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BIBLIOGRAFIA

Les principes du droit. — Par EMILE BEAUSSIRE.
Paris, Félix Alcan, 1888.

Benchè già da qualche tempo si noti un certo risveglio negli studii di filosofia del diritto, pure è incontrastabile che nell'età nostra essi si possono dire assai negletti quando si pensi all'interesse vivo, che in altre et hanno destato, alle frequenti e calorose dispute feconde di tante e così utili verità, di cui allora furon cagione.

Eran quelli giorni penosi di servaggio: la causa del potente era la sola che trionfava, e il diritto ridotto ad alcun che senza contenuto, a un nome vano privo di significazione, che solo serviva a coprire ipocritamente le violenze del più forte. Si capisce di leggieri che in tali condizioni i pensatori, i filosofi si rifugiassero desiderosi verso quell'ideale di giustizia, ch'era ben lunge dall'esser attuato e discutessero le questioni giuridiche nei loro ultimi fondamenti, nei loro puri e sereni principii. E quelle investigazioni, e quelle discussioni avevano un significato sublime che oggi non possono aver più. Chiarire le basi razionali di vari istituti era scoprire, indicare un termine eloquente dei paragone a tante usurpazioni che ne poneva in luce il loro illegittimo carattere; era quindi un combattere non in un campo meramente teoretico, ma nella battaglia reale e faticosa della esistenza. Poichè il diritto positivo si sviluppava in una antitesi quasi completa col diritto naturale, l'illustrare l'indole di questo era una dimostrazione del cammino Jungo e difficile, che l'umanità aveva a percorrere per recuperare la sua libertà, e un indiretto, ma vigoroso incitamento a intraprendere una tale conquista. Fu questa appunto l'impor

tanza di quella celebre scuola, che cominciò in Olanda con Ugo Grozio ed ebbe in Francia la sua più incalzante manifestazione con Giangiacomo Rousseau, e che fini la fase più imponente della sua vita quando le idee da lei sostenute ritrovarono una attuazione più o meno perfetta nella dichiarazione dell'89. Ma ai nostri giorni, in cui noi sentiamo quel terribile conflitto eliminato per sempre, l'attività molteplice che si rivolgeva un dì agli ardui problemi della filosofia del diritto s'è affievolita, e tanto che può dirsi quasi spenta. Eppure il valore reale di questa disciplina è ben lontano dall'essersi perduto: perchè se gli scopi grandiosi a cui le generazioni passate hanno rivolte i loro sforzi, sono oramai raggiunti, rimangono tuttavia questioni numerosissime nell'ordine giuridico che richiedono una soluzione razionale prima di ricevere una sanzione positiva. Il diritto non è alcun che di fisso, di perm1nente; è invece un moto eterno e continuato. E la via su cui tale progressione si compie è indicata appunto da questa scienza, che si studia di mostrare gli istituti in quella perfezione ideale, a cui deve cercare di avvicinarsi più che sia possibile la disposizione concreta della legge. Un terreno quindi ancora vergine starà sempre innanzi a queste investigazioni; ed è un male che ai giorni nostri sorgano così pochi a dissodarlo e renderlo produttivo. I rari libri, che si stampano di filosofia del diritto, son quasi tutti riassunti storici di teorie che gli antichi scrittori formularono su antichi problemi: ma difficilmente ci si ritrovano vedute originali, e efficienti discussioni sui quesiti, sui dubbi che si presentano nello svolgersi della vita odierna. - Data dunque l'importanza attuale di questo genere di ricerche, e la loro scarsezza, mi pare cosa utile ch'io segnali all'attenzione dei lettori questa recente e pregevole opera di Emilio Beaussire, il quale senza pretendere di scrivere con essa un intero e completo trattato, v'ha pure esaminate con profondità e facilità insieme le questioni che massimamente possono interessare oggi nel campo della filosofia del diritto portando in tale studio un geniale contributo di nuovi e forti pensieri.

Il Beaussire è uno spiritualista; egli lo dichiara in modo esplicito (pref., pag. II); ma uno spiritualista non intransigente,

che accoglie con coraggio quelle conclusioni della scuola opposta, le quali per la loro verità inconfutabile non si possono disconoscere senza mostrare un animo propenso alla più caparbia e puntigliosa difesa di una vana tradizione, che ad avanzarsi sul cammino infinito della scienza collo scopo di favorire gli interessi reali della società. Per ciò che riguarda più particolarmente l'indirizzo filosofico-giuridico, egli non è alieno d'accettare i fondamenti della scuola del diritto naturale, portando, già s'intende, anche a questi le alterazioni necessarie a renderli compatibili collo spirito dei nostri tempi. Questa tendenza si rivela fino dal nome, ch'egli dà a quel complesso di principii, i quali formano ciò che più comunemente si chiama filosofia del diritto. Da lui questa scienza è sempre appellata diritto naturale: e tale è infatti la prima denominazione che essa ebbe, quando appunto col Grozio apparve come scienza indipendente. Nè è falso il denotarla così perchè in fondo è precisamente dalla natura dell'uomo che si origina e si determina il ius; ma oggi viene preferita l'altra espressione, perchè è ritenuta più comprensiva, e più atta a disegnare il carattere speciale delle indagini che questa disciplina si propone. Inoltre l'Autore, come avevano fatto i seguaci di questa istessa scuola, ammette uno stato di natura: ma non è più lo stato di natura preesistente estrasociale da cui si esce o per l'appetitus societatis, come vorrebbe il Grozio, o per il sentimento della paura, come vorrebbe l'Hobbes, o infine per mezzo del contratto sociale, come fu concepito dal Rousseau; ma uno stato di natura che coesiste permanentemente, attualmente collo stato sociale. E in questo perpetuo dualismo trova posto, afferma il Beaussire, anche la teoria del contratto: dacchè il singolo non può vivere in modo assoluto in questa sfrenata condizione di natura, ma è obbligato a stringere un tacito patto colla società e limitare con esso la propria indipendenza, a sacrificarsi fino e un certo punto a lei, per assicurare un tranquillo svolgimento alla propria attività. Dato il presupposto di uno stato di natura, si capisce come l'Autore non solo riconosca un contenuto proprio, indipendente nel diritto naturale, ma lo consideri anzi come il vero e solo diritto. E tale è realmente. La scuola storica coll'Hugo e col Savigny ha

