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studii superiori d'insegnare con regolarità di metodo. Essi ci danno la scienza come l'hanno fatta e trovata essi; ed il massimo, merito dev'essere loro riconosciuto, allorchè delle loro ricerche ci dieno il risultato e le vie tenute per ottenerlo. Lo stesso risultato però si può ottenere per altre vie. Come fate ora voi a sapere, allorchè vi troverete a dirigere una classe, quale tra esse è la migliore a seguire, se quella tenuta dal vostro professore, ovvero un'altra ?

Ciò che intanto non è d'obbligo pel docente universitario, che fa ed espone liberamente le sue ricerche, dev'essere invece sentito come obbligo strettissimo da quelli che non cercano, ma comunicano semplicemente la scienza, e la scienza nei primi rudimenti. Per essi, se si conducono razionalmente, non vi dovrebbe essere mai tregua nel cercare il meglio. Sapendo, per esempio, che un metodo sia più razionale d'un altro da loro usato, e che con lo stesso o minor tempo e con risparmio di sforzi dia migliori risultamenti, essi, in coscienza, debbono sentirsi tratti a preferirlo, ed a fornirsi presto della necessaria destrezza per usarlo con profitto.

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III.

Ciò che ora ho detto, mostra pure quanto fallace può essere la soverchia fiducia nel proprio sapere e sopratutto nell'esperienza propria. Se non avete le necessarie norme per fare giusta stima dell'esperienza altrui, come potete essere giudici sicuri di quella vostra? Voi

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potete; esercitandovi, aver acquistata l'esperienza d'in- ̈ segnar male, di maneggiare un metodo che urti contro" ogni buona regola della logica e della pedagogia. For sechè per secoli non si sono adoperati metodi che noi ora diciamo illogici ed innaturali? E sappiate, o signori, che per tanti e tanti modi si può urtare, trattandosi di metodo, nell'illogico; e che l'illogico e l'innaturale si trovano pure nella misura non bene serbata, nella cattiva interpretazione, nello sforzo, nell'eccesso d'un metodo per sè stesso buono. Che l'insegnante impari ad aver fiducia nel suo sapere, nel suo tatto d'uomo discreto ed esperto, ciò si deve ammettere come condi zione essenziale d'ogni buona pratica pedagogica che non degeneri in automismo, però ad un patto che, cioè," la súa sia una fiducia illuminata, una fiducia ispirata e sostenuta da ragioni che legittimaño innanzi alla mente sua e degli altri la scelta che egli ha fatto. Ciò che importa: 1o che egli conosca che vi siano più modi o metodi per un dato insegnamento e che sappia dėl va lore di ciascuno; 2° che egli si attenga ad uno che ha scelto, perchè la ragione e la pratica gliene hanno di mostrata l'eccellenza. La fiducia invece che proviene da angustia di mente, e dal non aver mai saputo e dal nonaver mai esperimentato che un sol metodo, tenuto per eccellente, perchè è il solo conosciuto, questo bene spesso non è fiducia nel sapere e nell'esperienza propria, ma è cocciutaggine nell'ignoranza.

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Ora è, senza dubbio, questa seconda specie di fiducia che può più facilmente ingenerarsi in chi si dedica al-i l'insegnamento senza nessuna scorta di cognizioni genės

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rali e speciali sul metodo. Egli o seguirà, insegnando una disciplina, il modo con cui l'ha visto esporre dal suo maestro, ed offenderà di sicuro la legge di graduazione, non sapendola adattare ad un insegnamento inferiore, ignaro così com'è, delle teorie e della tecnica dell'istruzione; ovvero brancolando e storpiando per lungo tempo, riuscirà a formarsi un suo modo proprio d'insegnare che, per l'ignoranza d'ogni altro termine di paragone, potrà essere tentato a credere con fierezza paterna un parto prezioso dell'esperienza propria. Il più sicuro è dunque che un tale insegnante comincerà male; egli tentennerà, proverà e riproverà, avendo pure ingegno e buon volere, per lungo tempo primachè acquisti la sicurezza di quel che fa, e la necessaria padronanza della sua classe; l'insegnare sarà per lui esperimentare, e più che mettere gli altri sulla buona via, egli attenderà a mettere sè stesso su di una, purchè sia. Se buona o cattiva la via che si farà, dipenderà dalle circostanze, dallo studio, dal buon senso e dal carattere, dal contatto con gli altri insegnanti, dal caso tante volte. Fatta che se la sia, quand'anche null'affatto buona, si troverà sempre meglio che quando era a cercarla, per questa ragione che ritengo come indiscutibile; che insegnare con metodo, anche cattivo, vale cento volte meglio che insegnare senza nessun metodo.

