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« leva alla sua unità col celeste spirito infinito. La fede << nel Cristo, specie nella sua morte e nella sua resur

rezione, è giustificazione dell'uomo innanzi a Dio: ciò « vuol dire, che, come la negazione dell'essere naturale e sensibile, ch'è negazione dello spirito, epperò come la << negazione della negazione è per l'uomo unica via per « una vera vita spirituale; così solo col vivificare in sè << l'idea dell'umanità il singolo diventa partecipe del<< l'essere Uomo-Dio proprio alla specie. »

Con questa idea cristologica Strauss par di tornare, rimettendole a nuovo, alle forme trascendenti e fantasiose di metafisica cosmogonica proprie allo Gnosticismo, precipitando nelle aberrazioni, nei vaneggiamenti peculiari a quest'ultimo, e daí quali esso ha tratto la sua celebrità. Il male e il falso, si badi, non stanno in ciò, che la Cristologia diverga dalla ingenua fede del credente e dalla formola ecclesiastica. S'intende, il comprendere il Cristo nel suo spirito implica sempre un approfondirsi nell'intimo della dottrina della Chiesa e della rappresentazione della fede, per scrutarne la verità essenziale. E questo non si può fare, senza in qualche guisa spezzare dell'una e dell'altra l'invoglia, senza indurre nelle forme intuitive, sentimentali e, quasi direi, istintive, entro cui si stanno racchiuse, certa trasformazione, certo sollevamento ideale e spirituale. Il male in vece e il falso stanno in ciò, che il contenuto del domma cristologico vien disciolto in una serie di vuote astrazioni dell'intelletto. Il Cristo, la sua persona, la sua concreta efficacia etico-religiosa, s'invertono qui nell'esplicamento della vita naturale del genere umano. L'uomo

nella immediatezza della sua naturalità è già Dio, è già unità dell'umano e del divino. Rapporto e processo religiosi si riducono quindi ad un fatto subiettivo, anzi al tutto naturale, dove non è alcuna azione obiettiva nè alcuna mediazione spirituale e divina. Il che in fondo importa questo, che la realtà del rapporto religioso è soppressa; e il processo di conciliazione e di unificazione tra l'uomo e Dio è dichiarato vacuo e illusorio. Così il Cristo e il Cristianesimo diventano nella storia mere accidentalità, un che di casuale e di evanescente. Al più al più, li si può considerare quali creazioni mitiche, quale proiezione antropologica, nella quale l'umanità effigia e riflette il corso e l'andamento del suo essere naturale. E, in quanto formazione mitica e leggendaria, si comprende come in sè non abbiano niente di sostanziale nè alcuna ragion d'essere. In maniera analoga alla suprema conclusione degli Gnostici, che nella conoscenza pneumatica riponevano la vera ed unica forma di redenzione, la conclusione dello Strauss è, che la realtà del Cristo si dilegua, svanisce nell'idea dell'umanità; sicchè basta sollevarsi alla cognizione teoretico-speculativa di questa. Di tutti i modi di critica ch'è dato esercitare sul domma del Cristo, il meno accettevole è, certo, questo, il quale, poichè scorge nel fondo del domma annidarsi idee di valore assoluto, universale, metafisico, crede ed afferma che tali idee siano destinate a farsi valere per sè, ad esistere come entità pure del pensiero, nel loro essere astrattamente logico e speculativo, indipendentemente dalla lor forma storico-religiosa; e si rifiuta di riconoscere, che la forma in che la persona del Cristo le rap

presenta e realizza, porge a quelle idee, a quelle verità, un'esistenza, per la coscienza religiosa, pratica, concreta, storicamente efficace, eternamente indistruttibile e necessaria.

Da questo punto di vista accade d'integrare il concetto del Cristo innanzi esposto. Chi abbia creduto che tal concetto, pel cogliere che esso fa il contenuto spirituale del Cristo, assicuri bensì la persona ideale, l'idea, ma lasci cadere la persona storica, è bene che si disinganni. In realtà, quella determinazione dell'idea del Cristo si riverbera sulla personà storica. E l'assolutezza e la divinità del Cristo ideale rifluiscono sul Cristo stesso storico, e lo investono di un valore del pari assoluto e divino. Nella persona l'idea, la verità, s'incarna, assume corpo e realtà. E, in grazia della persona, l'idea non è un'ombra, un vacuo fantasma, un'astrazione dell'intelletto, ma è scesa, è penetrata effettivamente ed attuosamente nel mondo e nella vita. E così è che l'idea del Cristo, il Cristo ideale, è inseparabile dalla persona del Cristo, dal Cristo storico. E se alla coscienza religiosa e cristiana è essenziale quella verità ideale, non lo è meno questa persona storica.

