artifiziosamente opposta alla forza, ed al terribile degli altri cinque, ove descrivesi il Leone, col quale la superbia ebbe egli in mira di simboleggiare.

L'altro degli squarci di sopra citati leggesi nel canto XII. del Purgatorio, allorchè fingendo di veder nel pavimento effigiati molti esempi di punito orgoglio, dice il nostro Alighieri:

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Vedea colui, che fu nobil creatofnomon't o canigan
Più d'altra creatura, giù dal cielo
Folgoreggiando scender da un lato.

Vedeva Briareo, fitto dal telo A
Celestial, giacer dall'altra parte,
Grave alla terra per lo mortal gielo.
Vedea Timbreo; vedea Pallade, e Marte;
Armati ancora intorno al Padre loro
Mirar le membra de'giganti sparteisoen ing-
Vedea Nembrotto appiè del gran lavoro,
ohe Quasi smarrito, a riguardar le gential oils fiq

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sido clan.t

Che n'Sennaar con lui insieme foro
O Niobe, con che occhi dolenticates
Vedev'io te segnata in su la strada,
Tra sette, e sette tuoi figliuoli spenti!

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Contrasto veramente ingegnoso e poetico tra il terribile delle prime quattro terzine, e il patetico grandioso dell'

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ultima, in cui lo stato della più infelice tra le madri vien dal Poeta descritto.Jon o

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To Atti Utteboa pezzi della Divina Commedian finor da noi esaminati più che sufficienti sariano a fare altamente rifulgere il magistero di Dante in ciascuna di quelle parti che abbiam di sopra indicate come indispensabili a render la poetical elocuzione vaga e perfetta, e quindi non di altri esempj, abbisogneremmo per ottenere un tal risultato; nulladimeno terminarsi non dee questa piacevole analisi senza riportar ancora un qualche altro squarcio di questo sonimo Poeta, atto specialmente a far rilevare alcune grandiose apostrofi, alcune belle comparazioni, alcune immagini ed espressioni sublimi, ed alcuni pezzi di artifiziosa armonia imitativa, per così pienamente conoscere l'alto posto ch'egli occupa, ed occuperă sempre tra i gran poeti di tutti i tempi, e di tutte le nazioni, finchè gli uomini saran fedeli alle leggi del gusto, e sensibili alle impressioni del sublime, e del bello..

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Tra le apostrofi sceglierem da prima quella di Dante a Virgilio, allorchè, trovatolo nella selva selvaggia, a lui esclama: Or se tu quel Virgilio, e quella fonte om Che spande di parlar si largo finme? Risposi lui con vergognosa fronte : 19 Oh degl' altri poeti onore, e lume,χασες (1) Vagliami 1 lungo studio, el grande amore, Che m'han fatto cercar lo tuo volume

دو

Tu se lo mio maestro, e: 'I mio autore; Dow
Tu se solo colui, da cuio tolsil ib engel
Lo bello stile che m'ha fatto onore тота

Nè con minor vaghezza, e minore eloquenza il gran Mantovano Poeta è apostrofato nel canto VII. del Purgar torio dal suo compatriota Sordello, il quale a lui rivolto, O gloria de' Latin, disse, per cui

Mostrò ciò che potea la lingua nostra!
O pregio eterno del luogo ond' io fui!

Bella egualmente, e con dolci e sonori versi espressa è l'altra apostrofe di Beatrice a Virgilio, quando questa lo move in soccorso del di lei amico; al quale peridiro -comincia il gran Cantore di Eneat: ibonicha li sieglot -ide. Da questa tema acciocchè tu ti solve,

Dirotti perch'i'venni, e quel ch'io 'ntesioΣ Σ
Nel primo punto, che di te mi dolve. ibung is

- Io era tra color, che son sospesin, Lellom realnain
o. E donna mi chiamd beata e bella, izilanol cloves
Tal che di comandare i la richiesi
ib oterupa

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Lucevan gli occhi suoi più che la stellaรวโอ คมlia icus Ecominciommi a dir soave e piana, anticle cincis - Con angelica voce, in sua favella:itine ib issoq Oranima cortese Mantovana.,

-oisin Di cui la fama ancor nel mondo dura, i tot sxq
E durera quanto 1 moto lontanayon linodonit in
L'amico mio, e non della venturan i she ilidianse
Nella diserta piaggia è impeditor hostes of bre
Sì nel cammin, che volto è per paura; smells, oilig

E temo che non sia già sì smarrite,pho
Ch'io mi sia tardi al soccorso flevataga orto
Per quel, ch'io ho di lui nel cielo udito.
Or muovi, e con la tua parola ornata,

Σ

Econ ciò che ha mestieri al suo campare
L'ajuta sì, ch'i'ne sia consolata

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Ison Beatrice, che ti faccio andares of beaut
Vegno di loco, ove tornar desio plot TownT

Amor mi mosse, che mi fa parlareolled od

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Cosi pure meritano di esser rilevate quali due gran diose apostrofi della Divina Commedia il rimprovero che fa Virgilio al Poeta, dopo la citata narrazione, e dopo averlo incoraggito a seguire i suoi passi, la risposta di questo a Virgilio, contenute amendue nel seguente squarcio; in cui trovasi al tempo stesso una delle più belle comparazioni della poesia Italiana; e nel quale Marone dopo aver informato Dante dell' alta protezione che Beatrice si degnava accordargli, a lui soggiunge:

Dunque che è? perchè, perchè ristai?
Perchè tanta viltà nel cuore allette ?
Perchè ardire, e franchezza non hai?
Poscia che tai tre donne benedette (13)
Curan di te nella corte del cielo,
E'l mio parlar tanto ben t'impromette
Quali i fioretti, dal notturno gielo
Chinati e chiusi, poi che'l Sol gl' imbianca,
Si drizzan tutti aperti in loro stelo,
Tal mi fec' io di mia virtude stanca,
E tanto buono ardire al cuor mi corse,
Ch' i' cominciai come persona franca:

O pietosa colei, che mi soccorse;
E tu cortese, ch' ubbidisti tosto
Alle vere parole che ti porse!

Una ben commovente e pregevole apostrofe è in egual modo quell' altra del Mantovano Poeta all' Alighie ri, quando, dopo averlo guidato nel giro dell' inferno, e del purgatorio, lo abbandona in balia di Beatrice, prima di entrar nel paradiso, e che l'Alighieri stesso riferisce nel seguente modo:

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(13) Per queste tre donne deggionsi intendere la Misericordia Divina, la Grazia illuminante simboleggiata dal Poeta sotto il nome di Lu cia, e la stessa Beatrice di lui amica.

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