Venne Cephas, e venne il gran vasello Sì che duo bestie van sott' una pelle: Non altrimente nel canto appresso, attaccando il Poeta la depravazion dei Monaci Benedettini, mette in bocca al solitario lor fondatore le seguenti parole: La regola mia • Rimasa è giù per danno delle carte: Le mura, che soleano esser badia, Ma tra tutti questi satirici pezzi della Divina Comme dia, che gli abusi attaccano delle sagre cose, altamente grandeggia nel canto XXVII. del Paradiso l'energico e fortissimo slancio contro Bonifazio VIII., e quelli altri successori di Pietro, che da esso, e dalla Religione tanto degenerarono; quando finge Dante che il Principe degli Apostoli, dopo averlo esaminato sulla sua credenza, seco lui prorompa nell' appresso invettiva: Quegli, ch' usurpa in terra il luogo mio, Del sangue, e della puzza, onde 'I perverso, e poco dopo S. Pietro stesso soggiunge: Del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, Rer Per essere ad acquisto d'oro usata; Che contra i battezzati combattesse; Nè ch'io fossi figura di sigillo Si veggion di quassù per tutti i paschi E finalmente, nel canto XXIX. dell' ultima cantica, pungendo acremente il Poeta i cattivi predicatori, che al suo tempo in Firenze abbondavano, come pur troppo in Firenze (13) ed in altri luoghi del Cristianesimo anche oggigiorno abbondano tanto che più istrioni che espositori di una morale pura e santa posson essi chiamarsi, immagina egli che dalla sua Beatrice detto gli sia: , Voi non andate giù per un sentiero ogobellosenqua Con men disdegno, che quando è posposta colo on nimatinio len of of La (13) Nella Quaresima del 1806. un ignorante Francescano, per nome il Padre Latini, non arrossì di apostrofare colle più alte ingiurie Galileo, Macchiavelli, ed altri uomini insigni dell' Italia, che per mu nificenza del Gran Leopoldo hanno onorevol tomba nella Chiesa di S. Croce di Firenze, ove quel frate predicava nel detto anno. La Divina Scrittura, e quando è torta Gonfia 'l cappuccio, e più non si richiede. Non incredulità, dunque, non dispregio del Cristiano Culto animarono il Poeta nostro; ma vero zelo, purita di fede, e indegnazione profonda contro quei malvagi, che dal manto di una Religione santa ricuoprono l'ambizione, l' avarizia, e gli altri vizj loro, e che tacciano di empietà quei coraggiosi Filosofi, amici dell' Uman Genere, e (14) Lapo, e Bindo erano nomi comuni in Firenze al tempo di Dante, e neppur oggi giorno vi son rari. Il primo è corrotto, vezzeggiativo di Jacopo il secondo ignorasi di qual nome lo sia; ma non lo credo originale, come alcuni pretendono. 1 che di smascherar tentano agli occhi del traviato volgo la nefanda loro impostura: Gerioni novelli, di ciascun dei quali dir si potrebbe collo stesso Alighieri: N La fac cia sua era faccia d' nom giusto, CAPITOLO II. Tratti filosofici relativi alla Politica. Ato Dante in una Repubblica famosa per la sua potenza, per le magnanime gesta dei suoi cittadini, e per le sanguinose sue dissenzioni, amò la popolar costituzione della sua Patria, e valorosamente colle armi alla mano la difese nella battaglia di Campaldino. Testimone quindi, e vittima egli stesso dei mali dell'anarchia, che, a motivo dei corrotti costumi degli uomini, pur troppo fatalmente deselano tutti i democratici Stati, egli invocò la monarchia, come un sollievo ai mali della sua Patria ed a quei dell'Italia, ch'egli desiderò tutta intiera sotto il dominio degli Alemanni Imperadori. Ma filantropo qual egli era, e fautor delle idee liberali, se monarchista divenne, per ragione, e per amor di pace il divenne; e quindi sempre avverse mostrossi alle oppressioni, e alla tirannide; che tanto dalla vera monarchia differisce, quanto dalla libertà la licenza. Spiegato in tal modo il politico sistema dell' Alighieri, restan anche spiegate certe contradizioni apparenti, che nei varj tratti politici del suo Poema s'incontrano; i quali per conseguenza sempre dalla filosofia, e dalla ragione dettati si troveranno • Quanto il nostro gran Poeta amante fosse di libertà, veder si può da principio in quella sublime apostrofe, del canto I. del Purgatorio, allorchè Virgilio, 1 pre pregando Catone Uticense di favorir l'ingresso di Dante in quell' espiatorio luogo, dice all' egregio Romano: Or ti piaccia gradir la sua venuta; Libertà va cercando, ch'è sì cara; La a veste, ch'al gran dì sarà sì chiara. In egual modo quest' attaccamento dell' Alighieri alle libere forme di governo attestato ci viene da quell' altro bel pezzo del canto XV. del Paradiso, ove descrivendo egli il viver sobrio e felice della Fiorentina Repubblica, nei tempi in cui vivea il suo Antenato Cacciaguida, e ragonandolo alla corruzione in cui questa caduta era a' tempi suoi, mette in bocca al medesimo le seguenti pas role: Fiorenza dentro dalla cerchia antica, Ond' ella toglie ancora e terza, e nona; Non avea catenella, non corona, Non donne contigiate, non cintura, Non faceva, nascendo, ancor paura La figlia al padre, chè'l tempo, e la dote N pa Non (15) Catenelle, e Corone son donneschi ornamenti, sul senso dei quali non cade verun dubbio. Contigie, secondo il Buti, si chiamavano alcune calze solate col cuojo, e stampate intorno al piede. Per quella cintura che fossa a veder più che la persona, vuol significare il Poeta, che i cinti usati dalle donne Fiorentine de' tempi suoi erano tanto belli, da dar più diletto alla vista della persona stessa che li portava. (16) Allude l' Alighieri in questo luogo alle troppo ricche doti, che davansi alle ragazze Fiorentine, e alla troppo verde etade, in cui esse si maritavano. |