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scienza storica rispetto a quella data. Questo stato, questo risultato è precisamente tale quale noi le conosciamo, e però anche qui quello che conosciamo lo conosciamo quale è in sè stesso, è una cosa in sè » (1). Parlando dell'incertezza nostra circa il valore delle nostre supposizioni, scrive: « Ogni qualvolta noi siamo consapevoli di tale incertezza, dacchè il conosciuto non è altro qui che la incertezza medesima, e questa è tale in effetto quale la conosciamo. Sicchè anche il conoscore che una data cosa in sè, non è conoscibile, è conoscere una cosa, in sè » (2).

Il Bonatelli ricade di nuovo, come il lettore se ne sarà già accorto, nella confusione dello stato della nostrra mente di fronte ad una data cognizione col contenuto obbiettivo della cognizione stessa. Nell'esempio recato del fatto storico, la cosa in sè è l'anno, il giorno, l'ora ecc., in cui il fatto è avvenuto; s'io mi persuado di non sapere questa data in modo definitivo, non vuol dire che la data, ipso facto, sia diventata precisa, assoluta; la relatività della cognizione rimane la medesima quantunque io sappia che la critica storica non mi possa dare maggiore precisione, esattezza nel determinarla. Nelle nostre supposizioni, altro è l'oggetto della supposizione, altro la coscienza della nostra supposizione, ossia l'incertezza. Dubbio, probabilità, certezza sono stati della nostra mente, i quali entrano a formare la cognizione. compiuta, ma non istabiliscono il contenuto delle cogni

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zioni medesime (1). Che tutti gli atti e stati della nostra mente, e quindi anche il dubbio, la probabilità e la certezza, possono diventare oggetti del nostro pensiero, non sarò io quello che lo neghi: ma questa è questione ben diversa da quella che ora si discute. Sia che s'accetti l'una o l'altra interpretazione del principio che il Bonatelli vorrebbe « messo come assioma a capo d'ogni disquisizione che s'istituisca intorno al conoscere > esso non ha valore alcuno contro la dottrina della relatività della conoscenza: la prima ci porta ad affermare, con diverse parole, la dottrina che si vuol confutare; la seconda come quella che prova troppo, prova in pari tempo niente..

Il prof. Angiulli nel suo pregiato lavoro « La Filo sofia e la scuola » (2) accetta la parte positiva della opposizione che il Bonatelli fece alla dottrina della relatività della conoscenza, ma se ne serve per conseguire uno scopo ben diverso da quello voluto dall'autore. Il

(1) Quando la critica storica mi conduce a stabilire in modo definitivo che un dato fatto è avvenuto tra il mille e mille e cento, il contenuto della mia cognizione circa la data è sempre relativo al numero dei documenti che abbiamo. Io non conosco la cosa qual'è in sè (la data), bensì lo stato presente della critica storica. Ma questo stato presente della critica storica lo conosci quale è in sè? Come si vede qui si cambia il contenuto della mia cognizione; e a questo cambiamento potrei farne seguire un altro e via all'infinito. Di più lo stato della critica storica per rispetto alla data, equivale, fatte le debite differenze, al conoscere in sè alla potenza intellettiva, all'intelligenza, onde si potrebbero rinnovare qui le distinzioni già indicate tra il valore dell'intelligenza, dell'atto intellettivo e dell'oggetto o contenuto della singola cognizione.

(2) P. 234 e seg.

