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Aristotele distingue nelle cose due principii: la potenza e l'atto, ma non raggiunge la verità per non avere osservato che pure la potenza è attuosa e si converte con certo stato e relazione di attività Epicuro e gli Epicurei si appigliano ai principii dell'essere stabiliti da Democrito, cioè lo spazio e gli atomi coi rispettivi attributi della estensione solida, della figura e del moto. Gli Stoici affermano l'intima unione della forza e della materia in ogni reale, senza uscire dal giro del corporeo, di cui esse costuiscono l'essenza e le differenze fondamentali. Per Plotino l'uno, la mente, l'anima e la materia sono altrettanti gradi o aspetti d'un medesimo principio, che dalla massima unità procede, per emanazione, determinandosi e digradandosi fino alla molteplicità dei corpi. I Padri della Chiesa, i Dottori scolastici e i filosofi del Rinascimento, non ci mostrano niente di nuovo su la natura dell'essere. Il Des Cartes distingue due generi nel reale, la cosa pensante e la cosa estesa, dell'uno dei quali la essenza sta nel pensiero, dell'altro nella estensione. Lo Spinoza ripose la natura dell'essere in una sostanza unica che tutto produce, attiva in sommo grado, ma fornita dei due attributi della estensione e del pensiero. Il Leibnitz la collocò nell'attività e converti la idea dell'ente reale con quella di forza semplice. La posizione del Leibnitz con varie modificazioni fu accettata dal Wolf, dal Kant (nei suoi concetti sulla metafisica della natura), dall'Herbart, dal Maine. de Biran, dal Galluppi, dal Mamiani e dal Rosmini; e i tre ultimi vi fecero cotesta capitale mutazione, che mentre il Leibnitz aveva negato ogni comunicazione fra i reali o le forze, cui egli appella monadi, costoro trovarono nella passività del soggetto percipiente la prova della comunicazione tra esso e l'oggetto percepito, e di qui indussero che fra tutti i reali o tutte le forze vi è scambio di azione, ossia commercio o comunicazione. L'Hegel ha riposto la essenza del reale nella idea, la quale in se è assoluta e indeterminata, da principio si svolge secondo leggi logiche in idea della natura ponendo il fuori di sè con una opposizione a sè stessa, e in fine diventa conscia di sè e allora è spirito; in modo che secondo questa dottrina l'essere o la idea non è la forza o la attività, ma il soggetto di essa. Lo Schopenhauer invece ha ammesso la essenza dell'essere consistere nella volontà, la quale per lui è un istinto

cieco e necessario, è un'attività che si ritrova in tutti gli enti, ma portata al grado in cui merita di chiamarsi volere è la forma per eccellenza di essa medesima attività, tanto che anche la conoscenza deriva da essa. Inoltre vi sono dottrine in cui la essenza dell'essere si pone nel sentimento o nel senso e cotesto avviene in quelle che hanno fatto la Natura animata o fornita di un'anima universale; imperocchè in queste gli elementi hanno in sè un germe di vita e di sviluppo, o meglio sono dotati di senso e da esso portati per istinto o tendenza naturale a congiungersi gli uni con gli altri o ad allontanarsi per movimento contrario simile ad una specie di avversione o di odio. E a questo proposito si ricorda Empedocle col suo principio della amicizia e della discordia, Platone con la sua anima del mondo, Dante pel quale ogni cosa ha un istinto che la porta alla sua meta e nessuna cosa creata fu mai senza amore, il Campanella col suo senso delle cose, il Rosmini con la sua forma dell'essere reale identica al sentimento e con la sua posizione degli elementi animati (XIII).

Da ultimo il Frohschammer, la natura dell'essere reale in sè considerato l'ha trovata nella immaginazione, intendendo per immaginazione una funzione di unificazione mentale, alla quale risponde la attività costruttiva che determina le differenze di forma e di composizione inseparabili dalle specie e dai generi delle cose (XIV).

