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divina infinita; nè questa, a sua volta, sarebbe davvero infinita, dove trascendesse assolutamente e fosse totalmente straniera alla finita. Però, il processo di fusione non deve indurre a pensare che Dio, lo spirito infinito, non giunga in fondo ad esistere, ad essere, che nello spirito finito, nella coscienza dell'uomo, e che non sia poi se non in quanto codesta coscienza ama foggiarselo. L'aver apposto tal valore al processo è stato cagione, che il Feuerbach cascasse nel suo antropologismo naturalistico e pessimistico, che annulla in Dio ogni realtà e obiettività, e riduce quella che si chiama sua azione, ad un dato illusionistico, ad una infermità dell'uomo, ch'è effetto e cagione della sua miseria. Non è l'uomo che si finge il suo Dio. Nè Dio esiste per grazia e favore dell'uomo. Dio è realtà per sè, e non perchè all'uomo piaccia di statuirlo nel suo intelletto o nella sua fantasia. E l'azione divina del rivelarsi è altrettanto determinata, quanto l'azione umana del sapersi in Dio. Il loro trasfondersi l'una nell'altra, reciprocamente, nell'atto religioso, il loro unificarsi in una coscienza, ch'è ad una volta divina ed umana, non implica che le due azioni siano indifferenti e vane. Della sostanziale realtà di entrambe si ha la riprova nel culto, che n'è l'unità pratica. Da un lato, la grazia, l'azione di Dio, che si muove e va verso l'uomo; dall'altro, la fede, l'azione dell'uomo, che si erge e s'immerge in Dio. Grazia e fede sono due attività, che si compiono e adeguano in un atto solo. E, nondimeno, non lo sono nel senso, che l'una sia, e possa essere, senza dell'altra. Tolta la grazia, non ci è rivelazione; e, tolta la fede, la rivelazione e la grazia sarebber frustranee. Ci vuole un lavorìo

subiettivo dell'uomo, perchè egli si approprii la rivelazione, e faccia sua la grazia; donde, per notarlo di passaggio, si vede che rivelazione e grazia non sopprimono la libertà umana. Ma ci vuol poi pure l'efficacia obiettiva di Dio. Se Dio non fosse, se ei non fosse ito via via muovendo l'uomo, e, s'intende, muovendolo nell'intimo suo e per modi spirituali, la religione e la sua storia non sarebbero già una malattia, un'allucinazione dell'umanità, come oggi si dice; ma semplicemente e puramente non sarebbero mai state.

Il rivelarsi dello spirito infinito nel finito, e l'unificarsi della natura umana con la divina, è il fondo fondo, l'intima essenza di ogni religione. Però in nessuna religione codesto processo è intero e perfetto come nel Cristianesimo; avvegnachè in esso soltanto Dio si sia fatto conoscere come spirito e allo spirito. E s'è fatto conoscere così, mediante il Cristo. Certo, in sè il riconciliarsi, l'unificarsi dell'uomo con Dio si fonda sull'unità essenziale e radicale dello spirito finito e dell'infinito. Ma la consapevolezza di tale essenza spirituale comune a Dio e all'uomo, la certezza quindi dell'unità, e della possibilità di svolgerla e realizzarla, non si fa viva nella coscienza umana, se non in quanto siffatta unità si mostra già come storicamente data, come una determinata realtà apprensibile, intuitiva, come un fatto vivo e presente in una personalità singola. E questa personalità è il Cristo. Il Cristo è il Figliuolo di Dio; è l'UomoDio. In quanto tale, egli pone come obiettivata, come personificata, l'unità della natura umana e della divina; afferma praticamente la relazione vera religiosa del

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l'uomo con Dio, ch'è relazione di spirito a spirito; diventa, perciò stesso, il principio, il mediatore necessario della redenzione e della riconciliazione dell'uomo con Dio. Con la fede nella persona e nell'azione di lui, nella sua vita e nella sua morte, l'umanità intuisce la sua essenza divina, la sua destinazione spirituale, si accorge della sua capacità a redimersi dalla colpa, a vincere il contrasto, l'opposizione, che da Dio la divide, accoglie in sè la sicurezza di potersi, pur di volerlo, pur di assorgere dalla natura allo spirito, ricongiungere e identificare con Dio. Qui, in questo aver concretamente realizzato il supremo ideale della vita religiosa, è l'idea, la verità della persona divina del Cristo (1).

