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Altre osservazioni dovremmo fare le quali ci condurrebbero a mostrare errata la conclusione che il prof. Labanca tira a proposito dell'idea di Dio nel Medio evo; e l'altra con la quale nega il platonismo dei Padri e l'Aristotelismo dei dottori, non accorgendosi di esporre dottrine contrarie a quelle esposte nel 1° volume e di seguire un metodo che veniva a tôrre all'ambiente quanto di troppo gli aveva concesso nel volume stesso. Ma i limiti d'una rassegna son passati e l'opera così dotta e che abbraccia ed affronta tanti problemi c'intratterrebbe ancora a lungo, specialmente se entrassimo a discutere le opinioni nella seconda parte, laddove con una rassegna storica esamina il come la filosofia moderna si è separata dalla cristiana. I lettori potranno consultarla certi di profittare anche laddove le loro idee sono diverse da quelle dell'autore.

PIER LEOPOLDO CECCHI.

SANTE FERRARI. L'Etica di Aristotele riassunta, discussa ed illustrata (opera premiata per deliberazione della R. Accademia dei Lincei), Paravia 1888, pag. VII--426.

Non è molto che, a proposito della edizione delle opere aristoteliche nella collezione Teubneriana, noi auguravamo che si riprendesse in Italia l'antica e gloriosa tradizione degli studi aristotelici e che si moltiplicasse anche fra noi il numero degli studiosi d'Aristotele (1). Questo augurio nostro non sembra sia andato perduto; e il ricco e vasto libro del giovine profes sore, qui sopra annunciato, è una lieta promessa di per sè e per gli studi aristotelici (2). Onde bene a ragione, con voto che

(1) Rivista di Filolog. classica, XVII, 1888, pag. 136.

(2) Vogliamo far menzione, a titolo di onore, anche d'un lavoro di uno dei nostri migliori allievi della R. Università di Napoli, il sig. Troiano, presentato come tesi di laurea, e intitolato Della partizione della Filosofia secondo Aristotele.

onora l'autore dell'opera, la R. Accademia dei Lincei propose gli fosse conferito il premio.

Il proposito dell'autore è di dare un lavoro compiuto, nel rispetto filologico-critico, e nel rispetto filosofico, sulla morale aristotelica; tale cioè che comprenda tutte le questioni che si riferiscono all'autenticità delle fonti, secondo i risultati della critica più recente, alle relazioni che corrono fra le varie fonti e al loro rispettivo valore; e che in secondo luogo, essendo il lavoro più specialmente d'indole filosofica, esponga fedelmente le idee morali d'Aristotele, vedute nelle attinenze loro colle parti del sistema aristotelico, cogli antecedenti storici che le prepararono, e nel loro successivo svolgimento fino ai nostri giorini. A quest'ultima ricerca si collega poi naturalmente una discussione critica sul loro valore scientifico. Il disegno del libro è, come si vede, molto largo e anche assai ben concepito; se anche non del tutto originale, giacchè ricorda in parte il bel libro del Grant (The Ethics of Aristotle, 3o ed. 1874), del quale poi l'autore non ha saputo giovarsi nei particolari. Che l'esecuzione di questo largo e ben ideato disegno sia in ogni sua parte egualmente condotta, non sarebbe esatto il dire; poichè si vede chiaro che in alcune parti l'A. ha posto più amore, più studio, e ha maggior competenza che in altre. Così è evidente che la quarta parte che tratta del pensiero etico dei Greci anteriore ad Aristotele è di non poco inferiore e nel suo insieme e nei particolari, alla prima che concerne l'opera autentica di Aristotele. Ma poichè non sarebbe ragionevole esigere, specie da un giovane, una conoscenza egualmente precisa di tutti i periodi storici, torna a lode dell'autore l'aver sentita la necessità di collegare il pensiero aristotelico a quello dei suoi predecessori. Nella quale ricerca, avrebbero aiutato molto l'autore, i lavori dello Schmidt, dello Ziegler, e il più recente del Köstlin sull'etica greca, che l'autore non sembra conoscere, o dai quali non ha saputo ad ogni modo trar partito per la sua esposizione.