Bonatelli, onde le cognizioni relative diventino assolute, domanda almeno un concetto vero di verità assoluta; l'Angiulli crede di poter fare a meno anche di questo concetto. E per vero se basta sapere che una cognizione relativa sia tale, perchè questa ipso facto, diventi assoluta, l'Angiulli non ha tutti i torti: io ho tutte cogaizioni relative, ma so che queste sono relative, dunque, in virtù del principio, esse non sono più relative, ma assolute e, senza punto venir meno alla dottrina della relatività della conoscenza, può scrivere con non minor ardore di un metafisico puro sangue : « Il reale in relazione a noi è quello che appare a noi, perchè in fondo è il reale che si svela a sè stesso. Anzi è, quando appare a noi, quello che esso è quando non appare; perchè non possiamo, senza dar corpo agli idoli dell'immaginazione, trasfigurare in due entità lo stesso oggetto, in quanto è conosciuto in quanto è sconosciuto (1). » Che se il lettore tien presente che l'Angiulli crede di giustificare tali metafisiche espressioni, in virtù dei principii del Bonatelli da noi esaminati, senza punto recedere dalla relatività della conoscenza presa nella sua più larga interpretazione potrà formarsi un concetto della enorme confusione nella quale incorre allorchè non si distingue lo stato della mente relativo ad una cognizione relativa, dal contenuto di questa medesima cognizione (2).

(1) Op. cit., pag. 234.

(2) L'Espinas nella Revue philosophique parlando dell'opera dell'Angiulli ritiene come un progresso fatto compiere al positivismo l'aver l'Angiulli, sulle orme del Bonatelli, trovato l'assoluto nel regno stesso del relativismo.

Qualunque valore possano avere le nostre osservazioni critiche circa la parte positiva dell'opposizione che il Bonatelli ha fatto alla dottrina della relatività della conoscenza, crediamo per altro ch'esse abbiano giovato a chiarire il grave pericolo, che si corre e le quasi insuperabili difficoltà che s'incontrano allorchè, volendo risolvere il problema della conoscenza, conoscenza, l'accettiamo quale il Kant e il relativismo della filosofia positiva ce lo propongono.

Il lettore può ora da sè giudicare delle ragioni che indussero il prof. Ferri a dare forma diversa della Kantiana al problema della conoscenza per servirsene nella soluzione delle analisi ed osservazioni psicologiche. Talvolta ritornando all'antico, s'è nuovi molto più, se in virtù di questo ritorno, si riesce a sciogliere qualche problema che fa tremare le vene ed i polsi a chi ha l'animo aperto a tutte le virtù. E siccome, in virtù del progresso della filosofia moderna, un'esposizione di un sistema filosofico non ha nessun valore, se lo si scom pagna dalla teorica della conoscenza, così avanti d'esaminare il Rinnovamento della Metafisica fatto dal professor Ferri, riassumeremo brevemente la sua dottrina della conoscenza.

ROBERTO BENZONI Professore di Filosofia teoretica

nella Università di Palermo

Quale uso Cicerone abbia fatto delle fonti

filosofiche greche

Gli studi intorno alle fonti greche, alle quali M. T. Cicerone attinse per la composizione de' suoi scritti filosofici, hanno in questi ultimi tempi attirata l'attenzione di molti filologi e filosofi (1). E sebbene i risultati a cui costoro sono pervenuti, siano in certi punti assai differenti, pare doversi ammettere come cosa probabile che la fonte pel discorso di Lucullo contenuto nelle Accademiche sia stato uno scritto di Antioco di Ascalona intitolato Soso, e per la risposta di Cicerone il libro ерì ñоx (De sustinendis adsensionibus) di Clitomaco cartaginese, nonchè uno scritto di Filone di Larissa. Gli autori greci, dei quali si valse il Romano per iscrivere i cinque libri intorno ai fini, sono Panezio di Rodi, Teofrasto di Ereso, Antioco e altri meno conosciuti. Per le Tuscolane è probabile che attingesse a uno scritto di Filone col titolo λόγος κατά φιλοσοφίαν, che però non e, come vorrebbe l'Hirzel, l'unica fonte (2). L'esposizione della teologia epicurea, fatta nello scritto intorno alla natura degli dei, è deri

(1) Noto fra le pubblicazioni ultime di maggior importanza quella di Rudolf Hirzel, divisa in tre parti e intitolata: Untersuchungen zu Cicero's philosophischen Schriften. Leipzig, S. Hirzel, 1877-1883, e l'altra più recente di C. Thiaucourt: Essai sur les traités philosophiques de Cicéron et leurs sources grecques. Parigi, 1885.

(2) R. HIRZEL, Untersuchungen ecc., III, p. 342-405.

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