Senonchè, per profondo che tal concetto sia, ci è il pericolo grave, che si finisca per reputare il Cristo una simbolica personificazione, una proiezione fantastica di una esigenza astratta e ideale, rigettandone la personalità storica, come cosa non reale, come un che d'indifferente e superfluo. Nè il pericolo è fittizio; avvegnachè, è notevole, non abbiano saputo cansarlo specialmente parecchi tra i rappresentanti della famosa Scuola di Tubinga; tra codesti uomini, innanzi ai quali noi dobbiamo, del resto, inchinarci, come innanzi ai veri e grandi maestri della scienza storica, piaccia o no ai moderni storici positivisti, che con fanatico esclusivismo vogliono bandito dalla storia ogni procedimento speculativo. La

(1) Rimando chi voglia informarsi con alquanta maggiore particolarità dell'argomento ai miei Studii Critici sulla Filosofia della religione (Napoli, 1887).

cagione di ciò è da apporre alla fondamentale intuizione storico-filosofica onde la Scuola muove, la quale si lascia facilmente trarre a conclusioni esagerate e fallaci. L'intuizione è, che la storia in generale, come quella della religione e del Cristianesimo in particolare, è il prodotto di una dialettica immanente, intimamente operosa nell'umanità e nello spirito, per la quale ciò che in questi via via si muove e si leva a svolgimento e realtà, è la natura, l'essenza, l'idea loro stessa. Sulla base d'intuizione siffatta, non doveva parer difficile il concludere, che, se è l'idea dell'umanità e dello spirito il fondo fondo di tutto, ad essa sola fosse da attribuire intera la verità, e, a petto di essa, i dommi cristiani, e primo il cristologico, non fossero che un simbolismo rappresentativo, un semplice travestimento mitico e fantastico. E non meno poi doveva parer naturale lo statuire una specie di panteismo del processo, l'abbandonarsi alla concezione di un divenire indefinito, nel quale, al di sopra della vicenda del flusso universale, unica cosa permanente fosse l'idea dell'umanità e dello spirito; sicchè dommi, credenze, e tutto il contenuto concreto e positivo del Cristianesimo, s'avessero a disciogliere nei dati di codesta idea, e fossero avviati a volatilizzarsi, a sfumare, nella forma di una quale che siasi speculazione metafisica.

Di cotale indirizzo, certo, è lo Strauss il massimo rappresentante: è lui che vi segna il punto di culminazione. Ma già il grande maestro della Scuola, Baur, non se ne tenne lontano tanto, che qui e là non vi dèsse dentro. E vi hanno poi altri discepoli, per citarne qualcuno, il Lang, lo Zeller, il Pfleiderer, i quali benchè con certa

peritanza e circospezione, lo seguono, e se non partecipano schiettamente ai risultati cui lo Strauss è giunto, vi si accostano di molto. Quali, rispetto al Cristo, codesti risultati siano, si può vederli, come in sintesi rapida, raccolti nella conclusione della sua prima Vita di Gesù.

Strauss dice:

<< La suprema parola di tutta la << Cristologia è questa: quale soggetto dei predicati attri<< buiti dalla fede al Cristo è da porre, nel luogo di un << individuo, una idea, non alla Kantiana, astratta e su

biettiva, ma concreta e reale. Le qualità e funzioni << del Cristo applicate ad un individuo, all'Uomo-Dio, și << contradicono: applicate, in vece, all'idea della specie, << si accordano ed armonizzano insieme. È l'umanità l'u<<nione di due nature: il Dio diventato uomo, l'infinito « che s'è estrinsecato nella finitezza, ed insieme lo spi<< rito finito, che si ricorda della sua infinitezza: è essa <«< il figliuolo della madre visibile e del padre invisibile, << della natura e dello spirito: è essa il taumaturgo, il << facitor di miracoli, in quanto nel processo della storia. << umana lo spirito in modo sempre più pieno e com

piuto s'impadronisce della natura e la domina: è essa < l'essere impeccabile, in quanto il corso del suo svolgi<mento è senza colpa, mentre l'impurità e il peccato ade<riscono all'individuo soltanto, e nel genere in vece e << nella sua storia sono tolte: è essa colui che muore, che << risorge e che ascende al cielo, in quanto la sua vita << spirituale, negando la sua naturalità, diventa sempre « più alta ed energica, e, risolvendo la finitezza sua

come spirito individuale, nazionale e mondiale, si sol

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