Son sicuro che se io volessi fare appello alla pruova dei fatti, non io soltanto, ma voi pure sareste in grado di produrre quantità di casi, che comproverebbero la verità di quanto io sto dicendo. Ed è così che molti

giovani insegnanti, valenti per ingegno e per coltura appresa all'università, hanno pagato a caro prezzo la pena del dispregio avuto o loro inspirato degli studii teorici e pratici della pedagogia. Messi in una classe, e la prima volta in presenza d'una scolaresca numerosa, che era un mondo nuovo per loro, essi non si raccapezzavano per l'assenza nella loro mente d'un filo conduttore che dal primo giorno li guidasse a distrigarsi in mezzo alle difficoltà.

L'esempio della gioventù studiosa delle università tedesche ci ha ammaestrato poco; e noi che da queste abbiamo voluto trarre ammaestramenti anche quando meno ne abbisognavamo, non abbiamo poi, con nostro danno, saputo per nulla imitare l'impegno ed il fervore loro per lo studio della scienza e della pratica della scuola, ed abbiamo posta poca attenzione, almeno finora, sulla differenza di preparazione del professore tedesco per rispetto a quella del professore italiano. E questa differenza, credetemelo, non è tutta nella quantità di coltura che si somministra alla gioventù universitaria, quasichè fosse di molto e sempre superiore in ogni università tedesca a quella che impartisce ogni università italiana, ma è sopratutto nell'indirizzo pedagogico, con cui è data, e nell'amore che viene ispirato al candidato professore per lo studio di tutto quanto s'attiene alla condotta intelligente e coscienziosa della scuola. I professori delle materie speciali insegnano, con o senza i seminarii, quasi sempre con intenzione pedagogica; ma il più profittevole è il gusto, la passione, e, direi quasi, l'istinto, che comunicano ai loro allievi, della pedagogia,

come studio a sè. Ogni università tedesca è fornita non di uno, ma di più corsi di questa materia. In quella di Lipsia, come ci riferisce un valente giovine professore che vi fu l'anno scorso, L. Credaro, non si leggono mai meno di cinque corsi al semestre sulle varie branche di questo studio. Tutto è dunque là pedagogia. I futuri professori la studiano bene spesso coi professori di materie speciali, la studiano applicata alle classi nei varii esercizi dei seminarii, la studiano nei corsi speciali di psicologia pedagogica, di pedagogia storica, di dottrina generale dell'educazione e di pedagogia applicata all'istruzione ginnasiale ed anche all'ordinamento ed ai regolamenti delle scuole. Insomma il fine che si vuol raggiungere, colà si raggiunge, e questo fine è, come ben dice il Breal, di far propria del giovine l'esperienza del vecchio.

IV.

Là dunque tutta la facoltà ha, per così dire, colore pedagogico; nelle nostre facoltà invece quasi punto di pedagogia; essa sembra una specie d'intrusa della facoltà. Basti il dire che si è fatto obbligo di frequentarne il corso solo ai candidati della laurea di filosofia. Non solo i futuri insegnanti di scienze, ma i candidati di filologia, i futuri professori d'italiano, i futuri professori di lingue classiche, i futuri professori di storia, i futuri reggitori delle classi ginnasiali si è creduto potessero fare a meno del lusso d'un tal corso. A Lipsia

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