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fu formulata dalla antichità. Si pensava che il diritto, la giustizia, la morale, tutto doveva cedere innanzi agli interessi della patria. È pertanto un errore grandissimo il dire che l'uomo nelle città antiche godesse di libertà. Egli non ne aveva neppure l'idea; egli non credeva che potesse esistere un diritto innanzi alla città ed ai suci Dei. Aver dei diritti politici, votare, nominare dei magistrati, poter essere arconti, ecco ciò che si diceva avere la libertà (1), Questa conclusione apparisce come una contraddizione con ciò che abbiamo detto in principio che l'essenza dello Stato greco è fondata sul principio della subbiettività. Ma nel fatto non vi ha qui contraddizione alcuna ma solo un imperfetto sviluppamento del princi pio subbiettivo. La libertà che nel modo più grande può esser realizzata nello Stato ha due parti principali e cioè: La libertà dello Stato stesso e per conseguenza della comunità come tale e la libertà dell'individuo come tale di fronte alla comunità. Ai greci si presentò il subbiettivo principio solo nel primo punto di vista.

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L'AVVENIRE DELL'ESTETICA

(Cont. e fine - V. fasc. precedente)

Certamente tali idee hanno molto di vero, ma errerebbe chi le accettasse senz'altro. Nel campo dell'arte succede come nel campo della politica e della religione. Per un monarchico assolutista tutto va alla peggio negli Stati retti a repubblica democratica. Per un cattolico convinto le altre religioni non potranno mai condurre gli uomini alla vera civiltà. Un innamorato dell'arte antica troverà poco lodevole l'arte moderna; uno che abbia abituato l'occhio alla ricca architettura indiana e che l'abbia studiata con amoroso entusiasmo, troverà povera e fredda l'architettura greca. Ma per giudicare delle opere d'arte bisogna procedere con criterj molto vasti e punto esclusivi; bisogna badare che le opere d'arte sono varie e distinte, secondo i popoli e le epoche storiche, e che l'arte in genere è un prodotto della vita civile che l'uomo. custodisce fra le cose più care e più necessarie. Per questo l'arte non potrà mai morire. La religione non morirà, perchè l'uomo perpetuamente aspira all'ignoto, alla felicità, alla suprema giustizia. La metafisica vivrà

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come sforzo supremo della ragione, come integrazione della scienza, come bisogno che ha lo spirito umano di sollevarsi sopra le leggi dell'esperienza, per ismarrirsi fra le nubi della possibilità e della probabilità indefinite. L'arte pure vivrà, finchè ci saranno dolori e noie nella vita, finchè ci saranno affetti e sentimenti, e la scienza non sazierà tutto l'uomo ed esso avrà bisogno d'illudersi, di compiere il vero fantasticamente. Possono variare le forme religiose, le scuole di metafisica, può scomparire un intero mondo artistico. Ma la religione, la metafisica, l'arte rimarranno, perchè incardinate cɔi bisogni supremi dell'uomo.

Lo spirito d'osservazione scientifico è opposto allo spirito d'osservazione dell'artista. Ciò è ben vero. L'artista contempla con occhio ben diverso da quello dello scienziato il cielo, la terra, gli uomini. Ma un'altra cosa è il credere che in processo di tempo la scienza spegnerà l'arte. L'arte batte un cammino distinto dal cammino scientifico. Anche l'arte sente gli influssi scientifici, ma simili influssi non la uccidono, piuttosto servono a fecondarla. Il cielo di Galileo e di Newton non è meno poetico di quello di Tolomeo, tutt'altro; come il sole del Secchi non è meno fecondo di ispirazioni artistiche che il sole della mitologia. Ci vuole la mente che sappia vedere la poesia del cielo e quella del sole, che sappia interpretare la divina eco delle cose che si ripercote nell'animo nostro. Che importa che il sole, la luna, i pianeti, le

stelle non sieno più divinità, non abbiano più una leggenda di odi e di amori, di gioie e di affanni, se ancora sono legati alla nostra terra, e il loro splendore e i loro viaggi ci fanno leggiadramente fantasticare? L'uomo sente e sentirà sempre la bellezza dei cieli, anche l'astronomo, compiuti i suoi calcoli, prova il bisogno di oltrepassarli artisticamente, di animare i cieli, di personificare gli astri, di immaginare mondi ignoti in cui si soffre, si ama, si desidera come quaggiù. L'immensità degli spazii percorsi da corpi enormi di grandezza, i cui moti sono regolati mirabilmente, se la paragoniamo alla piccolezza della terra e alla miseria nostra, è certo assai più estetica per se stessa dei cieli tolomeici. La ginestra del Leopardi basterebbe a dimostrarci quanto possa riescire poetica la nuova intuizione dell'universo. Il Cosmos dell'Humbold ha pagine che valgono dinanzi all'arte non meno che dinanzi alla scienza. La poesia dell'arcobaleno non iscomparve col Newton, come il fiore resterà sempre bello anche dopo le analisi del botanico e del chimico. L'arcobaleno coi suoi leggiadri colori, colla sua vezzosa curva che si designa superba nei cieli attraverso le nubi, i fiori esseri fragili, soavi, che hanno tanta leggiadria nei petali, negli stami, nei pistilli, tanta potenza di profumo e vivacità di colori, saranno sempre cari al pittore, offriranno sempre al poeta gentili ispirazioni, inviteranno sempre uomini e donne ai più dolci sogni. La fanciulla interroga ancora la margherita nei dubbii cari e affannosi dell'amore, e ancora crede alla risposta di essa, quasi che il fiore capisca i segreti dell'anima umana e senta e ami come tutte le creature sen

sibili. Gli antipodi scoperti dal Colombo, se tolsero l'incanto di regioni fantastiche, ci diedero l'America, terra vergine e bella ne'. tesori della sua vegetazione, bella negli ampii fiumi e ne' monti sublimi, ancor più bella per la libertà, per l'industria, per la febbre del lavoro, per le lotte dell'indipendenza.

Gli studi delle scienze naturali, i progressi della medicina, possono senza dubbio giovare al poeta del pari che al pittore. Il primo ne trarrà profitto per iscoprire nuovi orizzonti alla poesia (non alla didascalica, ma alla vera poesia), per cogliere meglio i segreti legami delle cose e d'esse cogli uomini,per trarre nuova materia per le sue integrazioni fantastiche, per descrivere con miglior conoscenza della natura. Il pittore si giova, come si è sempre giovate, di simili studi. Un pittore di figure umane, sopratutto se le dipinge nude, deve sapere, almeno praticamente, l'anatomia, conoscere le tinte convenienti al cadavere, l'espressione dei sentimenti, degli affetti, delle passioni, l'atteggiarsi dei corpi oppressi dai morbi. Se avrà qualche nozione di scienza naturale, sarà più cauto e preciso nel dipingere le piante, i flori, gli animali; saprà sceglierli oltrechè con criterio artistico, anche con criterio scientifico, non mi darà una natura convenzionale, ma una natura viva e vera.

Moltissimi sono i vantaggi che gli studi della psicologia hanno recato alle arti della parola, e molto più quelli che potranno recare ad esse in avvenire. Si può dire:

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