Quanto a noi diciamo che il reale in sè, tanto esterno quanto interno e considerato sia nella sua natura, sia come causa degli atti che da lui emanano, non può essere altro che la forza, e la attività è la essenza sua, in modo che esistere od essere è essere attuoso od attivo, è un operare od un agire, onde proprietà del reale non è già la quiete o lo stato, ma il moto, inteso questo in senso largo per qualsivoglia operazione. Invero sola la attività può render ragione dell'apparire, del muoversi e del divenire delle cose, dacchè in tutto ciò vi è operazione od azione, non già quiete; e il principio e il soggetto della operazione non si distingue dalla operazione se non perchè la operazione è molteplice, mutevole ed accidentale, e il principio e soggetto è uno, permanente e sostanziale (XIII).

Questa conclusione poi è confermata dalle scienze naturali; dove la attività è considerata come attributo insepara

bile della materia e della vita, e la conservazione e le trasformazioni di essa attività sono proposte come ragioni ultime delle diverse passioni che subisce la materia tanto vivente quanto inanimata. Cotale dottrina, perchè con lo aiuto della esperienza ripone la essenza del reale nella forza-attività, o si appella dinamismo o monismo dinamico fondato su la esperienza. Però con la parola monismo non si vuol dire che vi sia un solo essere o un solo reale, ma che gli esseri o i reali sono molti e sono tra loro numericamente distinti, e che sebbene siano molti e numericamente tra loro distinti, non ostante tutti convengono in questo, che sono forze o attività. Così stabilita e determinata la natura e la essenza del reale in sè, conviene attendere alla relazione che è tra esso e il reale apparente o fenomeno. Siffatta relazione per noi è di dipendenza, cioè, il reale in sè è superiore, anteriore e causa efficiente del reale apparente. Alcuni non si dànno pensiero di determinare questa relazione o negano potersi essa conoscere, e invece ammettono una relazione di corrispondenza, di equivalenza e di trasformazione tra ciò che comunemente si dice interno e ciò che comunemente si appella esterno. Tra costoro si annovera lo Spencer, pel quale nel genere della conoscenza vi sono due specie di fatti, i forti od obiettivi e i deboli o subiettivi, e tanto gli uni quanto gli altri sono riguardati come manifestazioni di un principio assoluto e inconoscibile, chiamato anche forza, come modi mutabili di un medesimo essere. I deboli differiscono dai forti per il grado diverso della loro intensità, sebbene si possano chiamare spiriti o anime o soggetti certe combinazioni individue dei fatti deboli, e corpi od oggetti le collezioni individuali dei forti; ma siccome il loro principio è inconoscibile, noi per atto di fede e per necessità naturale e cieca dobbiamo ricevere gli uni e gli altri come manifestazioni di esso, senza neppure poter decidere quale di questi due ordini merita maggior fede. Invece tra i fatti deboli e i fatti forti vi è relazione di corrispondenza, di equivalenza e di trasformazione, perocchè i forti corrispondono ai deboli, equivalgono loro e si trasformano in essi, in quanto i deboli nascono dai forti, onde gli uni divengono gli altri, e il divenire è comune agli uni e agli altri. Secondo il Taine il fatto interno (événement moral) e il

