Slike stranica
PDF
ePub

spiegare naturalmente. Condotto da un abito riflessivo, che delle cose non tocca che l'immediatezza superficiale, esso si applica a squadrare e misurare le inadeguazioni ed incongruenze, le contradizioni e le impossibilità, che aderiscono al fatto storico, al Cristo concepito qual persona divina. E, poichè si ferma a quelle, non può non disperdere in questa tutto il profondo contenuto ideale e spirituale. I racconti miracolosi e leggendarii, onde la ricordanza di tal persona vive circondata, dichiara fiabe o creazioni della fantasia. E i fatti poi dai quali s'andò formando e consolidando la fede in essa, li interpreta ed accomoda in guisa, che il sano intendimento non se ne scandalizzi, e al buon senso comune non ripugni il lasciarli passare. Sicchè dalle mani di questo criticismo senza spirito, tutto raziocinante e rischiarativo, esce un Cristo, il quale, quando non appaia addirittura un impostore o un allucinato, ovvero quando non si mostri, come lo ha dipinto il Renan, un entusiasta da romanzo, pieno d'intenzioni idilliche, ma paradossatiche e irrealizzabili, diventa un uomo, una individualità divinamente inspirata, pari ad altre individualità affini; uno dei grandi maestri dell'umanità; un filantropo, un moralista, che insegna agli uomini la pratica della virtù e dell'amore; e in fine un martire della verità. E qui si vede spuntare il parallelo, abusato sino alla sazietà, tra Socrate e Cristo. Anche Socrate ha ricondotto la coscienza alla sua interiorità, tale essendo il significato del suo Dèmone; anche lui ha insegnato all'uomo di non starsene all'autorità ricevuta ed estrinseca, ma di cercare la convinzione interiore, ed agire conforme ad essa; an

che lui è morto per la verità; e non manca insino la parte che tiene il gallo così nella passione del Cristo, come nella fine tragica di Socrate.

Fa d'uopo confessare, che il movimento razionalistico, ancorachè tocchi il massimo d'intensità e quasi di parossismo, con le vedute circa al Cristianesimo dominanti in sul declinare dello scorso secolo, è molto antico. Si può dire che risalga ai primi secoli della Chiesa, essendo agevole di certuni degli elementi suoi integranti rintracciare la radice, qui e là, nelle dottrine gnostiche e in quella di Ario. Anzi, veramente, rimonta più in su, sino al rancido Evemerismo, del quale sembra una esumazione; giacchè fu Evemero il primo che affermasse gl'Iddii non essere se non uomini fatti degni di apoteosi. D'altra parte, non è meno da riconoscere, che esso va a metter capo al concetto di Kant, pel quale l'unico e sostanziale contenuto della fede nel Cristo è l'ideale dell'umanità gradita a Dio; un ideale, la cui origine e conferma sono nella ragione umana, e il quale poi nella persona del Cristo non trova che una manifestazione intuitiva, la forza morale essendo nel Cristo così invincibile, che noi - dice Kant-si può ben considerarlo qual modello dell'idea della perfezione morale.

Però, nè l'antichità nè quel certo fondamento teoretico e dottrinale che il pensiero kantiano sembra apprestargli, bastano a sanarlo della sua inconsistenza. Causa la inettitudine a superare i procedimenti di un intendimento critico astratto e immediato, e a sollevarsi ad una quale che siasi comprensione concreta, insieme positiva e speculativa, della verità e dell'idea che nel domma del Cri