In quanto persona storica, il Cristo indubbiamente ci si offre da prima sotto aspetto umano. La sua intuizione del mondo e della vita riposa sul fondamento di una esistenza realmente umana. Quale uomo, egli non ha negato la natura, come farà più tardi la fede rigida di alcuni discepoli suoi. Nella natura scorge la santità della creazione. La vita per lui è quella che si svolge nell'adempimento dei doveri naturali. Ha combattuto bensì, senza

esitazione, e trionfato dei contrasti del mondo; e a tal riguardo non s'incontra nella storia altra individualità che gli si possa paragonare. Però, così facendo, serba libero il vedere circa alle cose del mondo, e intero il senso divino dell'amore per gli uomini. E nell'offrirsi in olocausto per questo amore appunto, va soggetto a tutte le lotte interiori, a tutte le più forti commozioni, di cui cuore umano fosse capace; nè si vede, veramente, come senza queste lotte e commozioni avrebbe potuto esservi sacrifizio divino. Chi faccia capo alle notizie vive dell'antichità non può dubitare, che il Cristo su tutti coloro che testimoniano di lui, facesse impressione di un uomo, il quale, a parte le azioni miracolose, vive come un altro uomo. Lo stesso quarto Evangelio, comunque basato sulla fede, che l'eterno verbo rivelatore di Dio si fosse in lui fatto carne, non ha potuto nè voluto nascondere questo fondo umano. Del resto, stan lì manifeste le prove che egli, in quanto uomo, non si separa totalmente dal concatenamento del processo storico. Sicchè non è indipendente dalle vedute del suo tempo, le quali poscia il mondo ha superate, ovvero la storia ha messe da banda. In armonia con le idee dominanti, crede nella potenza diabolica, e pensa anch'egli, che il compimento escatologico delle cose lo avrebbe già visto la generazione sua contemporanea. Bisogna aggiungere, che, per sereno e largo che fosse il suo sguardo su tutte le umane relazioni, per quanto piena e ricca la sua maniera di concepire la natura, per quanto si mostrasse di tutti gli uomini il più umano nell'amore e nell'apprensione. e riconoscimento di ogni cosa buona; pure

non sembra, che la vita sua sia ita scevra da quella certa unilateralità, che è impronta caratteristica delle individualità energiche e possenti. L'andamento delle cose e ogni legame umano e sociale si direbbe, che ei li voglia rigidamente e inflessibilmente subordinati alla necessità divina, e agli impulsi che ne derivano, e all'esito finale che se ne deve aspettare. Il che, per altro, è affatto naturale, poichè segno suo altissimo era la fondazione del Regno di Dio. E, a petto di tal bene supremo, ogni altro bene della vita doveva scadere; e, a raggiunger quello, nessuna rinunzia, nessun sacrifizio poteva parere troppo grande.

E, appunto da questo lato, dal lato dell'intento supremo cui egli prosegue, l'aspetto umano in lui è già superato. Nell'atto che il Cristo apparisce uomo nato e cresciuto nel mezzo del suo tempo e del suo popolo, da lui pure e in lui prendono radice quella sublime idealità religiosa e quello spirito di libertà interiore, che diventano i segni distintivi della comunità da lui stabilita. Non è a credere, come bizzarramente è piaciuto a Hartmann di sostenere, che codesti caratteri specifici siano stati al Cristianesimo assegnati non dal Cristo, 'ma dall'Apostolo Paolo. Certo, il grande e proprio lavoro dell'epoca apostolica fu di schiarire l'idea suprema dell'Evangelo e di affrancarla dai legami del giudaismo e della legge; e in cosiffatto lavoro nessuno più strenuo campione dell'Apostolo Paolo. Ma i concetti suoi questi non li attinge già da una rappresentazione che, circa al Cristo e al suo pensiero, ei si fosse, per avventura, formata di suo capo. In vece, li deriva diret

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