Se però poniamo mente alle gravi difficoltà e di così diVersa natura, che ha dovuto incontrare il giovine autore nel discutere questioni d'indole filologica e critica, insieme ai problemi di critica altamente speculativa, e terremo conto delle

altre molte che incontriamo anche ora da noi in Italia, per consultare e aver notizia di tutto quello, o anche del meglio, che è stato scritto sopra un autore antico o sopra una parte delle sue dottrine e dell'opera sua al di fuori d'Italia, non potremo. non salutare con viva gioia un libro come questo, dal quale ad ogni modo trasparisce non poca diligenza nel ricercare e nell'informarsi della vasta letteratura sull'argomento che vi è discusso.

Soltanto a questo proposito ci sia consentito di rilevare che l'A. non si è valso a torto di lavori, per l'opera sua indispensabili (come degli studi sull'Etica del Jackson e del Wilson, e specialmente dell'edizione critica della Nicomachea del Susemihl 1882).

Riconosciuto a ogni modo all'A. questo merito, senza dubbio non piccolo, ci si consenta, poichè ne vale il pregio, di notare via via qualcuna delle osservazioni che nel percorrere il libro siamo venuti facendo. Le note sarebbero molte, ma lo spazio che ci è qui consentito essendo assai limitato, ci contenteremo di presentarne qui solo alcune poche. Da quello che l'autore scrive a pag. 4-5 apparisce ch'egli intenda il titolo Etica Nicomachea nel senso di un'opera dedicata a Nicomaco, mentre, senza alcun dubbio, sta a significare il libro aristotelico edito da Nicomaco. E anche senza accogliere l'opinione del Teichmüller sull'età dell'Etica Nicomachea nei suoi rapporti colle Leggi platoniche, non si può oggi risolutamente affermare che la più gran parte delle opere aristoteliche sia stata scritta dal 314 al 322. È strano poi che l'A. adduca come prova che i libri etici di Aristotele sieno stati conosciuti dai successori di Teofrasto, la testimonianza di Cicerone, contemporaneo e amico di Tirannione, e contemporaneo alla recensione di Andronico. Il giudizio poi contenuto nel luogo De Finib. V, 5, non ha alcun valore in sè stesso, tanto più che si riferisce alla Nicomachea per una dottrina che non vi si trova, ciò che fa credere che Cicerone parli qui per sentito dire; ma solo in quanto dimostra che nel tempo della recensione di Andronico, o poco dopo, Cicerone sentiva parlare dell'Etica di Nicomaco come di un'opera reputata di Aristotele. Nè si può dire risolutamente col Ritter, come fa I'A. (pag. 11) che l'ordine delle dottrine cirenaiche appartiene

al giovine Aristippo (cf. Zeller II, 296. 1.), e che Aristotele solo per questo dovesse riguardare come rappresentante della dottrina del piacere come sommo bene, Eudosso.

