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Come la scala tutta sotto noi

Fu corsa, e fummo in sul grado superno; ib
In me ficco Virgilio gli occhi suoi,

E disse: il temporal fuoco e l'eterno

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,

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Veduto hai, figlio, e se se'venuto in parte
Ov'io per me più oltre non discerno.
Tratto t'ho quì con ingegno, e con arte;
Lo tuo piacer omai prendi per duce;
Fuor se dell' erte vie, fuor se dell'arte,
Vedi là il Sol, che 'n fronte ti riluce;
Vedi l'erbetta, i fiori, e gli arboscelli,
Che quella terra sol da se produce:
Mentre che vegnon lieti gli occhi belli, stor
Che lagrimando a te venir mi fenno
Seder ti puoi, e puoi andar travelli.
Non aspettar mio dir più, nè mio cenno;
Libero dritto sano è tuo arbitrio,
E fallo fora non fare a suo senno;
Perch'io te sopra te corono, e mitrio.

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Ingegnosissimo ed eloquente del pari, come in altissimo grado sublime è quell'invito di Virgilio ad Anteo, che leggesi nel canto XXXI. dell' Inferno:

O tu, che nella fortunata valle,

Che fece Scipion di gloria ereda,
Quando Annibal co' suoi volse le spalle,
Recasti già mille lion per preda,

E che se fossi stato all' alta guerra
De' tuoi fratelli, ancor par ch' ei si creda
Ch'avrebber vinto i figli della terra,

Mettine giuso, e non ten venga a schifo,
Dove Cocito la freddura serra.

Anche il Sole, quest' astro benefico animatore del Mondo, che il soggetto è stato di molte belle poetiche invocazioni, ha eccitato come aspettar si doveva, l'estro

fa

facondo del nostro gran Poeta, che in diversi vaghissimi modi or lo chiama:

ora:

Lo bel pianeta che ad amar conforta;

Lo Ministro maggior della Natura,

Che del valor del Cielo il Mondo imprenta,
E col suo lume il tempo ne misura;

e finalmente nel canto XIII. del Purgatorio a lui volgen
dosi, e pien d'ardore invocandolo, esciama egli:
O dolce Lume, a cui fidanza io entro

Per lo nuovo cammin, tu ne conducio
Dicea, come condur si vuol quincentro:
Tù scaldi'l Mondo; tu sovr'esso luci;ой
S'altra cagione in contrario non pronta,
Esser den sempre li tuoi raggi duci.mp

Un altra bellissima apostrofe del Poema di Dante parimente quella del canto I. del Paradiso; nella quale dopo aver egli implorato il soccorso di Apollo, in grazia del lauro tanto a quel Nume caro, di cui a coprir si andava la fronte, allo stesso soggiungeni 0000 Lt

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Venir vedràmi al tuo diletto legno,
E coronarmi alfor delle sue foglie
Che la matera, e tu mi farai degno: siro
Si rade volte, o Padre, se ne coglie, slimu
Per trionfare, o Cesare, o Poeta, suimeT
(Colpa e vergogna dell' umane voglie T
Che partorir letizia in su la lieta i

Delfica Deità dovria la frondala iz non
Peneja, quando alcun di se asseta enrov le

E per ultimo vegga il Lettore quanto le tre seguenti invocazioni dell' Alighieri, una alla luce della Divina Triade, che alla vista splendeva delle anime beate; l'altra alla stessa Divina Luce, perchè la forza diagli di render noto ciò ch' esso in lei veduto aveva; e la terza final

DON

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men

mente alla Madre di Cristo, che il Poeta mette in boc ca di S. Bernardo; vegga il lettore, io dico, quanto queste tre invocazioni sian di un bello, e di una forza di sentimento difficile ad imitarsi. Ecco la prima, che contiensi in quei tre dolcissimi versi:

O trina luce, che, unica stella sole lab offe
Scintillando a lor vista, si gli appaga

Guarda quaggiuso alla nostra procellat. nomind a Nè pregevol meno di questa può reputarsi l'altra, ove esclama il Poeta:

O somma Luce, che tanto ti lievion of iST

A

Da' concetti mortali, alla mia mente, sorel
Ripresta un poco di quel che parevia
possente,