sto si contengono, l'indirizzo rázionalistico è radicalmente, insanabilmente falso. Il supporre di averla fattà finita con la credenza nella divinità del Cristo, sol perchè la mostra contradittoria, ripugnante al formalismo logico, accusa di sua parte una profonda illusione. L'essenziale qui non è di mettere a nudo la contradizione che ci è nel fatto, che un uomo sia Dio, e poi l'impos sibilità dei miracoli. Questo è ben facile; e, limitandosi a ciò, si è fuori della religione, del Cristianesimo e della fede cristiana. Il difficile e l'essenziale è di spiegare questa fede appunto; è di scrutare come e perchè, malgrado della contradizione e della impossibilità, si sia pur formata e sussista. Quando si sarà ben bene disputato intorno alla resurrezione del Cristo, alla sua ascensione al Cielo, alle sue apparizioni, alle guarigioni e ai risuscitamenti da lui operati, rimane, dopo tutto, il Cristo. E il carattere e il valore suo il Cristo non li trae dai miracoli esterni e sensibili; nè quindi quelli cascan per terra, quando si sia in concetto negata la possibilità di questi. E non c'è, per altro, bisogno neppure della critica razionale, bastando quella sola della tradizione storica, per accorgersi, quanto vulnerabile, quanto caduco sia codesto aspetto dei miracoli sensibili; senza dire, che da manifestazioni del Cristo si ricava che, per sua parte, miracoli di tal fatta ei li rigettasse, li respingesse, come indegni della fede nella verità divina. Ma il miracolo dello spirito, il fatto della rigenerazione, del rifacimento spirituale e morale del mondo, nessuno è che possa cancellarlo da quella storia. Donde si vede, che la questione è affatto altra da quella che

il razionalismo immagina. Occorre determinare il contenuto della coscienza e della personalità religiose del Cristo. È necessario, che s'intenda chi debba essere stato colui, che ancora oggi alla moralità e alla umanità moderne appare come un ideale divino, e che fu in grado di annunziarsi al mondo qual suo redentore, e di esserlo. Nulla di più scipito quanto il raffronto con Socrate. Storicamente e religiosamente il Cristo si lascia tanto poco paragonare con Socrate, quanto il Padre Celeste, cui quegli se ne rimette, con la voce del Dèmone, cui questi invoca. E il principio socratico della interiorità morale ha così poco a che fare col Regno di Dio, che, mentre quello si termina disfacendosi nella negazione degli scettici e nel dubbio assoluto dei Nuovi Accademici; per questo, in vece, il Cristo non solo ha dominato e vinto la fede e la vita religiosa del mondo, ma ha ridotto tal fede alla fede nel nome e nella persona di lui.

Ciò, in sostanza, vuol significare, che il razionalismo non ha inteso nemmeno alla lontana, dove s'annidasse il vero e serio problema della persona del Cristo. Egli è, che, daccapo, anche qui, relativamente a tal problema, la soluzione è da cercare meno per la via di una critica storico-empirica, e più di una indagine storico-speculativa, adeguata alla natura della religione e della fede. E, in altre parole, nè nel Cristo, nè nella storia della sua persona, è possibile addentrarsi, dove non ci si sforzi di coglierli, sopra di tutto, nello spirito e con lo spirito; dove non si muova dall'idea del Cristo, dal concetto del contenuto ideale della persona sua. E questo in modo

eminente comprese Hegel. Onde, a partire da lui e dietro l'impulso dei pensieri suoi, s'è visto, nella cerchia delle speculazioni filosofico-religiose, e poscia anche in quella della esegèsi biblica e della teologia scientifica, pronunziarsi e via via dilatarsi tutto un gran moto di reazione contro i procedimenti e i risultati del razionalismo. E si è tornati di nuovo sul problema cristologico, riesaminandolo a fondo con criterii diversi dai ruvidi e superficiali prima segulti, e riuscendo a conclusioni altre da quelle che una mondanità infarinata di coltura, e desiosa, ostentando incredulità, di darsi aria di saper liberamente pensare, reputa inconcusse.

Io devo restringermi a rammentare che, secondo Hegel, la religione è rivelazione di Dio all'uomo, e riconciliazione dell'uomo con Dio. V'è in essa l'azione di Dio, che si comunica e manifesta all'uomo e per l'uomo; e v'è l'azione dell'uomo, che si eleva a Dio, e si dà la certezza e il godimento di portare in sè, nel suo cuore, Dio, di essere, di sentirsi, unito con Dio. Sotto quest'ultimo rispetto, la religione è la coscienza subiettiva che si pone in relazione con Dio, e finisce col sapersi in Dio, come nella sua essenza. Sotto il primo, in vece, la religione è il sapersi di Dio, dello spirito infinito, nel finito; è il manifestarsi, il porsi di quello, come spirito per lo spirito, come appunto coscienza di Dio nella coscienza dell'uomo; è il riconoscere che fa Dio se stesso nell'animo del credente. Questa fusione della natura umana e della divina ripugna ai criterii dell'intendimento. Ma la necessità razionale e la verità è, che nè la natura umana finita può essere senza e fuori della natura

« PrethodnaNastavi »