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una via opposta a quella dell'artista ? Lo scienziato vi dirà la lunghezza del diametro, solare, il volume del sole, la natura della fotosfera e delle macchie solari, si sforzerà di calcolarne la temperatura, l'età, le sorgenti diverse che ne mantengono il calore, e via seguitando. Lo scienziato può ben sorridere delle personificazioni dell'artista e chiamarlo un sognatore più o meno gentile. L'artista può a sua volta sorridere dello scienziato e chiamarlo freddo analizzatore. Ma chi riderà l'ultimo ? Non è forse la verità che fuga le menzogne, siano pure grate all'animo umano ?

La poesia dell'arcobaleno è scomparsa dal giorno che il Newton ne svelò la essenza col prisma; l'attraente mistero dei cieli scomparve col Copernico, col Galileo, col Keplero; dal dì che il Colombo ebbe superate le colonne d'Ercole e scoperti gli antipodi, il mito di regioni fantastiche e ignote dileguò.

Che è mai la terra per lo scienziato? Un pianeta che gira intorno al sole. Che è la materia? L'esteso resistente. Che è la natura? Un complesso di forze che si convertono reciprocamente. Che sono i fiori, gli alberi? Materia organata classificabile secondo certe categorie. Lo scienziato ne' molteplici strati della terra non vede che l'azione continua delle forze che si studia di determinare. Nei minerali, negli animali non vede che dei caratteri, delle note per classificarli secondo un ordine che

s'accosti, per quanto è possibile, all'ordine naturale. Nelle piante non riconosce altro che leggi, forze, proprietà. Nei terremoti, nei vulcani non iscorge i miti delle leggiadre fantasie antiche, ma forze endogene di cui cerca l'origine. Nel fulmine, nel tuono, nelle inondazioni non trova più la mano punitrice di Dio. È dileguato dal campo scientifico ogni miracolo, ogni mito, ogni leggenda.

Per l'artista invece la natura ha un'anima, i fiori parlano linguaggio amoroso, le piante partecipano alle nostre gioie e ai nostri dolori; il mare sorride, quando è calmo, infuria quando è procelloso, i terremoti e i vulcani congiurano contro la nostra felicità. Per l'artista tutta la natura è cosciente e fatta per l'uomo, e l'uomo è in essa rispecchiato.

Uno scienziato e un poeta vanno in un giardino. Il primo vi tempesterà gli orecchi di termini di botanica, o vi parlerà di agronomia, della natura dei terreni, delle maggiori o minori rendite delle campagne. Il secondo vedrà nei fiori e negli alberi unicamente la bellezza, studierà l'armonia dei viali, il contrasto tra il verde fosco dei bossi e il pallido dei fichi d'India, tra la malinconia dei cipressi e il verde delle acacie fiorite. Sarà rapito d'entusiasmo dinanzi alle rose, ai garofani, che certo preferisce ai cavoli e alle lattughe. Ripeterà dinanzi agli aranci i celebri versi del Göthe; cercherà i profumi, i bei colori, godendo del canto degli uccelli, del fruscio degli abeti, del mormorio dei ruscelli.

Che è mai un cadavere per un medico? Un soggetto di studio anatomico e patologico, fosse pure il cadavere d'una fanciulla di sedici anni, morta tisica per amore.

Ma all'animo del poeta invece quante cose non dice? Il poeta legge in esso la tragedia della vita umana, il mistero della morte e dell'oltretomba. Il cadavere gli parla della pace di sotterra o de' suoi desiderj di ritornare nel mondo, di rigodere la luce, perchè la terra ancora ha bellezze, perchè i vivi amano ancora.