E fa la lingua mia tanto

Ch' una favilla sol della tua gloria
Possa lasciare alla futura gente:

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ch Che per tornare alquanto a mia memoria, E per sonare un poco in questi versi,

,

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tea Più si conceperà di tua vittoria. Ed ecco in fine la terza colla quale chiuderem degna mente questo V. capitolo, giacchè sulle apostrofi tutte della Divina Commedia in grado sommo trionfa:

Vergine madre, figlia del tuo figlio,

9:10

Umile ed alta più che creatura, oflov obar is

Termine fisso d'eterno consiglio, holt 151

Tu se' colei, che l'umana natura

>

Nobilitasti sì, ch''l suo fattore

Non si sdegnò di farsi sua fattura?

Nel ventre tuo si raccese l'amore up const

3

Per lo cui caldo nelf eterna pacer omfila o H

Così è germinato questo fiore.

Quì se' a noi meridiana face

3. Di caritate, e giuso intra i mortali

-fon Se dit speranza fontana vivace ait mов

Don

Donna se tanto grande, e tanto vali,onl
Che qual vuol grazia, e a te non ricorre
Sua disianza vuol volar senz' ali.

La tua benignità non pur soccorre
A chi domanda, ma molte fiate
Liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietade,
In te magnificenza, in te s'aduna
Quantunque in creatura è di bontatering)

DET

CAPITOLO VI

Similitudini ch cool int must

El resto il genio poetico di Dante nelle diverse ingegnose comparazioni, delle quali egli ha ornato il suo Poema, più che altrove luminosamente apparisce. Quindi, oltre quelle che sonosi ammirate nei pezzi notati finora e quelle relative ad oggetti filosofici, che vedransi nella terza parte della mia dissertazione, andrò io particolarmente notando in questo VI. capitolo le altre che più colpito mi hanno, cominciando dalla cantica dell' Inferno, e seguitando il Poema in fino al suo termine.

La prima di queste belle ed ingegnose similitudini tro vasi dunque nel I. canto della Divina Commedia, allorchè, dopo aver esposto di esser scampato da quella orrenda selva allegorica, il Poeta soggiunge:

E come quei, che con la lena affannata Uscito fuor del pelago alla riva, Si volge alf acqua perigliosa, e guata; Così l'animo mio, ch' ancor fuggiva, Si volse 'ndietro a rimirar lo passo, Che non lascid giammai persona viva. La seconda leggesi nel canto V. della I, cantica stessa, e

vien

vien preceduta da quella sublime apostrofe di Virgilio a Minos, che cercava di distoglier Dante dal viaggio infernale coll atterrirlo; e nella quale rivolto a quel tremen. do Giudice, esclama il Mantovano Poeta:

perchè pur gride?

Non impedir lo suo fatale andare;
Vuolsi così colà, dove si puote
Ciò che si vuole, e più non dimandare
Quindi l'Alighieri stesso soggiunge: і спритний)
Ora incomincian le dolenti note

A farmisi sentire; or son venuto
Là, dove molto pianto mi percuote.
I'venni in loco d' ogni luce muto,
Che mugghia, come fa mar per tempesta,
Selda contrari venti è combattuto.

La terza comparazione, che non men di questa grandiosa può dirsi, incontrasi nel canto VII., quando, dopo aver indicato le parole dette da Virgilio a Pluto, soggiunge il Poeta: to svinter eller a

Quali dal vento le gonfiate vele im plebeing bang
Caggiono avvolte, poicchè l'alber fiacca,
Tal cadde a terra la fiera crudele.

La quarta contiensi nel canto IX., ove comincia egli dal dire che l'arrivo dell' Angelo, il quale i demonj dal la porta di Dite a scacciar veniva, produssenpeab lary τινό εξοδέ

...

su per le torbid' onde

Un fracasso d'un suon pien di spavento,
Per cui tremavan ambedue le sponde;1

e soggiunge poi che era questo fracassoon etiasu
Non altrimenti fatto che d'un vento sulov d
Impetuoso per gli avversi ardorimis 100
Che fier la selva, e senza alcun rattentot
Li rami schianta, abbatte, e porta i fiori
Dinanzi polveroso va superbo, εις εδίστας

3

E fa

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