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dati, si plaude per esser poi applauditi, si fa carità perchè la destra sappia quello che fa la sinistra. Nelle società primitive o ancora immature possono sorgere i grandi caratteri; perchè in quelle c'è tutto da fare o da rinnovare e le moltitudini che non pensano, che non hanno forse ancora provato il disinganno, sono pronte a seguire un'idea audace che le possa migliorare, Invece, nelle nostre società già infrollite, si sorride scetticamente anche delle più splendide idee. Ogni stato, ogni governo è oramai piantato così saldamente, che un uomo solo, anche che riesca a vincere una classe di persone predominanti, non riescirà mai a vincere un sistema d'idee. Oggidì un individuo messo nel congegno intricatissimo d'una società civile è impotente a sviare la macchina, a rinnovare moralmente una nazione, ad introdurvi riforme vitali e sostanziali. Quindi egli sarà assalito dallo scoraggiamento e desisterà dall'opera, oppure si contenterà di portare la sua piccola scintilla per il trionfo della luce contro le tenebre. O se vorrà accingersi a illuminare tutti, a rovesciare tutto ciò che crede non debba stare in piedi, ad abbattere i vacui idoli, e scenderà in piazza e cogli scritti, colle parole, coll'esempio, vorrà recare la salute nel mondo, finirà certo al manicomio, pazzo vero o creduto, oppure in galera come un manigoldo, senza avere molti nè fedeli seguaci e venendogli meno anche l'avvenire.

Leggiamo Eschilo, Sofocle, Euripide, Shakespeare. Quanta idealità, che sublimi contrasti, quali caratteri e quanta verità! Come il dramma si svolge potentemente tra maschie ambiziosi, con anime potenti nella virtù e

nel vizio! Lo stesso delitto piace per la sua grandezza. Jago non è meno interessante, esteticamente parlando, di Otello. Nel campo dell'arte brillano di eterna luce, Prometeo, Antigone, Medea, il re Lear, Macbet, Coriolano ed altri molti. Che può dare di simile la società d'oggi? Udite i drammi del Dumas, del Sardou, qualcuno del Ferrari o di altri scrittori francesi o italiani, quale noia borghese non ispirano! Gli eroi di cartapesta odierni ci appaiono bensì quali sono; ma appunto per questo non suscitano il vero entusiasmo estetico: flacchi tutti, convenzionali come l'ambiente in cui vivono, schiavi di pregiudizi ridicoli, piccoli tirannelli della famiglia e dello Stato, corrotti senza grandezza, deboli e clorotici, virtuosi per forza, vanagloriosi quasi sempre, mezzi uomini o mezze donne, senza fibra, senza slancio, senza audacia.

Taluno osserverà che il poeta drammatico può sempre rivolgersi all'antico. Ma come potrà capire l'antico, se il presente è così diverso? Come lanciarsi dentro in un mondo sparito, quando la civiltà odierna ci impone altri usi, altre abitudini ? Come presentare ad un pubblico come il nostro, drammi la cui tela è tolta ad un'altra età, nei quali i caratteri sono tanto dissimili dai nostri ? Il pubblico riderebbe o assisterebbe ai drammi come ad un'accademia. Quasi tutti i drammi di Vittor Hugo oramai non si reggono più, le tragedie d'Alfieri oramai fanno fuggire gli spettatori, se pure non vi ha un abile artista che le rappresenti, e allora si va ad ammirare l'artista più che la tragedia. Per questo certi drammi di Shakespeare si sostengono ancora sul palcoscenico,

ma se non ci fossero lo splendido corredo della scena, la tecnica del protagonista, le scene d'effetto, non si vorrebbero udir più.

Alla poesia drammatica non resta altro che la commedia satirica. Sì, la commedia satirica tratta dalla società contemporanea, dagli ideali dimezzati, da tutte queste menzogne convenzionali, ambizioncelle ridicole, frivolezze nevrosiche. Per far tale commedia occorrerebbe uno spirito forte, ardito, sottilmente scettico, un secondo Rabelais.

La lirica, per chi bene osservi, non è certo in migliori panni della drammatica. La lirica grande, obiettiva, nella quale è personificato il sentimento d'una intera nazione, è morta senza speranza di risorgere così presto. Già se ne accorse anche il nostro Carducci, e non disse, nè credè di dire certo cosa nuova. La grande lirica richiede una grande idea, la quale diventi sentimento d'un popolo e sia atta piuttosto ad assumere veste poetica, che ad essere espressa in qualunque altra forma. Ora anche ammesso che possano trovarsi nella società moderna idee grandi in se stesse, per esempio il progresso, la gloria, l'amor di patria, come tali idee diventeranno sentimento sociale?

Uno che abbia la vera anima del poeta lirico, cresciuto fra i libri e i grandi uomini del passato, prova un amaro disinganno affrontando la vita reale. Così o diventa pessimista, come il Leopardi, o percuote col flagello di Giovenale i dorsi degli epuloni, come il Carducci nei Giambi ed epodi, o è malato di idealità rientrata come il Baudelaire o il Praga, o lavora di cesello, curando

più la frase che il pensiero, come il Gautier e i Parnassiani francesi, o imita nelle forme e nel contenuto i classici antichi, come il Carducci nelle primavere elleniche e in talune delle odi barbare.

I valentuomini, dei quali espongo le idee parafrasandole, vanno preparando la messa funebre anche per la musica. Se le altre arti volgono al tramonto per condizione di cose e di tempi, dovrà o presto o tardi finire anche la musica, la quale si pasce, più che ogni altra arte, di idealità. La musica come arte e sopratutto come arte indipendente, non è certo vecchia. Pure si vedrà che presto il gusto falso e l'indifferenza del pubblico la uccideranno. Quanti capilavori musicali non sono oggidì obliati! E quanti ne sorgono e come vivono? L'Italia, altra volta sì feconda di scrittori di musica, dov'ha lasciata al presente la sua fecondità? Anche la Germania, dopo la morte del Wagner, sembra tacere. Alla musica buffa sono ora successe le operette; la musica seria chiede per reggersi il condimento dei balli spettacolosi. La pura melodia è oramai soffocata dall'armonia, la scienza succede all'arte. La musica fra non molto (e basta badare a certi scrittori di musica contemporanei) andrà sulle nubi, si perderà in fredde astrazioni, sarà incapace di destare qualunque sentimento estetico e non piacerà altro che ai puri contrappuntisti.

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È inutile la civiltà, che sembra grandissimo bene, reca seco mali inevitabili. Essa rende uniformi e prosaici i costumi, assimila i popoli, congiunge tutti i paesi, così che ognuno sotto l'influenza degli altri, perde la sua originalità. In processo di tempo non ci saranno più costumi francesi o inglesi o tedeschi o italiani, ma costumi generali in parte tolti a questo o a quel popolo. La democrazia invadente e le questioni sociali che l'avvenire risolverà, toglieranno i recisi contrasti tra ricchi e poveri, tra oziosi e lavoratori, contrasti che possono ispirare l'artista. In questa vita mediocre, se mai alcuno nascesse provveduto di genio, dovrebbe spegnere questo dono della natura per obbedire alla mediocrità universale. A che scopo dischiudere ai ciechi tesori di luce? A che scopo voler persuadere i somari di non camminare sull'orlo del precipizio?

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