fatto esterno (événement physique) non sono che un fatto solo, il quale può prendere due aspetti, come sarebbero le due faccie opposte di una superficie, e l'elemento del primo è una sensazione, l'elemento del secondo è un moto, ma col primo di questi elementi, noi attingiamo il fatto in sè stesso, col secondo attingiamo dei segni del primo, onde con le sensazioni e coi movimenti, sia separati sia combinati, noi costruiamo le due faccie dell'universo che sono l'interno e l'esterno. Superiore alla veduta dello Spencer è questa del Taine, perchè secondo essa le cose sensibili, considerate come segni delle determinazioni interne dell' essere, ne sono le apparizioni, e anche in un senso alquanto diverso le apparenze. Per il Lewes il soggettivo è l'oggettivo manifestato in termini soggettivi, l'oggettivo è il soggettivo manifestato in termini oggettivi, in altre parole per lui il soggetto si trova nell'oggetto, e l'oggetto nel soggetto. Per l'Ardigò vi è una sostanza unica o una sola realtà che si manifesta in due forme (le quali sono i fatti interni ei fatti esterni) che passano l'una nell'altra per composizione ed evoluzione, e le quali solo apparentemente opposte, perchè da una parte la estensione e il moto sono inseparabili dalle nostre sensazioni e dal nostro pensiero e da altra parte le nostre sensazioni e il nostro pensiero hanno per condizione il moto e l'estensione. Se non che la posizione, che si trova in vario modo modificata nelle formole dei pensatori sunnominati, non può riceversi, perchè è insufficiente a stabilire la natura unica dell'essere e la sua relazione genetica coi diversi esseri, cardine della metafisica, natura che si è detto essere la forza o la attività, e di poi non basta a porre in sodo il fondamento della verità e della certezza, ed inoltre riduce la causalità alla successione e falsa o distrugge la distinzione che realmente vi è tra i fatti interni e i fatti esterni, ossia tra l'ordine psichico e il fisico della realtà (XIV).

Tale è il lavoro del Prof. Luigi Ferri, e per la esposizione particolareggiata che ne abbiamo fatto ogni lode sarebbe superflua, solo avvertiamo che, come da questa medesima esposizione apparisce, è un lavoro non da leggersi semplicemente, si da meditar si.

LUIGI ROSSI DA LUCCA

Prof. di filosofia nel R. Liceo di Sondrio.

Per l'insegnamento della Filosofia nei Licei

Illustre e cortese Sig. Direttore,

Io era appunto occupato di questi giorni intorno ad un articolo che voleva mandarle sull'insegnamento della filosofia nei licei, quando, tra periodo e periodo, mi capitò la relazione sul riordinamento delle scuole secondarie, che semplifica molto la questione.

Propone coraggiosamente che la filosofia, questa vecchia madre del sapere, sia finalmente strappata a viva forza dalle aule del liceo.

Come mai una proposta di questo genere? Che esca dalle colonne di qualche giornale, specie di porto franco, ove possono egualmente scaricare la loro merce le teste sane e le malsane, lo comprenderei: ma da una Commissione...

E io stava scrivendo appunto un articolo per mostrare quanto sia importante il fine a cui deve mirare oggi l'insegnamento della filosofia nei licei! E mi proponea di far rilevare che se questo insegnamento deve impartire determinate nozioni di psicologia, logica e morale, vuole anche e sopratutto aprire e formare un po' le menti, sia col metterle in possesso di equi criteri, che giovino all'acquisto del vero; sia col raccoglierle a pensare sulle gravissime questioni che riguardano l'uomo : non perchè le abbiano a risolvere, ma perchè le studino un po' e ne comprendano, almeno in parte, la difficoltà e la forza, e le tengano d'occhio nei loro studi futuri. Vuol gettare insomma un germe fecondo nell'animo dei giovani, e farli avvertiti, che, studio fondamentale o rilevantissimo fra tutti, è, e sarà pur sempre quello dell'uomo stesso.

O pare a Lei, egregio Sig. Direttore, che codesto studio, eminentemente umano pel contenuto e pel fine, possa esser radiato, senza grave danno, dal programma dei nostri studi secondari ?

Si lascia sopravvivere la logica, ma per strozzarla tosto perchè senza la psicologia, che è la sua base, e senza la morale, che è il suo fine, dovendo appunto la verità divenir norma della vita, essa non troverà luogo ove stare.

Oggi, che l'indirizzo positivo degli studi concorse a darle il posto, che meritamente le spetta, di scienza cardinale nell'ordine del sapere umano; oggi che sorgono dovunque società per gli studi di antropo

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