Nel rilevare le differenze stilistiche fra le tre opere morali l'A. nota al principio dell'I, 6. dell'Eudemea che il chrómenon dovrebbe mutarsi secondo Aristotele, nel dativo plurale chrom nois: mutazione della quale non sappiamo veder la ragione. Così nella caratteristica che l'A. dà a p. 54. dello stile della Morale Grande si potrebbero notare varie lacune, e p. e. l'uso del termine ormé nel senso di impulso inclinazione, che manca in Aristotele. Più numerose osservazioni avremmo a fare sulla parte ove si discute se all'Etica Nicomachea o alla Eudemea appartengano i tre libri comuni (p. 5886): perchè, nonostante la sua lodevole diligenza, l'A. non si mostra informato delle più recenti ricerche, mentre le sue notizie terminano al lavoro del Ramsauer (1878). Ora le più recenti indagini critiche hanno posto fuor di dubbio che l'Etica Nicomachea, anche astraendo dai tre libri comuni coll'Eudemea, è uno scritto risultante da varie parti, alcune delle quali non appartengono ad Aristotele, altre sono almeno sospette, altre vi appariscono in una doppia redazione; e talora entrambe possono appartenere ad Aristotele, tal altra questo può essere possibile d'una sola. Ma quanto ai tre libri comuni, la questione, se originariamente appartengono all'una o all'altra Etica, oggi non può più esser posta, poichè le loro molte e singolari particolarità non possono essere spiegate nè dal l'una nè dall'altra ipotesi. Il loro nucleo sembra essere aristotelico, nonostante l'opinione contraria non solo del Fischer e del Fritsche e del Grant, come crede l'A., p. 68, ma anche dello Schleiermacher e del Jackson, i quali lo rivendicano all'Etica Eudemea; ma quanto ad alcune parti, p. e. la discussione sul piacere, VII, 12-15, tutto fa credere che non sieno aristoteliche, e che invece appartengono ad Eudemo; per altre forse non si può sostenere nè l'una nè l'altra origine. E così pure nel lib. VI. i due luoghi VI, 1. 1138-b, 16-34 e 1141-6, 21-1142 a, 11, appartengono certamente alla Etica Eudemea, come ha dimostrato il Fischer. Del che sembra che l'A. il quale segue qui sostanzialmente lo Spengel, non abbia

tenuto conto.

Dopo la seconda parte dove è riassunto, con molta fedeltà in generale non senza qualche inesattezza talvolta, il contenuto della Morale Nicomachea, si considerano nella terza le idee morali d'Aristotele nelle relazioni loro con tutto il sistema (p. 186-242). Questa ricerca però è presentata in modo che apparisce piuttosto come una esposizione delle idee morali, anzichè come una indagine sulle connessioni di queste coll'insie me della dottrina. Sopratutto si doveva porre in chiaro il nesso dell'Etica coi principii fondamentali della Metafisica, nonostante che sia un merito grande d'Aristotele l'aver fatto dell'Etica una scienza speciale, che si governa con propri principii. Del pari avremmo desiderato uno studio più accurato sugli elementi psicologici della volontà, in quanto resulta dalla oressi e da elementi razionali, e sulla ragion pratica di Aristotele. Dove conveniva tener conto delle ricerche del Walter e del Teichmüller su questo così importante soggetto, più di quello che l'A. non mostri d'aver fatto. E ciò tanto più poichè egli stesso riconosce che la psicologia della volontà ebbe da Aristotele il suo più grande incremento (p. 324).

Quello che sopra abbiamo detto della quarta parte che riguarda la preparazione storica delle dottrine morali Aristoteliche, ci dispensa dal diffonderci qui a rilevare tutti i punti iu cui l'A. mostra di non essere bene informato delle dottrine presocratiche, delle nuove ricerche, su questa parte così oscura ma così attraente e feconda della storia del pensiero antico. Ci basta accennare solo a qualcuno di essi. Nel parlare della morale Democritea, la cui importanza del resto non è qui degnamente rilevata, l'A. mostra di non aver notizia dei dubbi mossi specialmente dal Rohde, sulla autenticità dei frammenti morali di Democrito. Nè, ragionando della Sofistica, ha significato la seguente proposizione « A vero dire uno scetticismo che aveva per motto d'ordine il protagoreo: l'uomo è misura di tutto, non avrebbe nemmeno dovuto tentare i problemi morali. Nel fatto nondimeno non fu cosi» (p. 264); poichè il ri volgersi dell'attenzione sui problemi morali fu appunto uno dei fattori dello scetticismo sofistico; e "d'altra parte era inevitabile che si applicasse lo stesso dubbio razionalistico alle questioni d'ordine morale e politico. Quanto poi scrive l'A. sulle

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