Lo scienziato e l'artista interrogano lo spirito umano. Quegli analizza freddamente e minutamente i rapporti che corrono tra la psiche, il corpo e la realtà esterna. Cerca come succedano le sensazioni, come si svolgano i movimenti, come si associno le rappresentazioni, in che risieda l'istinto, quali caratteri denotino l'intelligenza, come proceda la ragione. Non lascia trascurata nessuna delle funzioni psichiche, si studia di classificarle, di segnare i limiti delle nostre facoltà. Sviscera il contenuto dei sentimenti, degli affetti, delle passioni. Analizza le volizioni, penetra nel labirinto della libertà, si sforza di vedere, fino a che punto si estenda, assiste al nascere e al crescere della vita morale, e ne accompagna le fasi attraverso le forme sociali.

L'artista invece sdegna le classificazioni rigorose dello scienziato, la dinamica e la statica dello spirito, i rapporti tra i fatti psichici. Anche l'artista è psicologo, ma in modo tutto suo. Egli bada ai sentimenti, agli affetti, alle passioni, personificandoli, mettendoli in contrasto e cercando i vocaboli, le linee, le note meglio atte a rap

presentarli. Non bada agli aridi processi logici, non si occupa dell'origine dei concetti, delle specie di giudizj. Discerne le rappresentazioni o i concetti belli da quelli che non gli sembrano tali, non si preoccupa del contenuto. Si ferma assai volentieri sul senso della vista e dell'udito che hanno un valore estetico, appunto perchè poco legati al mantenimento della vita materiale, e poco cura gli altri, dei quali l'estetica è assai debole. L'artista discerne nel vasto campo della psicologia ciò che giova al suo scopo, il resto non cura. Egli può far senza di leggere i trattati lunghi e noiosi degli scienziati. Indovina lo spirito umano coll'intuito del genio. Un pettegolezzo di donne ascoltato pacificamente in casa, ha ben sovente assai più valore per lui, che non i Sensi e l'intelligenza del Bain. Per uno scultore il gruppo del Laocoonte giova meglio a studiare il dolore e l'ambascia che la Fisiologia del dolore del Mantegazza. Un musico conosce assai meglio il linguaggio dell'amore nelle opere del Bellini e del Donizzetti, anzichè nella Metafisica dell'amore dello Schopenhauer. Poco importa all'artista di conoscere il numero dei sensi, i movimenti diversi del corpo. Sa che l'uomo sente, si muove, intende e vuole. Ma nelle sensazioni, nei movimenti, nelle volizioni, cerca solo ciò che meglio si può tradurre in linguaggio sensibile, ciò che invita l'uomo al soave fantasticare, ciò che lo rapisce in un mondo ideale.

Ora in questa battaglia tra la verità e la fantasia, tra la scienza e l'arte, trionferà la verità, vincerà la scienza. Le leggiadre visioni non contenteranno nessuno. Quanto più l'artista sentirà il bisogno d'esser vero, tanto

più si allontanerà dall'arte accostandosi alla scienza. Quanto più il poeta vorrà esser preciso analizzando lo spirito umano, tanto più si accosterà alla psicologia allontanandosi dalla poesia. L'uomo abituato al vero, al solo vero, finirà per ridere delle creazioni dell'artista. Ci vuole una certa ingenua fede per gustare l'arte o per fare un'opera d'arte. Questa fede, progredendo la scienza, dovrà venir meno.

La civiltà contemporanea è nemica dell'arte. Basta dare un'occhiata attorno per accorgersene. Gli usi, le istituzioni, le mode, le cerimonie d'oggi, sembrano offuscare ogni raggio di bellezza, impedire qualsiasi lampo artistico.

Tornando all'antico, come non capire ch'esso non ha più senso per noi e non può darci altro che ispirazioni convenzionali? Dell'antico potremo solo rinnovare una parte esterna, superficiale, non già il vero spirito; perchè non respiriamo più in quell'ambiente.

La pittura trovando l'uomo contemporaneo poco dipingibile, anche in questa dolce Italia altra volta sede della pittura classica, s'è rivolta alla pittura di paesaggio, ai quadri di genere, a ritrarre case e contrade che per l'antichità, per la varietà delle linee, per l'armonia dei colori, sembrano attrarre maggiormente l'occhio, sollevare difficoltà tecniche e piacere non meno dei clas. sici quadri.

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