nelle sue esagerate conclusioni dato una falsa spiegazione a questo quesito. Il vero diritto non è quello che si muove, si agita nella storia; esso non ne è che una immagine più o meno lontana, una oggettivazione più o meno' pura; il vero diritto è quello che sta scritto nella stessa nostra coscienza, quello che è congenito con noi stessi, e che con noi si elabora e si perfeziona.

Con molta vivacità il Beaussire confuta le accuse al diritto naturale che furon mosse in ispecie dal Burke in Inghilterra, e da molti altri i quali insieme a lui rimasero spaventati dalla parte preponderante ch'esso ebbe nella Rivoluzione, e dalla sua legislativa manifestazione nella famosa dichiarazione dei diritti dell'uomo.

Io ho sempre creduto che attaccare sotto qualsiasi forma questo celebre atto e i principii, che l'hanno creato, sia la medesima cosa che negare noi stessi, l'ambiente, la vita, che il nostro spirito ha per così lungo tempo vagheggiato e effettuato dopo tante fatiche. È impossibile rivolgersi al più piccolo fra gli Stati del mondo civile sulla fine del secolo scorso, senza che noi vi vediamo sviluppati e pronti a sbocciare i germi delle idee, che furono esposte in quello scritto e poi confermate eternamente col suggello del sangue. Anzi in alcuni esse sono già passate nell'orbita giuridica, e tramutate in una prescrizione della legge. In Inghilterra, negli Stati Uniti per esempio noi vediamo già sancita gran parte di quelle libertà, che furon poi riconosciute in Francia nell'89. Ma ciò, che forma il pregio inestimabile di questa dichiarazione, egli è di aver parlato non tanto al cittadino, quanto all'umanità; di aver preteso la concessione di quei diritti non come una concessione politica, ma come una concessione naturale; per un titolo, cioè, che non era stato in nessun tempo prima d'allora presentato a un usurpatore: la qualità di uomo. È adunque una vana impresa quella di voler colpire il ius naturae, attraverso l'atto della costituente francese: e più che vana, ingiusta, come ben osserva il Beaussire, se a tale scopo in luogo dei principii universali, che la determinarono, si accetta la falsa teoria del Burke, che aminette la sola legittimità della tradizione.

Il nostro autore esamina poi minutamente il concetto del diritto. Considerandolo nel suo duplice aspetto, esso è o la qualità di una persona per cui le si deve qualcosa, oppure la garanzia necessaria dell'azione. Ed è questa la distinzione già da antico stabilita dai giuristi, che separano diritto in senso subiettivo, da diritto in senso obiettivo; l'uno che si mostra come facultas agendi, l'altro come norma agendi. Con ciò non si dà la definizione del diritto, ma una semplice nozione di esso, quale sorge dalla stessa esperienza che è quindi comune a tutte le scuole. Le divergenze più grandi si verificano invece quando si vuole definire realmente il ius e precisare il suo fondamento. Il Beaussire non enumera che poche delle teorie, che nel corso dei secoli si svilupparono sopra questo problema: egli ne cita alcune, che non hanno molta importanza, e ne tralascia parecchie, e mi pare a torto, che, come quella del Leibnitz e del Wolfio, occupano un luogo altissimo nella storia della filosofia del diritto. Dopo aver validamente confutati i sistemi da lui menzionati, viene ad esporre quello ch'egli accetta per lui la ragione ultima del diritto è la garantia del dovere. Questa idea potrebbe essere svolta in modo più ampio dallo scrittore, nondimeno l'intenzione sua è abbastanza chiaramente rivelata: è una teoria che in fondo concide con quella che considera il diritto come la garantia della soddisfazione di un bisogno. Essa è accettabile senza restrizione, perchè ricerca la base del diritto nell'orbita stessa della nostra natura, e perchè raccoglie in un'unica formula quanto di vero contengono le diverse opinioni, che i filosofi e'i giuristi emisero su tale questione.

Circa la divisione dei diritti il Beaussire trova buona quella che li classifica in diritti perfetti e in diritti imperfetti; però preferisce per la sua maggiore determinazione il criterio distintivo cbe procede dalla stessa definizione data dal Grozio, che disse il diritto la qualità di fare o di avere qualche cosa. Dunque il diritto in genere si può affermare o come diritto di ritenere, o come diritto di fare. Donde alla persona possono competere due specie di diritti: o il diritto al rispetto, oppure il diritto all'assistenza (pag. 51). In proposito di questo diritto all'assistenza egli combatte giustamente il signor Baudrillart,

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