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Rotante col suo figlio, onde ella è vaga, (16).
Mirando Roma, e l'ardua sua opra,
Stupefacènsi, quando Laterano
Alle cose mortali andò di sopra;
Io, che al divino dall' umano,

All'eterno dal tempo era venuto,
E di Fiorenza in popol giusto e sano,

Di che stupor dovea esser compiuto!

Ed in questa veramente egregia quartina, oltre la sublimita delle immagini, osservar si deve eziandio con quanta arte, ed esattezza abbia Dante adoperate le antitesi, che così spesso in difetti soglion degenerare.

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CAPITOLO VIII,

Armonia imitativa:

inalmente tra gli squarci della Divina Commedia, che veri modelli dir si possono di armonia imitativa, in pris mo luogo annoverar si dee quella introduzione al canto XXI. dell'Inferno, che una superba similitudine nel tem po stesso presenta :

Così di ponte in ponte, altro parlando

Che la mia commedia cantar non cura,
Venimmo; e tenevamo 'l colmo, quando
Ristemmo per veder l'altra fessura

Di Malebolge, e gli altri pianti vani;
E vidila mirabilmente oscura.

Quale nell' Arzana de' Viniziani ro nel fr
Bolle l'inverno la tenace pece, της ποί

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A

(16) Parla in questo luogo il Poeta de' barbari del settentrione pos sti sotto le costellazioni di Elice, e di Boote suo figlio, cioè dell Orsa minore, e di Arturo,

A rimpalmar li legni lor non sani,
Che navicar non ponno; e'n quella vece
Chi fa suo legno nuovo, e chi ristoppa
Le coste a quel che più viaggi fece;
Chi ribatte da proda, e chi da poppa;
Altri fa' remi, ed altri volge sarte;
Chi terzeruolo, ed artimon rintoppa;
Tal, non per fuoco, ma per divin' arte,do
Bollia laggiuso una pegola spessa,
Che'nviscava la ripa d'ogni parte..

Allorchè in questo curioso squarcio l'attento Lettore pronunzierà quell' emistichio la renace pece, non potrà certamente sfuggirgli quanto il suono di esso imiti il viscoso, e l'attaccaticcio di quella sostanza; come neppur potrà sfuggirgli quanto tutte quelle rime ristoppa, poppa, e rintoppa imitino il rumore che le orecchie assorda nei marittimi lavori degli arsenali.

Sono pure a tutti note quelle altre terzine del genere stesso, che leggonsi nel canto XXXII. della prima cantica, in cui descrivendo il gelo durissimo di Cocito, dice l' A lighieri!!

Perch' io mi volsi, e vidimi davante,
E sotto i piedi un lago, che per gielo
Avea di vetro, e non d'acqua sembiante:

Non fece al corso suo sì grosso velo
Di verno la Danoja in Austericch,
Ne 'l Tanai là sotto'l freddo cielo,
Com'era quivi: che se Taberniech
Vi fosse su caduto, o Pietrapana,
Non avria pur dall' orlo fatto cricch. (17)

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(17) La voce Danoja è presa da Donau nome Tedesco del Danubio: come anche tutta Tedesca è la voce di Austericch, Austria. Tabernich è un monte altissimo della Schiavonia; e Pietrapana è uno de' più alti Appennini della Garfagnana.

E sebben questo pezzo tacciar si possa di una qualche bassezza, pure non dee certo negarsi che in esso il suono dei versi imiti mirabilmente l'atto che dal Poeta descrivesi.

E per ultimo tra questi ingegnosi squarci di armoniz imitativa merita di esser principalmente rilevata quelle quartina che termina il canto XXXI. dell' Inferno; nella quale, dopo aver narrato che Anteo preselo, unitamente a Virgilio, nelle gigantesche sue braccia, Dante soggiunge: Ma lievemente al fondo, che divora Lucifero con Giuda, ci posò;

Nè sì chinato lì fece dimora; silidace E come albero in nave si levd if shizu quartina in cui, oltre l'armonia imitativa; va anche ammirato l'immaginoso, il sublime, ed il bello di quell' ul tima comparazione.

*os Lisoning iva CAPITOLO IX.ggelis chist Difetti di stile nella Divina Commedia, e conchiusione:

MA io già mi avveggo che, trasportato dal mio en

ol

tusiasmo per l'Autore di questo Poema sublime, trepassato ho forse di troppo i limiti che prefissi mi era nel presente Discorso: quindi al medesimo fine io porrei, se in duro, ma necessario tributo render non dovessi prima alla debolezza dell' umana natura, enumerando ancora quei difetti di elocuzione, che nella Divina Commedia principalmente urtato mi hanno; difetti però che nèi posson dirsi sopra un bellissimo volto, o poche e leggerissime macchie in sulla faccia del Sole. Di cinque specie son pertanto a parer mio i vizj di stile nell' Alighieri; cioè pensieri falsi; espressioni triviali, e proverbj volgari; giochi di parole, e freddure; immagini basse, e qualche volta indecenti; e per ultimo abusi della lingua Latina,

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sì perchè malamente adattata alla rima, sì perchè con niuna grazia, ed eleganza trattata.

I. Tra i pensieri falsi merita di esser da prima riprovato quello che leggesi nel canto II. dell' Inferno, ove cercando il Poeta di giustificar la grazia accordata ad Enea di scendere in quel tenebroso luogo, dice a Virgilio che quel

'Eroe...u

:

g.fu dell'alma Roma, e di suo 'mpero Nell'empireo Ciel per padre eletto: La quale, e'l quale (a voler dir lo vero ) Fur stabiliti per lo loco santo, U'siede il successor del maggior Piero. Per questa andata, onde li dai tu vanto, in Intese cose, che furon cagione

Di sua vittoria, e del papale ammanto : induzione tanto falsa e stiracchiata, che inutil sarebbe di farlo al Leggitor rilevare, bastandogli di porvi gli occhi sopra per esserne pienamente convinto.

Egualmente falso, e degno del più manierato seicentista è quell' altro pensiero del canto XI. del Paradiso, relativo alla patria di S. Francesco; allorchè S. Tommaso di Aquino, alludendo all' Appennino, presso il quale la Città di Assisi è situata, così col Poeta si esprime:

Di quella costa là, dov'ella frange

Più sua rattezza, nacque al Mondo un Sole
Come fa questo tal volta di Gange:

Però chi d'esso loco fa parole
modo Non dica Ascesi, che direbbe corto,
golo Ma Oriente, se proprio dir vuole.

II. Fra le triviali espressioni, e i volgari proverbi, che incontransi nel Poema di Dante, di molta critica sembrami degna quella terzina del canto XV. dell' Inferno, in cui dopo aver inteso da Ser Brunetto Latini la predizione delle disgrazie che dovevan colpirlo, soggiunge il Poeta:

Non

Non è nuova agli orecchi miei arra: coouis Però giri fortuna la sua ruota, dovenia

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1280 Come le piace, e'l villan la sua marra.

Così triviale è pure quell' altra espressione, di cui, parlando con Virgilio, egli servesi nel canto XX. della canti

ca stessa:

Maestro i tuoi ragionamenti

Mi son sì certi, e prendon sì mia fede,

- Che gli altri mi sarien carboni spenti. Ne triviale meno è quel proverbio da lui usato nel canto XXII. della citata cantica:

Noi andavam con li dieci dimoni;

(Ah fiera compagnia!) ma nella chiesa
Co'santi, e in taverna co' ghiottoni.

Nella cantica del Purgatorio incontrasi quindi un' altra bassissima espressione, quando narra il Poeta che il fumo,, il quale l'aer ricopriva, era.

a sentin di così aspro pelo, alt &

Che l'occhio stare aperto non sofferse.e

E finalmenre è da riprovarsi non poco quella terzina che offresi nel canto XXI. della suddetta cantica, allorchè Virgilio, dopo essere stato da Stazio istruito del motivo per cui il monte del purgatorio avea tremato, e per cui le anime purganti avean cantate le lodi del Signore, soggiunge all' Autore della Tebaide: oilgilile

..

ormai veggio la rete,

Che quì vi piglia, e come si scalappia,
Perchè ci trema, e di che congaudete.

III. Tra gli squarci contenenti freddure, e giuochi di parole deve sopratutto annoverarsi quello del I. canto delInferno, ove parlasi della simbolica lonza; la quale, dice il Poeta,

..

non mi si partia dinanzi al volto; com Anzi tanto impediva il mio cammino,

Ch'

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